venerdì 30 gennaio 2009

dell'avere la faccia come...

Fosse vero desiderio di legalità e di rigore nell'applicare le leggi e le sentenze niente da eccepire se non nei toni : sempre eccessivi, queruli, da gente che è più realista del re nell'affermare l'italianità sciocca delle alte grida e i lai contro chiunque, - figurarsi un paese terzo fino a ieri nella melma del 'terzo mondo' per le sue favelas e gli squadroni della morte che vi agivano.

La peggior classe politica dal dopoguerra ad oggi sale in cattedra e pretende la sospensione di incontri di football già programmati (sic) per 'l'offesa' che gli è stata fatta di non aver concesso estradizione a un ricercato per reati di terrorismo.

Nessuna vera curiosità sulle ragioni del procuratore brasiliano che ha fin qui negato l'estradizione, nessun rispetto delle ragioni altrui e, statene certi, se la Corte Suprema brasiliana confermerà lo status di rifugiato concesso a Battisti, torneranno a guaire e/o latrare in video e in voce come un sol uomo - con quelle facce da patibolo che si ritrovano gli ex missini delle sezioni giovanili dov'erano i ritratti del Duce alle pareti e le bandiere nere coi teschi e i bastoni e i manganelli nel sottoscala per le manifestazioni.

Un governo che ha in testa un tale che ha sfuggito i suoi giudici maledendoli e insultandoli e facendoli insultare per decenni dalle sue televisioni e dai suoi vergognosi scherani e pennivendoli, un capo del governo imputato di reati gravissimi che ha puntato tutto sulle prescrizioni e sul 'mettere a tacere' manus legis i suoi neri trascorsi - scendendo in campo e conquistando la scena politica col fine dichiarato di mandare i suoi avvocati in parlamento a scrivere le leggi necessarie per uscire dai processi- come può pretendere di 'avere la faccia' per sbraitare a favore di un rigore nell'applicazione delle pene e delle leggi tutto italiota?

Che pena, gesussanto, che gente tocca vedere sui video che apre le male bocche e ognora emette i vergognosi fiati!

le lingue di babele

Sono stati pubblicati i risultati di un recente sondaggio commissionato dalla FAO rivolto ai governi di tutto il mondo.
La domanda era: "Dite onestamente qual è la vostra opinione sulla scarsità di alimenti nel resto del mondo".
- gli europei non hanno capito cosa fosse la scarsità;
- gli africani non sapevano cosa fossero gli alimenti;
- gli americani hanno chiesto il significato di resto del mondo;
- i cinesi hanno chiesto maggiori delucidazioni sul significato di opinione;
- il governo Berlusconi sta ancora discutendo su cosa possa significare l'avverbio "onestamente"........

giovedì 29 gennaio 2009

occhi chiari e ironia degli sguardi

Ho una grande ammirazione per Marco Travaglio, per i suoi occhi chiari e l'ironia dello sguardo e la tranquilla coscienza che esce dalla sua voce pacata nel dire le cose apparentemente ingarbugliate del nostro teatrino quotidiano piccolo piccolo come fossero le fiabe sciocche di una saggezza perduta.
'La lingua perduta delle gru', recitava il titolo di un libro non troppo recente.
Ecco: dovremmo recuperare, tutti quanti siamo, cittadini di questa repubblica di infami (che non lasciano fama), quella lingua perduta e tornare a parlare fuori dei confini asfittici del regno di Babele la chiarezza delle cose-che-sono-come-sono e non come vorrebbero gli apprendisti stregoni della politica colle loro alchimie improbabili e stupide, i loro interessi di bottega e l'abitudine a mentire così spesso da averne confuse le menti e non saper più bene quale sia il mondo reale e quello delle loro malate immaginazioni.
Dovremmo poter dire come il bambino della fiaba 'il re è nudo' e mostrargli che i suoi sontuosi vestiti invisibili altro non sono se non il segno della sua stupida vanteria e conseguente arroganza e niente è più istruttivo in questo senso della serie di cifre a confronto che il bravo Travaglio ha snocciolato ieri dal video di 'Annozero' : ultima frontiera della libertà di stampa, insieme agli striscioni della piazza di Di Pietro che criticavano leggittimamente il capo dello stato per i suoi supposti silenzi e le mediazioni istituzionali al ribasso che fa (che è costretto a fare perchè questo è quel tempo e il convento dove stiamo rinchiusi) in questi tempi calamitosi.

Può essere che quei manifestanti avessero torto, ma dovremmo batterci tutti come un sol uomo per il loro diritto a dire. Anche solo per contrapporre quella loro libertà fragile al muro prodigiosamente spesso di bugie e arroganti pretese di impunità di chi li fronteggia: quel vario mondo berlusconiano di starlettes e servi sciocchi sensibile ormai solo alla melodia languorosa e inebriante del magico pifferaio.

Quel che rimproverava Travaglio ieri sera agli uomini della destra non era il fare poco (non solo) contro i numeri enormi dell'immigrazione che non sanno controllare, bensì la menzogna del dirsi capaci di controllarli e il ridicolo di aver pagato cifre spaventose al colonnello Gheddafi (20 milioni di euro all'anno per vent'anni) e l'aver stipulato un accordo di non belligeranza che fa a pugni coi trattati della Nato per averne in cambio il pugno di mosche di un nulla di fatto sul piano del controllo e del pattugliamento avverso ai barconi degli immigrati in partenza dalla sponda africana.

I semidei della destra che tutto vogliono ordinare sono nudi come il loro imperatore e la loro ira furibonda scatta quando l'innocenza di un bambino grida 'il re è nudo' e tutti lo vedono, ma per piaggeria e segreto timore di spezzare l'incantesimo lo tacciono.

lunedì 26 gennaio 2009

viaggio nei tempi della storia


Sognavo di poter fare i viaggi nel tempo da bambino, ma, dopo aver visto le ricostruzioni di molti film storici e aver letto molto di storia quel genere di desiderio è scomparso. Perchè? Diamine, ma perchè il passato è molto più complicato (e feroce e terribile a viversi) del presente.
Non è questione solo di malattie -quasi tutte ad esito infausto per le note ragioni di una scienza e conoscenza scarse- nè di povertà (la possibilità statistica di viaggiare in veste di aristocratico o prete o venerato 'professore' sono davvero scarse e toccherebbe fare il viaggio in qualità di contadino, mendicante, artigiano o mercante, se la va bene).

