venerdì 31 marzo 2023

Reportages dall'Altro Mondo.

 



 

Civiltà che muore - L'altro ieri accadeva
Via dalla città (le colline, i guajiros, le vacche) - Martedì 14/04/2008

Via dalla città. Quattro giorni all’Avana bastano e avanzano per metabolizzarne i suoni, le atmosfere evidenti e segrete, gli eccessi. La città vecchia è preda del turismo di massa e ha i suoi riti avvilenti : ballerini di samba e salsa sui trampoli, vecchie signore in costume e grosso sigaro in bocca sedute in punti strategici, pronte alla foto e relativo obolo.
Il kitsch turistico ha aspetti uguali all over the world, sipario.
La città vera, degli habaneros in perenne ricerca di opportunità e senso da attribuire alle vite di ogni giorno, è città di odori forti e macerie, rumori e musiche ad altissimo volume ad ogni ora del giorno.
Vitale come una Napoli milionaria, depressa come ogni città del ‘subdesarollo’ tropicale.
L’eccesso di ‘colore locale’, il vitalismo esasperato, gli esotismi da tollerare con un sorriso ebete sulle labbra non sono più nelle mie corde; li cedo ai viaggiatori delle generazioni nuove che meglio di me sapranno coniugarli e goderseli.
La valle di Vinales (un intreccio di valli) è a ovest di Avana. Ai piedi della Sierra de los Organos, questi luoghi di idillio campestre godono anch’essi della speciale protezione di ‘patrimonio dell’umanità’. E’ un posto gradevole dove soggiornare, cosparso di basse colline carsiche: un gruviera di grotte scavate da fiumi antichi e segreti e la vegetazione tropicale a vestirle di fuori di un verde più chiaro di quello dei campi coltivati a caffè e tabacco – il migliore dell’isola, si dice.
Nelle pianure ai piedi dei ‘mogotes’ infittiscono le costruzioni nuove dei contadini che qui convergono per partecipare ai ludi nuovi della ricchezza che verrà, che già si odora. Le grotte maggiori, fitte di stalattiti e stalagmiti dai curiosi decori attirano un discreto numero di viaggiatori e il turismo dei torpedoni delle escursioni di giornata.
Il passa-parola tra gli indigeni è che questa nuova ‘industria’ turistica paga facile, è il futuro dell’isola. Nascono come funghi nuove ‘casas particulares’ (pensioni e locande a conduzione familiare) e l’effetto saturazione pare prossimo, in verità. I figli dei contadini più anziani si improvvisano guide per i sentieri nascosti dentro le valli più impervie e meno conosciute a indicare cascatelle e sorgenti e mostrare i panorami al tramonto.
La sera riscalda i colori e lungo il sentiero che mena all’ultima casa del paese ai piedi di un basso ‘mogote’ parliamo con un vecchio guajiro (contadino) fiero del suo ‘secador’ fitto di foglie di tabacco appese.
E’ stato un buon raccolto, dice, e il governo gli comprerà l’intero raccolto lasciandogli una modica quantità per il suo consumo personale. Uguale destino per il caffè che cresce di un bel colore verde intenso e lucido e circonda la casa -semplice e arredata con l’essenziale per vivere e lavorare.
Il governo decide anche le colture, riducendo i rischi economici, ma non mette al riparo dai cattivi raccolti e la pensione sociale è un sogno negato ai vecchi che lavorano fino a che regge il corpo e la salute.
L’intero paese di Vinales è fitto di scritte che inneggiano a Raul e a Fidel, alla verdad rivoluzionaria, perfino al comitato municipale che si riunisce il tal giorno nel tal luogo -come se da noi si inneggiasse con manifesti e scritte murali alla prossima convocazione del consiglio comunale e/o provinciale. I cartelli di questa pedagogia sociale forzatamente entusiasta sono dappertutto, inchiodati sugli alberi del viali, dentro i rari negozi e le cadecas (case di cambio-moneta), dipinti sulle case e i ristoranti.
Difficile dire quanto di questo entusiasmo rivoluzionario sia condiviso dalla gente non attiva nei comitati e filiazioni locali del partito unico.
Voci di aperto dissenso non se ne ascoltano, in verità, e se è vero che ‘taci, il nemico ti ascolta’, è vero anche che capita di ascoltare lodi esplicite e sincere al sistema sociale che garantisce istruzione e salute e l’annona -agenzia governativa incaricata di distribuire al popolo le merci e i prodotti necessari. Una sicura simbiosi tra governanti e governati si dà, agisce, opera fattivamente e capillarmente.
‘Revolucion en cada barrio y pueblo’ è lo slogan più letto, ma anche ‘la mentira (menzogna) es abiecta’ e ‘abbi cura del bosco’ e ‘raccogli la tua immondizia’. Una pedagogia scolastica e civile sposata ai vecchi incitamenti rivoluzionari e ancora la memoria dei martiri e l’onore ai caduti per la patria e l’ideale socialista.
Un nazionalismo vestito di rivoluzione sociale che sempre, ossessivamente, addita la colpa dell’odiato nemico storico, responsabile del ‘bloqueo economico’ e maledetto fomentatore dei moti contro-rivoluzionari dei fuoriusciti – sempre vittoriosamente respinti con perdite in vite umane e prigionieri.
I Bush padre e figlio, Clinton, ma anche il Kennedy della Baia dei Porci che ritirò all’ultimo momento l’appoggio aereo necessario allo sbarco dei rivoltosi, così creando la leggenda di un Fidel Castro combattente invincibile.
Leggenda che egli alimentò mettendo il carro armato da lui guidato nel corso della battaglia a monumento centrale nella ‘piazza della rivoluzione’ della capitale.
Ha un sapore vagamente retrò e di trapassato remoto questo insistente inneggiare ad eventi ormai lontani nel tempo – insieme un sintomo di timore che l’oblio si stenda su quelle gesta leggendarie e sui valori che ne sono scaturiti, ma anche un ostinato ripetere: ‘attenti, il Grande Fratello vi osserva e sorveglia, comportatevi come si deve’.
Uno slogan – invero rubato a Martì, il martire della prima indipendenza cubana- è perfino commovente e quasi metafisico. Dice che ‘l’anima rivoluzionaria è come l’anima visibile’.
In tempi di ‘silenzio di Dio’ e di anime morte e/o silenti e invisibili ai più, una tale affermazione dovrebbe preoccupare non poco gli ostinati pedagogisti al governo di questa nazione.

