lunedì 30 maggio 2022

Quel che ci dicono le donne.

 

E tra le frasi topiche del post moderno annoveriamo anche la fatale: 'Le donne parlano.'
Una loro qualità precipua, per la verità, perché, diversamente, non avremmo il cicaleccio che rallegra i mercati rionali e le frasi dell'Amore quando insorge e non passerebbero di mano i segreti, talora orribili, tra madri e figlie – per tacer delle nonne che vengono tacitate e messe fuori causa dal Tempo che tutto muta e distrugge, ahinoi.
Ed abbiamo canzoni che ci svelano 'Quelle che le donne non dicono' e sarebbe meglio se lo dicessero, sempre e comunque, così che gli uomini sappiano da cosa devono guardarsi e chi devono guardare o se devono 'girarsi dall'altra parte' per la vergogna di quel che si dice di loro, i malnati, i forti di muscolo ma di cervello fragile che, se lasciati dalla donna male amata, impazziscono e si fanno violenti e assassini.
E quello che le donne dicono o non dicono negli ambienti del tango, apriti cielo!
Roba da cambiar postura immantinente e guardarsi dalle vezzose e dalle brave ballerine che ci causano ansie da prestazione, ma, a volte, per loro parlano i silenzi in partitura e il coniugio assistito dalle note del tango ed è un insorgere interiore che 'mette le ali' e fa raddrizzare la schiena e il capo e - come diceva quella tal coreografa che se ne intendeva:
'Se ben raddrizzi la schiena già ti spuntano le ali.'
E se parte la 'Cumparsita' di De Angelis sono tre metri sopra al cielo. Minimo.

domenica 29 maggio 2022

La legge di Murphy e le sanzioni.

 

Prima o poi l'avremo un conto stimato realistico dei morti-feriti-dispersi di quest'altra guerra di Ucraina che, vista e ascoltata in televisione, sembra un'eco lontana e inverosimile delle vere guerre che si sono combattute nella Storia.
Non ci sono stime verosimili dell'assedio degli Achei ad Ilio, durato anni, ma già Waterloo e Stalingrado e le Ardenne sono ben altra cosa da questi reports stitici di giornalisti embedded al Verbo filo Nato che ci ragguagliano sulle bombe assassine, ma sempre a qualche chilometro di prudente distanza dal fronte, e in redazione ci dicono tutto sui missili Harpoon che sarebbero in grado di stecchire l'intera flotta russa del mar Nero, ma chissà come non lo fanno.
E chissà perché attendono a farlo, se sono in grado di farlo, ci chiediamo, forse il placet degli Stranamore d'Oltreatlantico che misurano con oculatezza omeopatica fino a dove può spingersi la guerra per procura Nato contro lo storico e geo strategico nemico russo?
Non ci sono più le gloriose guerre di una volta, perbacco: di quelle che osservavamo appassionati e faziosi nei films: con le fila contrapposte dei prodi combattenti che andavano al massacro al suono delle cornamuse (Braveheart) o le prime file degli Inglesi, elegantissimi nelle loro divise bianche e rosse, che venivano decimati dalla prima salva dei fucili prima di prendere la rincorsa con la baionetta in canna – e i Francesi non erano da meno per non deludere il loro amatissimo imperatore.
E tutta questa lentezza nel procedere dei Russi – che tecnicamente potrebbero seppellire l'Ucraina sotto tonnellate di bombe - non sarà che per davvero risponda, come afferma Putin, ad un desiderio pio di non fare troppo danno ai civili, considerata la storia comune e le recenti fratellanze sovietiche - e la necessità di ristabilire relazioni di civile convivenza, una volta terminata la guerra e stipulati di trattati di pace?
Tutto questo non sono in grado di dircelo (credibilmente) i nostri inviati e gli 'esperti' dei talk show e vi confesso che un vago alone di noia e una nebbiolina di noncuranza si sta alzando sopra questi fatti bellici giunti al loro trimestre – e la sola cosa che sappiamo è che le sanzioni che dovrebbero far finire la guerra le stiamo pagando noi, invece, popolo grasso e meno grasso che paga e pagherà le bollette stellari dell'energia gonfiate dalle scelte avventate degli s-governanti di turno.
Che fanno a gara per dire le noiose cose di sempre e garantirci di ben interpretare e al massimo grado di efficienza la legge di Murphy: se una qualsiasi cosa negativa può accadere accadrà, sotto il loro mitico s-governo.
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venerdì 27 maggio 2022

Arte viva combattente.