Gli è che il passato è poco malleabile, manipolabile; non si può toccare nulla delle maledette cose che sappiamo quanto andassero storte - come raccomanda giustamente lo scienziato svitato in 'Ritorno al futuro' - perchè ne avremmo mutazioni a catena nel futuro e chissà dove saremmo e come saremmo: secondo gli avvenimenti che avessimo cambiato a nostro arbitrio.

Non puoi toccare l'Inquisizione: non ti puoi improvvisare sicario di tutti quei maledetti preti e vescovi fanatici che mandavano a morte innocenti palesi per le più stupide e folli ragioni. Non puoi improvvisarti regicida di tutti quegli impomatati e incipriati damerini o parrucconi che, una volta tolte le parrucche, si mostravano esseri ridicoli e amanti aridi e improbabili e/o esseri ignobili e pessimi amministratori dell'economia e della giustizia, - salvo le note, lodevoli eccezioni riportate sui libri di storia.
Allora perchè fare un tale viaggio?
Una fatica così immane si farebbe solo per l'osservazione delle foreste originarie d'Europa, della loro ricca fauna e vedere la meraviglia delle Alpi com'erano nel Quattrocento e - per quanto è della vita degli uomini, il poter osservare i rituali delle corti: come e perchè durava in vita un re, per quali faticose alleanze necessarie, per quali scelte casuali o debolezze che si trasformavano in forza per le ragioni più strane e casuali, - come avviene ad Elisabetta la regina vergine, che ha ispirato questo post.
Per la complessità e i lambiccamenti straordinari e magnifici di quel modo di vivere: dagli abiti al cibo, alle architetture delle chiese gotiche e dei castelli e i palazzi e i giardini. Per i costanti complotti e rovesciamenti di fronti che si costruivano nelle stanze della corte: Francia o Spagna e poi gli Absburgo e gli stramaledetti Papi e cardinali del potere temporale della Chiesa che Dante non a torto ficcava a culo in sù nei gironi infernali o gli faceva rosicchiare i crani dal conte Ugolino.

Essere re o regine in tempi così grami e calamitosi era un terno al lotto ad ogni risveglio. Avevi assoluto bisogno di un uomo fedele e crudelissimo: pronto ad ammazzare chiunque tramasse e congiurasse contro il trono; c'era bisogno di una 'intelligence' di corte, di un 'capo dei servizi segreti' abile e con cento occhi aperti in tutte le direzioni, se volevi scampare a un sicario nascosto a palazzo o al veleno di un servitore infedele.
Elisabetta, la regina vergine, fu fortunata a godere dei servigi di un tale uomo e per la sua abilità e fortuna regnò i fatidici 40 anni che fecero grande l'Inghilterra e decretarono che la realtà della storia non è sempre duale (Francia e Spagna cattolicissime).
A volte si danno anche le 'terze vie' e da lei, dal suo durare e fare grande l'Inghilterra con scelte dolorosissime e drammatiche lacerazioni sociali, discesero e si consolidarono i meravigliosi e salutari scismi protestanti e gli annunci dell'era moderna che viviamo.

i mannari e la luna piena

'E' delle gazzette il fin la meraviglia, scriveva il Metastasio, ma ad ascoltare le cronache ultime di questo nostro paese in sempiterno affanno, si direbbero cronache d'orrore, di costante violenza metropolitana, violenza che chiama violenza in un crescendo desolante e avvilente.
Se per ogni stupro o altro fatto violento fanno seguito gli annunci di militarizzazione progressiva del territorio, il lavoro sarà per molti giovani presto assicurato:
'Arruolatevi nelle Forze Armate' sarà il prossimo bando: 'buona paga', 'riconoscimento e gratificazione sociale' e, forse, dovremmo aggiungere col pennarello sui manifesti che verranno: 'confusione dei ruoli' tra le varie polizie e carabinieri e polizia urbana a cui il ruolo di vigilanza e applicazione della legalità repubblicana è istituzionalmente delegato.

Pare che il costo dei militari per finalità civili sia parecchio alto, ad ascoltare certune dichiarazioni di uomini pubblici. Sarebbe bene saperne qualcosa di più di questo spreco di risorse pubbliche a fini di continui, esasperanti spot elettorali degli uomini della destra - che hanno condotto il paese a un punto di mediatica esasperazione collettiva dove trova spazio in cronaca perfino lo sfogo rabbioso delle vittime della violenza ('mi farò giustizia con le mie mani', dice la ragazza stuprata e le fanno eco i genitori) e, di contro, il silenzioso sdegno di magistrati che applicano le leggi e sono quotidianamente sottoposti a gogna da parte del premier e dei forsennati che in lui si riconoscono e ritengono onorevole il 'reggergli le palle' come fossero uno strascico regale.

Un paese 'normale' resta il sogno inappagato di noi cittadini che vorremmo il male sociale relegato nel suo angolo di inevitabilità statistica, dal quale difendersi con consigli accorti e accorti comportamenti individuali e collettivi perchè questo urlare di tutti contro tutto somiglia a un ululare alla luna di tragici mannari in una sera di luna piena.

sabato 24 gennaio 2009

il silenzio in partitura

Se le partiture sono le nostre vite, i silenzi sono, volta a volta:
le forti commozioni per eventi che ci stupiscono e ci coinvolgono in modi che intuiamo densi di future implicazioni - tutti i grandi momenti sono silenziosi, scriveva qualcuno;
gli annichilimenti del pensiero per un dolore che ci appare intollerabile a dirsi e vedersi sotto i nostri occhi: malattie, morti, guerre, catastrofi naturali;
i dubbi che nutriamo su fatti importanti del nostro vivere civile e/o quotidiano e le sinapsi impigrite che non ci forniscono buone risposte immediate - un bel tacer non fu mai scritto, si dice, oppure 'conta fino a venti';
una gioia incontenibile alla quale non sappiamo fornire parole adeguate perchè le parole a volte ingannano, altre volte incanalano il sentimento e lo conducono a stagnare in rigagnoli laterali fuori dall'alveo profondo del nostro sentire - il mondo mentale mente monumentalmente, scriveva Prèvert, poeta del sentimento.
I silenzi sono in partitura nelle vite e ho rimpianto di persone che tacciono e ancora sono in vita e le loro vite scorrono parallele alle nostre, ma per un sussulto prossimo, un accadere improvviso potrebbero cambiare di traiettoria e tornare a tangere i nostri giorni e i sentimenti.