Hasta la vida, siempre! - 19 dicembre 2014

Non sarà Obama il solo ad avere dei problemi per la decisione che ha preso di avviare un processo di pacificazione e 'normalizzazione' con la storica roccaforte socialista cubana.
E' vero che i repubblicani - maggioritari in entrambi i rami del parlamento a partire dal 2015 - hanno giurato a Obama di fargli vedere i sorci verdi in proposito e tuttavia è Raoul Castro ad avere la patata bollente in mano e non sa bene come e cosa consegnare di 'imperialistico' e 'capitalistico' al suo popolo che bazzica poco Internet e l'economia liberista non sa bene che sia e quanto 'mercato' potrà governare la sua economia sostituendosi allo 'stato'.
Perché il rischio che all'Avana 'vada tutto a puttane' è alto, altissimo e l'esperienza fatta con Batista e i suoi casinò e tutta la mitologia negativa relativa ai maledetti 'gringos' che conosciamo tramite libri e films famosissimi brucia ancora nelle teste dei membri del Comitato Centrale del partito.
E l'iconografia e i paesaggi urbani desolati che 'fanno tanto Cuba' e quelle magnifiche scritte e cartelli che danno conto della lotta mortale contro l'ideologia capitalista che sono piaciuti a centinaia di migliaia di devoti visitatori che fine faranno?
Dovrebbero istituire un museo della 'revolucion' e metterceli dentro, quei magnifici reperti, con tutte le fotografie della resistenza e della vittoria finale nella Baia dei Porci – a futura memoria e per dire che la dignità dell'Uomo Socialista non è vendita e non si svende alle multinazionali del turismo, così come non lo si è fatto con la Coca Cola e con la famigerata United Fruits che ispirava i golpes latino-americani, il Cile dell'eroico Allende incluso.
Hasta a la vida y la victoria, siempre!


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Arridatece Platone.