 


Arte via e combattente - 28 maggio 2016
L'architettura, come l'Arte, salverà il mondo? E' lecito dubitarne, dal momento che il mondo è stato distrutto da due guerre mondiali e un intero paese, la Siria, è affondato nel suo Medioevo islamico di guerre e sette religiose e tribali - e perfino le meravigliose rovine dell'antico (Palmira e altri siti archeologici) sono incorse nelle distruzioni a botte di esplosivo da parte di fanatici islamisti rincoglioniti provenienti perfino dalle famigerate 'banlieues' islamiche delle maggiori metropoli europee.
Il mondo non verrà salvato dall'Architettura e dagli architetti (che solo l'altro ieri erano detti, in un famoso libro, 'maledetti'), però ci ri-provano a incantarci coi loro progetti spesso un tantino astratti e cervellotici, ma suggestivi e affascinanti.
E pazienza se molti padiglioni, la Germania in testa, hanno dedicato l'intero spazio e le tesi e gli elaborati al dramma degli immigrati che ci assediano e che il nostro mondo, ahinoi, lo stanno cambiando davvero - e non in meglio, ad ascoltare le cronache dai quartieri dove la polizia teme di mettere piede e solo i clamorosi attentati e le centinaia di morti innocenti la obbligano a fare i 'blitz' delle teste di cuoio per scovare i terroristi-serpi in seno ivi annidati e che trovano solidarietà e protezione nelle 'enclaves' immigratorie a maggioranza islamica.
E, scorrendo lungo e dentro i padiglioni uno via l'altro, ho conferma che i nostri ospiti immigrati si affollano nelle metropoli e snobbano i piccoli centri, per le ovvie ragioni delle opportunità che vi si offrono e gli apparentamenti familiari e i riconoscimenti dei valori religiosi di provenienza – che è quanto dire che di integrazione quale panacea del presente malessere europeo in crisi immigratoria esplosiva è ridicolo parlare e la tendenza del melting pot globale è quella del proliferare tribale in ambito urbano e metropolitano e del covare degli atavici conflitti sotto la cenere, estote parati.

Viva l'Arte viva (2) Paesi di convivenze esemplari - 28 maggio 2017
Dobbiamo includere l'Azerbaigian nelle nostre rassegne-stampa quotidiane. Perché, a detta dei curatori dell'esposizione che gli artisti azerbaigiani ci mostrano a campo S. Stefano (palazzo Lezze), è il paese esemplare della convivenza possibile e del più pacifico melting pot che si dà sul pianeta Terra.
Verifichiamo la cosa e teniamolo in palmo di mano e indichiamolo ad esempio planetario, un tale paese felice. Perché l'affermazione del curatore (Martin Roth) è perentoria e ci stupisce per la sua perentorietà: 'L'Azerbaigian è un esempio assoluto di convivenza tollerante tra genti di culture diverse.' Perbacco.
La cosa va studiata e, di questi tempi, portata all'attenzione delle scuole europee di ogni ordine e grado e discussa con assoluta priorità nei parlamenti europei e nazionali che dovranno mandare i loro emissari nel paese asiatico per capire e vedere come si fa.
Magari si scopre che non ci sono fiumi di profughi richiedenti asilo che premono alle frontiere azerbaigiane come da noi sul Mediterraneo e nei campi profughi della Turchia - e ci costano una fortuna in assistenza diretta (paghiamo la Turchia per la loro contenzione) e in quella indiretta delle carceri che ne ospitano un buon numero; e i rimpatri dei non aventi diritto sono ostacolati e rimandati alle calende greche dai ricorsi giudiziari di primo e secondo grado.
E magari scopriremo che in Azerbaigian non sono cresciute a dismisura le enclaves islamiche con moschee a predicazione radicale incistate nelle periferie urbane delle loro città e l'integrazione laggiù funziona benissimo e possono insegnarci qualcosa, chissà.
L'Arte al servizio dell'esemplarità politica è una gran novità e ce ne rallegriamo e giuriamo di svolgere approfondite ricerche su questo paese magnifico nunzio di un grande futuro di pace e pacifiche convivenze sul pianeta Terra. Viva l'Arte viva che ci parla di politica e di società e culture diverse come si deve – ed esprimiamo voti che sia tutto vero, naturalmente.