p.s. Anche nel mondo balzano del virtuale le nick-persone scrivono partiture che contengono silenzi. Ho in mente Lunadoro, chi lo ricorda più: persona di straordinario sentire e delicato dipingere i moti dell'anima e i pensieri più densi. Chissà quale sincope è intervenuta a spezzare quel filo di parole, che eventi della sua vita o, forse, un semplice ennui esistenziale, la constatazione di quel tanto di inutilità che è nelle partiture delle nostre vite e anch'essa induce ai silenzi.

giovedì 22 gennaio 2009

finchè morte non ci separi (4)

Benares, 13 febbraio 1913

(...) Un fanciullo di forse dodici anni, falciato dalla morte d'improvviso, poichè il volto ha la calma del sonno placido e il braccio oscilla pendulo e la testa dalle chiome bluastre s'arrovescia sulla spalla dei portatori non per anco irrigidita. Un uomo -il fratello forse-, una donna ancora giovane -forse la madre- assistono all'opera, scambiano con gli addetti poche sillabe, discutendo certo sulla resina che la donna annusa e trova di qualità poco buona.
E il piccolo attende resupino sulla catasta, il profilo perfetto fatto più delicato dal sonno senza risveglio, le frange tenebrose delle palpebre solcate dallo smalto candido dell'occhio socchiuso.
Non so che dolore indefinibile mi stringa il cuore fissando quel volto adolescente, fissando l'altro volto di vegliardo che già le fiamme disfanno.
Forse riconosco nell'uno e nell'altro, -attraverso le remote analogie di un unica stirpe- i volti di fanciulli e di vecchi che mi furono cari. Noi amiamo il volto, questo specchio dell'io, amiamo le rughe, la canizie dei vecchi, i capelli biondi, gli occhi sereni dei bimbi. Non possimo concepire il ritorno di un caro defunto senza il suo volto, il suo sorriso, la sua voce.
La nostra religione (con un dogma tra i più medievali e puerili, è vero, ma che mi piace non discutere) soddisfa quesa nostra illusione promettendoci la 'resurrezione della carne'.
Come costoro sono lontani da noi! Prima di nascere, prima di morire, si sono già detto addio. Si sono rassegnati serenamente, dai tempi dell'origine ariana, a questa disperata certezza: 'Nulla è, tutto diviene. L'io e il non io sono il frutto di una mera illusione terrestre.'
Perchè, se così non fosse, sarebbe mostruosa, rivoltante la calma di questa giovane madre che compone tre le braccia del fanciullo il piccolo elefante d'ebano, il mulino minuscolo, un rotolo di carte: preghiere, forse, o, forse, quaderni di scolaretto diligente! e tutto questo fa senza una lacrima, senza che una fibra del suo volto abbia un sussulto!
Certo costei è una bramina compiuta, migliore assai di quell'altra madre, quella Marayana citata nei sacri testi che si strappava le chiome, ululando sul cadavere del suo unico figlio. E i yogi (asceti - n.d.r.), si racconta, cercavano invano di richiamarla alla verità, di strapparla al demone dell'illusione.
Tanto era lo strazio della donna che, per il potere di un fachiro, l'anima ritorna al cadavere già disteso sulla pira. E la madre si getta sul resuscitato folle di gioia. Ma il principe giovinetto s'alza sulla catasta, respinge la donna con un gemito, si guarda intorno sbigottito, dice: 'Chi mi chiama? Chi mi strazia? Dove sono? Chi ha spezzato in me l'armonia della Ruota? In quali delle innumerevoli apparenze del mio passato mi ebbi per madre questa forsennata? Portatela dall'esorcista. Mara, il tentatore, ulula in lei.'
Così parlato il giovane ricade resupino e l'anima si invola nell'ineffabile.
La madre, la Marayana Kritagma, fu quella che andò penitente fino ad Anuradhapura, nel centro di Ceylon, la Roma buddista, ed ebbe la grazia di essere illuminata da Gotamo in persona,come racconta il poeta Kalidasa.

Guido Gozzano - Poesie e prose - Universale economica Feltrinelli

martedì 20 gennaio 2009

i fili neri delle democrazie

La cosa che più impressionava dell'intervista fatta a Oliver Stone, il bravo regista di 'Platoon' e 'Jfk', non era tanto quel che diceva sulla figura minuscola e per certi aspetti ridicola (tragicamente ridicola) di 'W.', Dabliu, Bush: il presidente americano che resterà nella storia forse solo per la prontezza di riflessi che ha avuto nello schivare la scarpa lanciatagli contro da un giornalista iracheno.
Impressionavano gli antefatti, le condizioni al contorno, il come possa verificarsi il male che poi ci perseguiterà se le nostre scelte 'democratiche' sono sbagliate, stupide o gaglioffe.

C'è un filo nero che lega tre eventi internazionali del tempo presente delle tanto magnificate democrazie (che si definiscono come il miglior sistema di governo dei popoli e che vorremmo imporre erga omnes: improbabile panacea dei mali dell'umanità) e sono:
a) il popolo che votato Bush (o non lo ha votato e l'astensione e l'indifferenza sono ugualmente colpevoli ai fini di quanto è accaduto dopo);
b) il popolo che ha votato Hamas (e ne ha pagato uno scotto spaventoso di morti e di violenze);
c) il popolo che ha votato Berlusconi-Barabba ( naturalmente fatte le debite proporzioni e valutato il ridicolo che esce dall'accostamento).

In tutti e tre i casi stupisce l'ottusità di chi non seppe prevedere nel chiuso della sua cabina elettorale che da quella scelta sconsiderata sarebbe conseguito il male degli anni appena scorsi e la deflagrazione di una guerra nel caso dei palestinesi.
Forse solo a Bush (inizialmente isolazionista) si può dare un'attenuante piccola-piccola: l'undici settembre lo stupì (e stupì il mondo tutto) - sempre ammesso (e non concesso) che sia vera la tesi dell'attentato terrorista degli islamisti pazzi invece di quella di un complotto del solito 'apparato industrial-militare' che fece minare le due torri e organizzò il botto dei boeing - come piace tanto congetturare al popolo di internet.