 

Sono ammirato dei prodigi della scienza e delle tecnica e di quel mondo professorale di matematici e fisici e cosmologi che girano per i campus universitari delle nazioni più progredite e ne ascolto gli echi a radiotre-scienza la mattina. Gente svagata, gli scienziati, che mentre siedono nella poltrona di casa in ozio apparente hanno attivi dentro la scatola cranica una quantità straordinaria di neuroni vitalissimi che inanellano sinapsi geniali e disegnano geometrie complesse ed equazioni da riempirci due lavagne.
E come Platone (si parva licet) mi chiedo se non sarebbe il caso di bandire tutta la consorteria dei sedicenti 'politici' democratici da tre palle un soldo - che ci affanna e danneggia la vita del popolo con le scelte platealmente sbagliate e designare al loro posto i professori e i filosofi emeriti – un 'governo dei Migliori' per intenderci, responsabile solo davanti ad un 'Comitato di salute pubblica' rinnovato di sei mesi in sei mesi per evitare il manifestarsi di fatti corruttivi. https://filosofiainmovimento.it/politica-e-utopia-la.../
Lo so che la questione è complessa e di gran peso – a partire dal dibattito aperto da Popper sulla poca liberalità di siffatta aristocrazia di governo – ma fare peggio di questi eletti da un tanto al chilo a cui affidiamo l'avvilente gestione della 'cosa pubblica' è difficile davvero e forse una o più equazioni geniali si possono scrivere che sorreggano l'architettura di una Repubblica nuova illuminata dalla luce dell'intelligenza.
Non si pretende la formula della relatività generale applicata alla politica, badate bene, ci accontenteremmo di decisioni radicali e salutari tipo far uscire l'Italia dalla Nato e da una Europa prona ai diktat degli Stranamore di Oltreatlantico che accettano l'azzardo e la follia della disfida termonucleare quale 'rischio accettabile' nella querelle ucraina.
Una maledetta guerra – oggi combattuta per procura Nato e per l'insensata primazia geo strategica est ovest che l'Europa avrebbe dovuto ragionevolmente lasciare al suo destino di 'guerra regionale' – conseguente alle scelte sbagliate di quei governanti (gli ucraini) che hanno rifiutato le giuste tutele politiche alle popolazioni russofone del Donbass e degli altri 'oblast' confinanti con la Russia.
P.s. E' appena il caso di notare che, invece del filosofico 'governo dei Migliori' negli ultimi anni abbiamo avuto lo s-governo di comici di bassa lega che hanno interpretato loro malgrado i noti, avvilenti ruoli tragici sul proscenio della cosa pubblica.
Arridatece Platone.


FILOSOFIAINMOVIMENTO.IT
Politica e utopia: la ‘Repubblica’ di Platone nel XX secolo - Filosofia in movimento
Politica e utopia: la ‘Repubblica’ di Platone nel XX secolo - Filosofia in movimento
FILOSOFIAINMOVIMENTO.IT
Politica e utopia: la ‘Repubblica’ di Platone nel XX secolo - Filosofia in movimento
Politica e utopia: la ‘Repubblica’ di Platone nel XX secolo di Francesco Fronterotta La politica disegnata dalla Repubblica platonica è stata fortemente condannata nel Novecento, in specie da Popper, a causa del suo “totalitarismo” e della sua distanza dai valori del liberalismo. Un modo pe...

 

giovedì 30 marzo 2023

Guadi.

 

Guadi - 30 marzo 2014

I guadi non sono mai stati facili. Mi è capitato in Birmania – che le ruote della jeep scassatissima su cui mi trovavo a viaggiare slittavano nell'ocra del fango molliccio di un placido torrente che attraversava la foresta - e solo a sera giunsero gli aiuti di magrissimi contadini coi cappelli a cono allargato e coi pali sulle spalle che ci salvarono da una notte disagiata e fitta di 'richiami della foresta'.
E ci sono metaforici guadi delle nostre vite che sembrano non trovare nessuna spinta e aiuto per traghettare indenni - proprio quando con piglio cesaresco avevamo pronunciato un fatidico 'Alea iacta est!' e ci dicevamo pronti a sbaragliare i Galli e i Germani chiusi a testuggine e gli scudi sopra le teste.
E che l'Italia sia in mezzo a un guado lo 'tocchiamo con mano' sfogliando i giornali e facendo zapping alla tivù e non sappiamo decidere se confermare la fiducia a Renzi-Temistocle che porterà il paese fuori dal pantano o se scendere in guerra con l'Europa e votare la schiera dei 'grillini' alle europee per 'dare un segnale' che siamo arcistufi della povertà diffusa e del lavoro che non c'è.
Potremmo andare tutti quanti ai seggi elettorali e 'farli neri' quei grigi burocrati europei dal sorrisino facile e le supponenze di chi intasca tutti quei dindini e i 'gettoni di presenza' e alloggia negli alberghi di lusso di Bruxelles alle nostre spalle - giusto per vedere 'che effetto che fa' ritrovarsi con una marea di voti a destra e anti Europa.
A proposito, ma i grillini saranno di destra o di sinistra? Non ci dormo la notte, sapete. Io che credevo di essere un rivoluzionario e mi ritrovo, a questa cara età, a constatare che già l'applicare le leggi e il farle rispettare sarebbe rivoluzionario in questo ca... di paese.