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Quell'esplosivo 'oggetto del desiderio' dei resistenti ad oltranza.

 

Enforcing freedom? Quell'esplosivo 'oggetto del desiderio' dei resistenti ad oltranza.

E, stabilito che le guerre hanno, da sempre, vincitori e vinti il quesito che si pone oggi è:
'Sarà vero che l'Ucraina può farcela contro la Russia, magari con l'ausilio dei missili a lunga gittata che le fornirà Biden?'
E l'altra domanda – che insorge al seguito – è: 'Non sarà che tutto questo sciagurato 'enforcing freedom' dell'America e dei paesi Nato più realisti del re, giungerà, prima o poi, al suo punto di non ritorno – e già girano le circolari interne dei pazzi s-governanti 'de noantri', filo sanzioni e fornitura di armamenti a quintali, che ci istruiscono su come dobbiamo tutti rifugiarci nella stanza più interna della casa, sigillando porte e finestre, e ristare tremanti e con pensieri dolentissimi seduti sul pavimento finché non si diradano i fumi radioattivi delle terze e quarte ondate di esplosioni termonucleari?'
Perché quello che i nostri dissennati sostenitori de: 'Dobbiamo impedire alla Russia di vincere la guerra!' non capiscono è che la Russia non può perderla, la guerra e la faccia, e, costretta nell'angolo dal recrudescere del conflitto con armi sempre più micidiali e distruttive reagirà con 'l'arma di ultima istanza', che sempre abbiamo esorcizzato fino al fatale 2022.
Che i sacerdoti Maya abbiano sbagliato indicazione e sostituito l'uno del 2012 con il più appropriato due del 2022? Ai posteri l'ardua sentenza, ma il dubbio è se lasceremo testimoni sul pianeta squassato dalle esplosioni termonucleari.
Facciamolo presente ad Erri de Luca, il pugnace sostenitore della continuazione della guerra 'con ogni mezzo'.
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mercoledì 25 maggio 2022

Pensieri tristi che si ballano. Viaggi di ieri.

 Buenos Aires - 01 aprile 2019


E il ritorno in città, dopo tanto spettacolo e teatro delle meraviglie della luce e dei colori della pachamama, è all'insegna della costrizione – e sarebbe stato meglio migrare nel deserto di Atacama, una volta arrivato nella zona dei 'salares' e ampliare il viaggio verso il Cile o la Bolivia, ma tant'è.
E mi rifugio nelle librerie e nei teatri – che è un altro modo di viaggiare e traslare della mente.
E mi capita di incontrare ad ogni scaffale il vate nazionale, Jorge Luis Borges, perfino in un ristorante, assai fornito, in verità, di cose buone e gli hanno fatto un monumento, a lui e al suo amico Bioy Casares che qui si ritrovavano.
Ed è un peccato davvero che la moda dei 'caffè letterari' si sia spenta, ma oggi sarebbero pieni di curiosi e turisti da un tanto al chilo, come quelli che si ritrovano al caffè Tortoni e fanno la fila per entrarvi e lì la letteratura di riferimento è il tango delle origini, anche quello un mito da ri-evocare (il museo relativo a lato del caffè, però, va diserto) perché l'oggi è 'di massa', con tutto ciò di negativo che questo termine comporta - e si sprecano i ristoranti che ospitano gli spettacoli di tango e ti ci portano coi pulmini delle agenzie a frotte e sciami – da 'tagliarsi le vene per lungo' dalla tristezza.
E, se per Ernesto Sabato è 'un pensiero triste che si balla' – bella definizione, ma che vale solo per le lentezze e le lamentosità di alcuni tanghi - per Borges il tango è un'allegria di altri tempi e uomini e la Buenos Aires allora era una piccola città di vecchie case e baracche circondata da paludi, come ci rammenta qui sotto la sua testimonianza orale registrata in due audio cassette.
Ma dovremmo smetterla di cercare di mettere troppi cappelli letterari sopra questa danza ormai divenuta 'patrimonio dell'umanità' ed esondata di là dell'Atlantico e del Pacifico e portarci sugli altri suoi orizzonti (di Borges) – aperti, apertissimi - e sui suoi cento libri – inclusa la 'Historia universal de la infamia' e di lui mi è cara la luce cristallina dell'anima che compensava il buio delle pupille.