Eppure gli elementi dell'analisi erano tutti già dati e le campagne elettorali dovrebbero servire a capire e far capire chi è chi e perchè si presenta alle elezioni e con quali scopi e quali programmi e tuttavia il buco nero della mente collettiva riesce sempre a partorire i mostri delle cose che accadranno, che sono accadute e hanno fatto l'avvilimento della nostra sorte di uomini e donne del tempo presente.

E' il male necessario dell'umanità, dicono i filosofi e i teologi - con l'abituale appossimazione che dice niente, ma lo dice in modo elegante e intrigante. O, forse, ha ragione Einstein, quando affermava che due sole cose sono infinite: l'espansione dell'universo e la stupidità umana.

lunedì 19 gennaio 2009

beata tu se', sora morte nostra corporale

(..) come medico di famiglia sono cosciente di deludere molti dei miei pazienti, sopratutto chi sta morendo. Perchè solo pochissimi tra i nostri pazienti muoiono di una morte che si potrebbe riconoscere e descrivere come una buona morte? Che cos'è, effettivamente, una buona morte? Che tipo di morte vorremmo per noi e i nostri cari? Parlando con amici e colleghi, scopro che sono in molti a poter raccontare il loro coinvolgimento in una morte davvero speciale in cui il morente era riuscito a controllare e orchestrare il processo e a morire con una dignità e una serenità che avevano dato a chi gli stava accanto, incluso il medico, la sensazione che prendervi parte fosse un privilegio e una misteriosa forma di arricchimento. Ciò che colpisce, tuttavia, è quanto siano rare queste morti. Sono assai più frequenti i casi in cui la morte è un'occasione mancata e senza dignità, contrassegnata da una paura o da una sofferenza schiaccianti o da entrambe, che lascia chi resta, compreso il medico, con una sensazione di rabbia, colpa o pena.
In 'A fortunate man' John Berger ha sottolineato la centralità del ruolo del medico di famiglia nel rapporto con la morte.
'Il medico ha familiarità con la morte. Quando lo chiamiamo, gli chiediamo di curarci e di alleviare le nostre sofferenze, ma, se non gli è possibile farlo, gli chiediamo anche di assistere alla nostra morte. Il suo ruolo di testimone è prezioso perchè ha visto morire molte altre persone (...) E' un intermediario vivente tra noi e la moltitudine dei morti. Appartiene a noi ed è appartenuto a loro. Il conforto duro, ma reale che i morti ci offrono tramite lui continua ad essere quello della fraternità.'

Tuttavia, nel corso degli anni, lo spettacolare successo della medicina scientifica, ha permesso ai medici di allontanarsi dal loro ruolo tradizionale di 'persone che hanno familiarità con la morte'. La sfida tecnologica a prolungare la vita ha gradualmente avuto la meglio sulla qualità della vita vissuta. Processi pericolosi e insidiosi ci hanno fatto perdere di vista fino a che punto il nostro modo di vivere sia più importante del momento in cui moriamo. (...) L'arroganza della medicina scientifica alimenta crescenti aspettative pubbliche di perfetta salute e tenace longevità e questi processi sono sfruttati con avidità da giornalisti e uomini politici e, sopratutto, dall'industria farmaceutica. (...) Non facciamo che parlare di morti prevenibili come se la morte potesse essere prevenuta piuttosto che posticipata. Indulgiamo in attività e restrizioni che dovrebbero farci vivere più a lungo e sembra che l'opportunità di molte morti non debba mai essere discussa.
La qualità dell'assistenza sanitaria è dettata ogni giorno di più da protocolli basati sull'evidenza che, per loro natura, considerano i pazienti alla stregua di unità standardizzate di malattia. Simili protocolli non sono in grado di accogliere l'unicità delle storie individuali, i valori, le aspirazioni, le priorità particolari di ogni singola persona e il modo in cui cambiamo nel corso del tempo....

Iona Heath - 'Modi di morire' - Bollati Boringhieri editore

domenica 18 gennaio 2009

le biciclette degli abbandoni

L'abbandono è una bicicletta lasciata sotto un tendone, un vecchio gommone riparato di recente chiuso in magazzino, una persona ammalata lasciata in un letto dove consuma pensieri sempre uguali, - come un disco rotto di vinile che ti riporta sempre sulla stessa riga e nota: ricordi di vita che non producono più niente e stanno dove il limbo del presente di allora li ha confinati senza alcuna possibilità di fuoriuscire e modificarsi.
L'abbandono è una vecchia casa di due piani e un giardino fitto di alberi che osservavo rivivere ogni primavera e piante da rinvasare e una cagnotta bastarda non bella a vedersi, ma dolce e affettuosa come solo i cani sanno essere e li amiamo di un amore speciale che è quello che non riusciamo a concepire o a ritenere bastante ai nostri bisogni di uomini: l'amore-sottomissione, l'amore senza condizioni, l'amore che offre quel che siamo e se è poco ed è insufficiente pazienza, non possiamo farci molto: queste nostre vite sono le storie che scriviamo, che abbiamo scritto in fretta e forse male, delle quali, sovente, non riusciamo a cogliere il senso compiuto e neanche quello intermedio e parziale.
L'abbandono è una sera di marzo che il cielo minacciava sfracelli e i lampi segavano il cielo in lontananza e lo specchio plumbeo della laguna li rifletteva e mi lasciavo alle spalle una mezza vita di intuizioni sempre parziali, di offerte di me sempre incerte, di ricerche affannose di una completezza, di una unione che passava per le vie traverse e labirintiche di un desiderio che scompare e riappare negli anni delle nostre vite con modalità che ci sono ignote e le scelte che compiamo di conseguenza sono quelle, dolorose e sofferte, racchiuse nei miti greci di Eros e Narciso e Venere e Marte e Persefone, perchè l'amore contiene la guerra e contiene la morte:
'Fratelli, a un tempo istesso, Amore e Morte, ingenerò la sorte. / Cose quaggiù sì belle, / altre il mondo non ha, non han le stelle.'
L'abbandono è una visione lontana di spazi aperti di laguna e isole sull'orizzonte che ti si imprime nei neuroni primigeni: quelli che persistono o si riproducono con uguale dna di ricordi e tristezze e solitudini dall'infanzia al letto di morte; è la compulsione a ricercare l'attenzione che ci scalda la memoria ancora e sempre, la coazione a ripetere di un rito, l'innamoramento, che ci scalda l'anima ogni volta con modalità sempre nuove e sempre uguali, ma brucia l'amore che è già stato e persiste (e strazia) perchè non sa più definirsi vivo e capace di agire nelle vite che continuano e la cenere della sua combustione non è quella dell'araba Fenice, bensì quella che ci dice il nostro destino di uomini e donne: perdersi e ritrovarsi solo nelle nostalgie, negli scrigni dei cuori - muscoletti-metafore ai quali deleghiamo il pompare incessante del sangue amoroso.
L'abbandono è non saper più dire cosa a chi non è più tra noi, ma brameremmo avere ancora tra le braccia e agisce nei sogni e durante i sonni disturbati e lo strazio maggiore è che gli diciamo le frasi che si riservano ai morti, ma siamo ancora in vita e ci risvegliamo e abbiamo ancora giorni e anni davanti e non sappiamo bene il perchè.