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Inferni. Istruzioni per l'uso.

Inferni comparati - 30 marzo 2018

Dunque l'inferno non esiste – Francesco dixit. Per equiparazione e proprietà transitiva anche il paradiso ha ottime possibilità di essere la macchietta televisiva del caffè Lavazza piuttosto che quel luogo luminosissimo fitto di Troni e Dominazioni e schiere di Arcangeloni in formazione para militare disposte tutte attorno alla Lux Maxima che 'vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole', come scriveva il Poeta.
Resta il fatto che sul mito dell'inferno e dei diavoloni coi forconi che affondano nelle carni frolle dei penitenti per l'eternità e gli echi orribili delle 'orribili favelle e grida di dolore e accenti d'ira' è vissuta una larghissima schiera di esseri umani sottomessa al Terrore Eterno delle predicazioni gesuite e domenicane ammannite dai famigerati pulpiti sulle teste dei penitenti di ogni età cosparse di cenere.
Coerenza vuole che Francesco chieda perdono, - la tiara in testa e a nome di tutti i suoi malati predecessori sul trono di Pietro - a tutti quei poveretti che sono morti nel terrore delle visioni apocalittiche e punitive del mito infernale costruito ad arte per sottomettere ad ubbidienze terrene i sudditi di ogni feroce e corrotta monarchia che ha inquinato la Storia.
E, invece, eccolo scusarsi e far precisare dai suoi addetti-stampa che: '...veramente il Papa non ha detto questo.' E hanno sbagliato tutti quei giornalisti a riportare le frasi incriminate dell'intervista con il gran vegliardo Scalfari Eugenio, fondatore di 'La Repubblica'.
Perché il mito dell'inferno, ben lo sappiamo, è mito fondativo e basico dell'organizzazione religiosa 'Santa Romana Chiesa' che sul Terrore dell'Aldilà ha estesamente campato nei saeculi saeculorum - e il suo franare nella confusione della presente torre di Babele delle lingue confuse e della anarchia teologica e 'relativismo religioso' che sconfina con l'ateismo rischia di rendere fragilissimi i pilastri della Dottrina e buona notte al secchio.
E da qui in avanti sarà solo la Bontà e la Misericordia erga omnes e urbi et orbi, inclusi gli infedeli seguaci del profeta della confusa predicazione di Francesco, a tenere unite le folle che si adunano in piazza san Pietro e nelle 'adunate oceaniche' delle piazze e stadi dei viaggi papali.
Ma, forse, è 'l'inferno in terra' che viviamo e che si sostanzia di guerre assassine e orchi terroristi radicalizzati sul web ad avere indotto il buon Francesco a negare l'esistenza del secondo inferno perché le torture e le efferatezze e le ferinità del primo sono ben maggiori delle atrocità immaginate dal sommo Poeta nel suo viaggio laggiù dove 'sarà pianto e stridor di denti'.

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domenica 26 marzo 2023

Antiche metafore e allegorie.


Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo.  - 27 marzo 2020

Possiamo ricorrere alle antiche metafore e allegorie per meglio rappresentarci i tempi grami che stiamo vivendo. La Morte non ha bisogno di spiegazione: è nei numeri, sempre più alti, dei contagiati morituri intubati nei reparti di rianimazione: un repulisti epocale di anziani che avrebbero potuto godere ancora di qualche altro anno o decennio di vita e sono falciati impietosamente dalla Contadina che pareggia sapientemente le erbe dell'umano prato.
E il diavolo chi è? Sappiamo qual è la sua mela tentatrice, offerta ai paesi di affaccio mediterraneo in gravissimo affanno respiratorio da corona virus: 'Lasciate andare quest'Europa ladra e assassina' - sparagnina anche in tempi di pandemia e le economie ferme al palo a motori spenti e l'impresa di Sisifo prossima ventura di risalire la china non appena il virus mostrerà la corda e darà segno di non sapere più condurre da par suo l'oscena danza macabra della strage planetaria.
O, di contro, non un diavolo, bensì una paciosa diavolessa sparagnina: quella Merkel che continua a tenere stretti i cordoni della borsa europea, alleata all'Olanda dell'etica protestante degli antichi mercanti e navigatori che sempre pensano al dopo: al macigno del debito a voragine che mai più pagheranno le formiche italiche e greche e spagnole perché 'chi ha dato, ha dato, ha dato e chi ha avuto, ha avuto, ha avuto, scurdammoce 'o passato'...'.
E il Cavaliere? Non certo Giuseppi, il furbo avvocato che si è tolto d'impaccio digrignando i denti nel corso della video conferenza dei capi di stato e di governo che avrebbe dovuto sciogliere gli odiosi impacci e i lacci europei dell'era dell'austerità che ci lasciamo alle spalle – e non ha firmato il Mes: il trattato economico finanziario che metteva, si, a disposizione una pacca di miliardi ai paesi in difficoltà, ma stringeva il cappio al collo dei carnefici della troika e delle loro misure lacrime e sangue, già imposte alla Grecia, una volta giunto il momento delle restituzioni.
E allora chi è il Cavaliere della metafora cinquecentesca? Non è Draghi, che si tiene in disparte e lontano dall'arena del presente s-governo dell'emergenza-corona virus perché 'nondum matura est' – e non vuole finire a fare il drago trafitto da san Giorgio nel momento in cui maturerà l'uva di un 'governissimo' che si assuma l'onere delle pesantissime decisioni per uscire dalla crisi economica peggiore dal dopo guerra ad oggi.
Lasciamo aperta l'incognita. Nei prossimi giorni, speriamo non mesi, si decanterà il miscuglio e la pozione fumante nell'antro dei maghi dei presenti medici politici che ci dicono e ripetono fino alla nausea in tivù che 'andrà tutto bene' e 'ce la faremo'. E apparirà, finalmente, sulla superficie della pozione non più fumante la limpida figura del Cavaliere in questione.
No, non il Cavaliere mascarato dei tre lustri di s-governo ultimi scorsi, che avete capito?
E neanche il 'Blaue Reiter' gioioso sognato dagli artisti espressionisti prima che la prima guerra mondiale disperdesse i membri del gruppo e montasse l'incubo della Morte nelle trincee e sui campi di battaglia – con finale in tregenda dei milioni di morti della 'spagnola'.
Abbiate pazienza. Ancora qualche giorno di pandemia galoppante e picchi ancora distanti e vi sarà sciolta la metafora. Intanto #restateacasa e godetevi la splendida incisione di Albrecht Durer.

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La Follia e il Metodo.

 



 

La follia che si accompagna al metodo - 27 marzo 2015

'C'è del metodo in quella follia', dice Shakespeare di Amleto. E' da allora, da quei tempi lontani e tragedie ambientate in un castello danese che sappiamo che 'c'è del marcio in Danimarca' - e oggi in Germania perché 'tutto è il mondo è paese', da che le frontiere si sono aperte o sono state scardinate di forza dai milioni di nuovi barbari inurbati, - e l'orizzonte di futuro prossimo e remoto è un melting pot indistinguibile e umana melassa ed eventi sempre più caotici e non governabili.
E che la follia di Lubitz (il pilota tedesco suicida) si trascini dietro il senso di onnipotenza di far morire insieme 149 persone e abbuiarne e disintegrarne le storie è mistero che gli psichiatri si incaricheranno invano di spiegarci, perché in quella follia – come in quella di Amleto – siamo trascinati tutti a forza.
Al punto da dirci tutti 'anormali' e mettere in discussione il concetto stesso di normalità, considerata la perdita e l'orphanage collettivo di ogni valore riconosciuto e limite e 'norma' universalmente riconosciuta e coralmente rispettata.
E Basaglia, bravamente, ce li ha restituiti, i matti, e li ha detti normali al nostro pari - con qualche picco di confusione e marasma controllabile chimicamente e socialmente accettabile – e, per proprietà transitiva, siamo diventati tutti un manicomio a cielo aperto e dobbiamo elaborarla a forza, la follia, e riconoscere che si accompagna di buon grado al metodo; è lucida e 'ragionata' con la freddezza di chi mette mano ai comandi di un aereo e lo porta con regolarità programmata a bassa quota e infine lo schianto.
Ma altre follie metodiche mi sovvengono – come quella di un tale Kabobo, 'l'uomo nero' mal integrato e perciò reso 'folle', che alle quattro del mattino, armato di piccone, fracassava i crani dei poveri cristi indifesi che incontrava nel silenzio dell'ora, uno via l'altro. La morte che cammina, l'hanno detto, evocando figure simboliche dell'immaginario medioevale esploso prepotentemente nel terzo millennio delle mille sciagure e conflitti permanenti.
E che dire della costituzione di un 'califfato', con arruolamenti via internet di 'cittadini' rinnegati di seconda generazione, al tempo della tecnologia onnipotente e che apre scenari di conquiste del cosmo e i meravigliosi anelli sotterranei dove i postmoderni stregoni fanno girare vorticosamente la 'particella di Dio', vulgo 'neutrino'?
La storia che va col passo del gambero ci consegna, ad ogni nuovo giorno, il suo 'fatto del giorno' malato e sciagurato di una 'nave dei folli' umana che si stupisce della sua follia metodica e programmata e lucida perché, da sempre, aspira a scoprire il 'disegno di Dio' dietro le caotiche cose del suo vivere e andare e moltiplicarsi conflittuale finché 'morte non ci separi' e, di là della morte, è il nulla delle buie origini. L'ultima e prima 'follia' che spingeva il poeta a chiedersi: 'Ma perché dare al sole / perché reggere in vita / chi poi, di quella, consolar convenga? / Se la vita è sventura, / perché da noi sì dura?'
Tale è la vita mortale.