giovedì 15 gennaio 2009

fortezze e dolcezze

E se nevica, la si trasforma in un viaggio. Si sale sui modernissimi treni comprati col soldo abbondante dell'autonomia regionale e si guarda scorrere il paesaggio freddo di fuori comparandolo coi ricordi dell'estate che ti addolciscono il cuore.
E il paesaggio cambia alla svolta della Pusteria.
Dal bianco e nero assoluto, per il dominio incontrastato della neve alta e morbida, si passa a un grigio-nero degli abeti chiusi a lutto per il gelo e le montagne non sono più creste di roccia nuda variamente sagomate e striate di linee nevose, bensì cappucci di frate fitti di vegetazione arborea fin sulla sommità che incombono sulla valle restringendola.
Di là, è subito Bressanone, la bella cittade dei vescovi-principi, colle sue chiese e palazzetti di ricchi mercanti - col suo clima quasi primaverile e la bella gioventù ormai convertita alla convivenza pacifica del bilinguismo.
Ma Fortezza, dove sosto un'ora a causa di un piccolo ritardo, è roccioso monumento e triste di solitudine di epoche non troppo lontane dove si calcolavano le gittate dei cannoni di medio calibro e si costruivano le feritoie per le mitragliatrici puntate sulla strada e sulla ferrovia - l'una accanto all'altra in un passaggio stretto della valle dove il tiro al bersaglio non fallava un colpo.
La costruirono gli austriaci di Francesco Giuseppe, il Cecco Beppe dei soldati veneti che lo osteggiavano con rispetto sulle creste dei monti, e la potenziarono gli italiani vincitori sul Piave, ma il nemico nuovo della nuova guerra - solo trent'anni dopo - saliva da sud e la fortificazione non servì e restò monumento all'impero delle armi: alla loro stupidità e inutile forza contro il lavorio inesausto dei neroni evolutivi che - prima o poi - costruiranno le astronavi.
Si dice dei dinosauri, ma si può dire degli uomini delle generazioni appena scorse, colle foto fissate sui monumenti ai caduti e negli eleganti cimiteri: 'Estinti: troppa corazza, poco cervello'.

Anche questa vecchia persona che mi guarda da una epigrafe attaccata sulla porta della chiesa si è estinta. Aveva 93 anni, età incredibile: nata alla fine di una guerra, ne ha vissuta un'altra, più grande e peggiore, e forse vi ha perso il marito o i fratelli.
La chiesa è deserta e fredda; solo una vecchia di spalle sta ritta e fissa l'altare e biascica le orazioni pie. La chiesa non ha speciali attrazioni all'interno e solo prima di voltarmi e uscire vedo la bara davanti all'altare. Lasciata lì, sola, senza più testimoni d'affetto, perchè quando si vive troppo a lungo gli affetti si perdono ed è giusto lasciare questa valle di lacrime agli abitanti nuovi e diversi.
Fortezza è paese morto, triste, finis terrae e fine del tempo; chissà come e perchè ci vivono i residui abitanti con negli occhi sempre quel monumento alle armi inutili che oggi ospita mostre d'arte e di storia per turisti di passaggio: una breve ora di visita e via.
A Fortezza non si resta, si transita, puro snodo ferroviario verso altri orizzonti e paesaggi.

giovedì 8 gennaio 2009

per una sola volta....

.... mi lascio contaminare dalla bellezza di una canzone-poesia, presa a prestito da un'anima sensibile alla sofferenza umana.

Grazie Stefano (Jsg), per il tuo dirci che l'umanità ha larghi orizzonti e il suo viaggio è comune, ad onta delle odierne barbarie.



Worlds Aparts
Ti stringo fra le mie braccia, si è così che è cominciato
Cerco fede nel tuo bacio, e conforto nel tuo cuore
Assaggio il seme sulle tue labbra, abbandono la mia lingua sulle tue cicatrici
Ma quando guardo nei tuoi occhi, noi stiamo in mondi separati

Dove gli oceani lontani cantano, e risalgono lungo la pianura
In questa terra arida e travagliata la tua bellezza sopravvive
Lungo le vie delle montagne dove le strade rotolano nell'oscurità
Sotto la pioggia benedetta di Allah, noi rimaniamo mondi separati

A volte la verità non è abbastanza
O è troppo in momenti come questo
Gettiamo via la verità, la troveremo in questo bacio
Nella tua pelle sulla mia pelle, nel battito dei nostri cuori
Che la vita ci dia un'altra possibilità, prima che la morte ci separi

Lasceremo che il sangue costruisca un ponte, sopra montagne coperte di stelle
Ti incontrerò sul ponte, fra questi mondi separati
Abbiamo avuto questo momento adesso per vivere, dopo tutto sarà solo polvere
Polvere e oscurità
Che l'amore dia quello che da
Lasciamo che l'amore dia quello che da

http://it.youtube.com/watch?v=03E04roD57k

riferimento: Virgilio community 'Invece del patibolo'

i vasti orizzonti pacifisti

Tocchi temi di vasti orizzonti antropologici, politici, filosofici, cara Dipì e la trattazione si farebbe amplissima. Tuttavia ci provo.

Andrò a vedermi su Wikipedia quando e come si è arrivati alle libere elezioni in Palestina e come e perchè Gaza ha espresso Hamas e in Cisgiordania, invece, Fatah la fa ancora da padrona.
Quel che ricordo è che le elezioni colà si sono tenute -come in molte altre parti del mondo- sotto supervisione internazionale, per garantire le parti contro i brogli, e una forma di 'patronage' occidentale sulla democrazia giovane in quelle terre si può affermare senza tema di smentite.
In Iraq è stata imposta colle bombe, come sai, e colle armi in Afghanistan, e gli osservatori e i notisti politici dei vari giornali concordano nel dire che sul lungo periodo sarà difficile garantire la democrazia esportata, de facto, sulla punta dei fucili.