Del temporeggiare e affinare il giudizio.

 


A qualcuno tra voi è ben nota l'espressione 'A nemico che fugge ponti d'oro.'
Ma qualcosa, dalle parti di 'via Rasella', è andato storto e quei capi partigiani decisero che fosse più conveniente alla causa della Liberazione portare a termine – con successo – l'azione di disturbo sul nemico in lenta ritirata e sul terreno, dicono gli storici, rimasero ben 33 soldati tedeschi.
Ma quell'azione partigiana di successo si lega, storicamente, al suo maledetto seguito di rivalsa e vendetta degli ufficiali tedeschi che avevano in pugno la capitale ed ecco, di lì a poco, la 'strage delle Fosse Ardeatine' – risposta durissima e spaventosa del tedesco incattivito per la sconfitta che decise la rappresaglia di '10 italiani per ogni tedesco ucciso'. Più cinque d'aggiunta per non farsi mancar nulla e alleggerire il carico nelle prigioni.
Ricordo un dibattito infuocato di trenta e più anni fa, che metteva il dito su tanta piaga e alcuni coraggiosi ( o sventati?) azzardarono il dubbio che forse si poteva lasciar correre, temporeggiare, dare il tempo al nemico in fuga di completare la ritirata – tanto, a sud, avanzavano le truppe festanti degli Alleati e l'esito di quella vicenda militare era segnato – lo sapevano tutti - e bastava dar 'tempo al tempo' e capitalizzare la vittoria annunciata e limitarsi a controllare le colonne in fuga e tenere i contatti con i generali americani e britannici.
Ma chissà che cosa agitava i sonni di quei capi partigiani di via Rasella e quale medaglia militare hanno inteso appuntarsi sul petto con quell'azione, da segnalare al Cln a futura memoria – e sappiamo che, quanto a coordinamento militare, la mitica Resistenza italiana aveva parecchio da imparare e c'era ruggine tra un capo partigiano e l'altro se era diverso il partito di riferimento: azionisti, democratici cristiani o comunisti.
Apriti cielo! Se oggi basta uno sternuto, anche compresso e contenuto, per sentire levarsi dagli italici petti ognora e sempre 'anti fascisti' l'inno del partigiano che tutti ci porta via (chissà dove, chissà dove), figuratevi il calor bianco del dibattere di allora – che nelle sedi del partito della fiamma troneggiavano in bella vista i busti malandrini e i gagliardetti fatali e le sedi erano presidiate notte e giorno e, di quando in quando 'ci scappava il morto' tra le opposte fazioni.
Però non ci dormo la notte al pensiero di cosa avrei deciso io in quel frangente esiziale per la storia della Repubblica. Propendo che avrei votato contro l'azione partigiana di via Rasella, sottolineando proprio i rischi di rappresaglia. Ma forse sarei stato giustiziato dai miei compagni per vigliaccheria, chissà, all'epoca non si andava tanto per il sottile.
Guardatevi Porzus, il film (o leggetevi il libro).
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