Perchè, come dici tu, i popoli devono arrivarci attraverso un loro percorso storico - per quanto vi sia da osservare che nella Storia si sono date parecchie 'sincopi' e la colonizzazione europea e le guerre commerciali e di conquista hanno avviato processi storici di nuovo conio che hanno abbreviato (talvolta spezzato) i percorsi culturali indigeni e introdotto elementi di 'modernità' in terre e contesti sociali destinati -per cultura secolare e oppio religioso- a dormire sonni tirannici (o di califfati e sceiccati che poco hanno da invidiare ai 'tiranni' d'antan).

Insomma, la globalizzazione delle guerre di conquista e delle 'geostrategie' delle nazioni imperiali, data da molto tempo prima della odierna 'globalizzazione dei mercati' che ha provocato la crisi di sistema in cui annaspiamo e converrai che il quadro delle relazioni internazionali è un collage parecchio confuso dove il 'rispetto delle culture' e delle tradizioni è termine dinamico e sovente contradditorio e gli odi e le guerre e i rapporti di forze tra fazioni contrapposte e stati e popoli vi hanno parte altrettanto dinamica.


A volte vien da rilassarsi e osservare quel che accade con una certa apatia e rassegnazione.

Il pacifismo nostro occidentale non ha mai cambiato le cose in nessuna regione in conflitto, ma solo alimentato le cronache giornalistiche e il dibattito fra i cittadini. Abbiamo una grande e viva coscienza di 'come dovrebbero andare le cose se...' e molto minore capace di 'fermare le guerre'. Questo è quel mondo, Dipì, facciamocene una ragione.

mercoledì 7 gennaio 2009

se le democrazie alimentano i conflitti

C'è un aspetto poco analizzato del conflitto che oppone Israele ad Hamas e, in generale, a tutti i gruppi, organizzazioni, partiti, stati, popoli che rifiutano il suo riconoscimento come entità statale consolidata e con pieno diritto di esistenza e influenza e dominio nell'area ( dominio che consegue allo sviluppo eonomico e alla ricchezza relativa con annessi e connessi ).
E' l'aspetto 'democrazia', in virtù della quale si possono eleggere al governo di una nazione partiti e persone di quei partiti che esprimono le peggiori tendenze di un popolo, i rancori, gli odi, i furbismi.

Avere eletto ' a furor di popolo' Hamas alla guida politica della striscia di Gaza ha portato agli odierni nefasti di conflitti annunciati con enfasi di dichiarazioni bellicose già allora, al tempo del trionfo e della leggittimazione popolare - e stupirsi per quanto oggi accade e stracciarsi le vesti è da insensati o da sciocchi, fate voi.
Chi semina vento raccoglie tempesta, dice un noto adagio e mai più cogente applicazione si è data e si dà in quelle terre disgraziate - infette da un virus bellicista apparentemente resistente a tutti gli antibiotici conosciuti e prescrivibili.

Come se ne esce, come ne escono le democrazie che tendono ad accreditarsi come il meglio espresso dal pensiero politico dell'umanità presente, passata e (forse, speriamo di no, auguriamoci che si trovino i giusti correttivi) quella futura?
Avere dato in mano lo strumento potente (perchè riconosciuto) della democrazia al popolo palestinese ha aggiunto olio alla fiamma degli odi e dei desideri di vendetta e annichilimento della nazione dominante e oppressiva e oggi l'impasse è evidente e stridente nelle diplomazie occidentali - americana ed europea insieme - che non sanno più a che santo votarsi perchè Santa Democrazia (occidentale) in Medio Oriente ha assunto le sembianze di Atena Pallade, la dea guerriera, che rivolge le sue armi proprio contro il padre suo che democraticamente l'ha leggittimata.

E' successo in Palestina, succederà in Irak o in Afghanistan quando le levatrici occidentali di un faticosissimo parto podalico smetteranno di prestare assistenza (armata) alla gestante democratica in palese affanno post partum e tornerà la guerra dei clan tribali, tornerà l'impero della Storia che non fa salti, non ammette vie brevi nel raggiungimento dell'obbiettivo di una democrazia piena e compiuta - conformata dalle regole fondative in modo tale da funzionare al meglio e garantire 'buongoverno della cosa pubblica' insieme al rispetto della volontà popolare.

p.s.

Visto come sono stato bravo? Sono riuscito a non nominare mai quel Tale, si, quello che ha un monumentale conflitto di interessi nella sua persona e disprezza le regole fondative costituzionali e le istituzioni democratiche e, ogni volta che è stato imputato di un crimine, invece di difendersi 'nel' processo, ha mandato 'democraticamente' i suoi avvocati di fiducia in parlamento per fare e disfare le leggi che meglio gli garantiscono l'impunità.
Anche qui una bella riflessione sui limiti tremendi delle democrazie andrebbe fatta, ma, certo, merita una trattazione a parte.

lunedì 5 gennaio 2009

in alto i cuori e gli sguardi

Cara Simona,

'evangelica' è la tua frase: 'dovevamo entrare in quei paesi con umiltà (...) offrendogli dei doni'. Ricorda tanto l'Epifania e i re magi.
A parte ciò, la questione Palestina e l'attuale, ennesima, guerra si inquadrano in un annoso conflitto le cui origini e sviluppi puoi proficuamente leggere su Wikipedia digitando la voce 'sionismo': origini, storia, ecc. ecc.
E' una pagina ben fatta che riporta voci politicamente diverse ed avvisa che la redazione dei testi può esprimere opinioni partigiane (dell'una e dell'altra parte), ma serve a 'dare un'idea' di dove, come e perchè si sia arrivati alle odierne contrapposizioni e odi e vendette e rivalse.
Ed esclude che c'entrino i doni da portare (chi li dovrebbe portare poi? noi uomini dell'occidente perchè ci sentiamo in colpa per le nostre povere solidarietà ed impotenze a fermare le guerre?).

In Palestina è in atto una delle tante 'pulizie etniche' che hanno caratterizzato la storia dell'Occidente - con particolare virulenza e intensità dopo la seconda guerra mondiale e la spartizione di territori che ne è conseguita tra le nazioni vincitrici e quelle sconfitte.
In Italia abbiamo avuto la 'questione Istria' e l'esodo di centinaia di migliaia di 'fiumani' e 'dalmati', ma è andata peggio alla Germania che ha restituito terre di confine sempre contese e lì i numeri della pulizia etnica sono molto più alti e - se hai voglia e tempo di estendere la tua ricerca storica - non ti mancherà materiale relativo all'impero sovietico e alle popolazioni delle diverse etnie che erano mandate a 'colonizzare' nazioni di relativa omogeneità di popolo e razza e religione per dare forma nuova al nuovo stato socialista.
Da quegli eventi, a noi vicini nel tempo, nacque il conflitto ceceno - per dirne uno solo dei molti che hanno afflitto le cronache da che l'impero sovietico ha cessato di esistere e gli stati satelliti sono diventati indipendenti e hanno cercato di trovare un faticoso (e sanguinoso) equilibrio.
E' tutto un rimescolarsi di popoli, territori e nazioni, quello che costituisce il complicato puzzle dell'Europa postbellica e la 'nazione ebrea' -dispersa e sterminata nel corso del Novecento (e anche prima)- ha trovato un suo approdo nelle terre 'storiche' di Palestina e vi ha compiuto la sua pulizia etnica.
Non molto difforme da quella che i pii coloni europei fecero nelle Americhe contro i pellirosse e, al centro e al sud, i religiosissimi spagnoli coi Maya, gli Inca e le altre popolazioni indigene, ma senza dubbio meno sanguinosa e 'stragista' e 'genocida' di quelle che imputiamo ai coloni nelle terre dei Sioux e Seminole e Navajos che conosciamo e ci hanno commosso grazie alle narrazioni cinematografiche di Hollywood.
Tutto ciò per dire che non dovremmo stracciarci le vesti per quanto accade oggi perchè è un portato -tragico quanto vogliamo- della storia dell'uomo dai tempi dell'assedio di Troia a quelli del Magno Alessandro che andava conquistando popoli e cittadi e dell'impero romano che si sgretolava sotto le ricorrenti 'invasioni barbariche'.
Non è cinismo, credimi, il mio, bensì informazione pura e semplice su : chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo. A farla da padrone sul pianeta Terra sono - sempre e senza alcuna eccezione - i rapporti di forza.
Il consiglio che mi sento di dare ai contendenti -sommesso e sconfortato- è: trattare, trattare, trattare. Ci sarà sempre chi ci rimetterà e si sentirà frustrato per i risultati di un ostinato lavorio diplomatico, ma il cammino dell'umanità è lungo e complesso ed ha larghi orizzonti e la guerra di Palestina è solo un piccolo angolo di mondo fiammeggiante per gli scoppi delle bombe che ci dice il durare della nostra avvilente preistoria di uomini, ma anche - per contrapposizione- la storia possibile futura di esseri vocati alla conquista del cosmo.
In alto i cuori e gli sguardi, Simona.

sabato 3 gennaio 2009

le logiche della guerra

'Loro' (i palestinesi) pensano di essere nel giusto, Dipì. Il problema è sapere cosa sia 'giusto', in quei territori di sangue e odio tramandato lungo le generazioni. E' giusto che Israele tolleri i razzi kassam? quanti? fino a quando? Oppure deve difendersi? E quanta difesa può essere considerata 'giusta'?
Secondo i militari israeliani (la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi) fino a che non sia eradicato il virus bellicista chiamato Hamas casa per casa -considerato che le case sono depositi di armi e nascondono le rampe di lancio dei missili.
Vero che il problema è economico, mia cara. Ma Arafat, al tempo suo, preferì non andare al dunque e gestire un accordo di pace che prevedeva tonnellate di denaro da parte del mondo intero al fine di far cessare le ostilità e iniziare un'era di pace e prosperità. Poi, alla sua morte, si seppe che le banche europee pullulavano di conti correnti intestati al leader o a prestanome e che la direzione di Al Fatah era piena di uomini corrotti e/o corrompibili -come, troppo di sovente, accade in tutti i governi del pianeta.
Non se ne va fuori da questo quadro di infamie contrapposte, Dipì, e la guerra di oggi è davvero l'unica 'politica' possibile e praticabile perchè gli 'altri mezzi': le ideologie fondamentaliste, i rancori, le frustrazioni, le rabbie, non funzionano, non portano a trattati di pace e continuano, invece, a riprodurre il mostro dell'odio fin nelle coscienze dei bambini di quella e questa sponda.
Tocca tollerare la guerra come un modo orribile di risolvere un'altro stadio del conflitto storico tra i due popoli giunto a maturazione stagionale. 'L'unica igiene del mondo', scrivevano i futuristi della guerra e sulle rovine fumanti e sulle migliaia di morti che ne seguirono e le vedove e i mutilati cominciarono a maturare i pensieri della dolcezza e del pacifismo europeo. Ma una seconda guerra mondiale scoppiò dopo meno di trent'anni su base di nazionalismi e fascismi e ideologie della razza.
Ci vogliono i decenni, purtroppo, non i giorni e i mesi, per giungere alle conclusioni sensate e ai trattati di pace che potevano essere formulati dagli uomini di pace già prima che il conflitto deflagrasse. La guerra, i vinti, i vincitori, servono solo a far capire anche all'ultimo degli sciocchi che la logica della forza e le sue facili predizioni di vittoria e/o sconfitta devono essere prese in esame prima di iniziare un conflitto e di sparare un razzo o un missile.
E chi sa di rischiare la sconfitta perchè una forza militare soverchiante lo fronteggia non dovrebbe mai 'dare il la' allo s-concerto di una guerra annunciata. Se lo fa, la sua è la logica di chi si immola insensatamente: 'meglio morire tutti che tollerare questa vita'.
E' condivisibile questo genere di pensieri che agitano le notti e i giorni dei fondamentalisti di Hamas e dintorni? La logica del martirio sorretta dal pensiero religioso che 'chi muore per il trionfo dell'islam avrà un premio nell'al-di-là', la logica dei kamikaze? Non ti rievoca i ne-fasti delle Crociate?
Così vanno le cose nel mondo degli uomini di cui facciamo parte, Dipì, e non possiamo farci molto.
Arriverà il tempo che guarderemo alle stelle, invece che agli angusti confini di territori contesi, e la speranza è che i posteri non siano così stolti da esportare le logiche di guerra anche sulle astronavi.

venerdì 2 gennaio 2009

di amore non si muore

Di amore si vive e si muore, quest'ultima eventualità più rara, per nostra fortuna.

Tuttavia la sofferenza d'amore segna i visi e costringe le coscienze in morse di gelo, finchè il dolore non scioglie in lacrime i vuoti o i troppo pieni che non si travasano nel giusto contenitore.

Amo i film storici perchè - se ben fatti - sono compendi di bella pittura e danno un sacco di informazioni accessorie sulla storia degli uomini e delle donne, sulle lore pene e gioie, costumi e vizi e su come si tirava l'anima coi denti in basso: tra i ceti operai e contadini che formicavano nelle città e, qualchevolta, toccavano il fondo della mendicità e della criminalità - come accade, più raramente, anche oggi, in verità.

'Duchessa' è un bellissimo film sui buoni sentimenti che commuovono, talvolta, perfino i membri dell'aristocrazia. Cosa rara, perchè 'noblesse obblige', come sapete, e le convenzioni sociali tra duchi e baroni e conti la fanno da padrone e ingessano i moti del cuore e li costringono dentro i matrimoni di interesse e la necessità di tramandare ai posteri i 'quarti di nobiltà', così importanti alla fama e alla ricchezza dei casati.

Questa 'duchessa' di cui si narra, invece, si stupisce della povertà d'animo del marito che pure credeva di amare, di cui si dice innamorata fin dalle prime scene, ma il marrano la stima quanto una sua cagna, cinofilo antelitteram: buona per ingravidarla e dargli il successore, il sesto duca della casata. e invece si ritrova con tre femmine per casa e la prima figlia consegue a una sua scopata ancillare, ma viene allevata dalla moglie come sua.

Dura così finchè la duchessa, donna intelligente e sensibile, non la 'butta in politica' e si innamora di un futuro 'primo ministro', - il resto non ve lo dico perchè dovete andarvelo a vedere.

Questo film ha paesaggi di straordinaria intensità pittorica, quadri di città in movimento e costumi e carrozze e abiti e parrucche che da soli meriterebbero la visione, ma è l'intreccio abilissimo tra le costrizioni di stato sociale aristocratico e la notoria mobilità dei sentimenti umani che incanta davvero e quei primi piani dei protagonisti - lei più di lui, (R. Fiennes, costretto in un ruolo ingrato) - che evidenziano la bravura sovrumana nel dire il dolore, l'ansia, lo strazio, la rabbia, ma anche: il compiacimento, la malizia sapiente, i sorrisi di felicità, l'estasi di un amore brevemente -troppo brevemente - realizzato.

Il resto lo sapete: la duchessa soccomberà, soffrirà terribilmente, l'amore subirà l'ennesimo smacco e conti e duchi e baroni la faranno da padroni, come dice la storia.

La Rivoluzione francese è alle porte, ma quella è davvero tutta un'altra storia.

enclaves e guerre di conquista

Non è chiaro chi siano gli indigeni, in quelle terre, Nanettosx.

Entrambi i contendenti rivendicano una appartenenza storica a quelle terre di passione e di morte (dal Golgota alle Crociate, ma, ancora prima, l'assedio di Gerico e le tribù giudaiche che colonizzavano i territori e vi si radicavano nel nome di Jahvé) che rende il contenzioso storicamente inestricabile e irrisovibile.

Sarebbe più sensato (ai fini di capirci qualcosa e provare a con-vincere) tenersi ad anni più prossimi e partire dalle risoluzioni postbelliche che hanno assegnato quei territori ai sionisti sopravissuti alle stragi e ai pogroms del Novecento.

Come per tutte le risoluzioni umane, quella determinazione postbellica presentò problemi di convivenza vieppiù crescenti fino alle odierne guerre guerreggiate senza soluzione apparente - e l'arma letale in mano ai palestinesi non è il razzo Kassam o qualche altro missile fornito dall'Iran o dalla Siria o da qualche ignoto sceicco di Dubai o dell'Arabia Saudita, bensì l'esplosione demografica dei palestinesi.

Una delle questioni sulle quali si è spezzato l'accordo con Arafat sotto l'alto patronage di Bill Clinton, ricordi?, era proprio il ritorno di tutti i profughi nei Territori.

Prova a immaginare la qualità della vita che ne scaturirebbe e se è vero che possiamo imparare dalle formiche a convivere con il caos è anche vero che dalle formiche dovremmo imparare l'olimpica indifferenza per le vite dei singoli perchè trionfi la 'quantità' potenzialmente catastrofica dei soggetti che danno vita a un formicaio.

Non è questa la logica dell'Occidente diversamente evoluto e anche questa potrebbe essere una osservazione su cui riflettere e proiettare le differenze tra un modello culturale (il nostro occidentale che è anche quello degli israeliani) e quello dei popoli arabi senz'altro più prossimo alle logiche dei formicai.

Poi, naturalmente, c'è da osservare che 'la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi' e voler negare la potenza bellica di Israele e sfidarla stupidamente come fa Hamas cogli spilli-kassam - ricevendone valanghe di bombe dagli f-16- è anch'essa una logica 'da formicaio' - o, se vogliamo, da antiche guerre di conquista degli sceicchi che hanno fatto l'Impero dell'Islam: lanciando migliaia di guerrieri felici della morte in battaglia contro le antiche cittadi gloriose di antica civiltà.

Una logica e tattica storica di conquista che continua, mutatis mutandi, coi kamikaze odierni e col radicarsi dei guerriglieri di Hamas nelle case e tra il popolo, così coinvolgendolo (necessariamente) nei bombardamenti e nella conta dei morti e dei feriti.

Con queste logiche e contrapposizioni storico-tattiche e coi deliri della Jiahd che ancora agitano i sonni di troppi palestinesi e popoli arabi non se va fuori, caro Nanettosx. Servono logiche di pace e aggiornamenti culturali alla postmodernità - e i popoli arabi dovranno affacciarvisi, prima o poi, e prima sarà, prima comincerà l'era dell'Acquario, un'era di pace e convivenza della quale dovremmo riempire le menti e gonfiare i sogni tuttti noi, destri e sinistri ( e centri).

Buonissimo anno nuovo, caro.