martedì 24 maggio 2022

Tutto ben tenuto. Viaggi della memoria. (2)

 Tutto ben tenuto. Viaggi della memoria. (2)


E, se prendi il lago a sinistra in direzione di Chievolis dovrebbe, a un certo slargo della valle mostrarsi la punta del campanile del villaggio sommerso al tempo della costruzione della diga, ma stranamente, forse per serbare l'acqua in caso di ostinato protrarsi della siccità, niente affiora, nemmeno la croce sulla sommità a causa del livello metrico dell'invaso.
E la strada, valicato il torrente ridotto a un rivolo, mostra due ponti in ferro dall'ampia arcata che sono un inno ingegneristico alla forza dell'arco sottostante che li sostiene, ma si restringe, poi, fino alle dimensioni di una ciclabile, sospesa chissà come alla cengia che la sostiene precariamente sull'abisso.
Ed evito di guardare in giù perché una tale strada sembra un miracolo del precario permanere delle cose e l'augurio è che nessuno mi fronteggi perché, a marcia indietro, con lo sterzo da aggiustare ad ogni centimetro, cadere nella voragine è un grido lungo 500 metri ed uno schianto, ma quando arrivo allo slargo delle frazioni di Van e Clauz mi rendo conto che quel rischio non c'era.
Abbandono. Un pugno di case chiuse e vuote di vita. Ballatoi sospesi di vecchie case che sono la fotografia virata in seppia delle mie colonie montane di settanta e più anni fa, tra le quali, però, la vegetazione ancora non ha ancora ripreso il suo spazio prorompente di foresta ricca di verzure diversissime e la ragione la vengo a sapere da una signora del paese prossimo.
'Tutto chiuso e case vuote a Van. Un villaggio fantasma.' le dico, affacciato al finestrino della macchina. Mi guarda in tralice e risponde piccata: 'Si, ma tutto ben tenuto.'
Come se la salvezza sul Tempo che tutto si mangia e svuota le case e riempie le tombe fosse contenuta in quel suo distico friulano di ostinata cura di quanto sopravvive: 'Tutto ben tenuto.'
L'eternità degli avi nostri, avrebbe scritto Pier Paolo.
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  • 'Tutto ben tenuto'.
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Il Lampione e la rana a testa in giù. - 25 maggio 2013

 


La nostra mente è un sistema fragile e complesso che ha bisogno di continue rassicurazioni e conferme per non 'andare in tilt'.
E ci alziamo dal letto la mattina, - dopo aver lasciato andare il cervello per gli sconosciuti sentieri del sonno e dei sogni e ancora in preda alle sottili angosce che da quel disordine notturno ci derivano – cercando con gli occhi gli oggetti di sempre e le persone di sempre e i dialoghi, forse noiosi, ma rassicuranti che ci confermano che il mondo ha ancora una sua riconoscibilità e praticabilità pur nelle mille quotidiane mutazioni.
E ieri ci è stato restituito lo storico Lampione di Punta della Dogana, nostra fioca luce nelle nebbie lagunari e nei crepuscoli che ci rassicurava, magrittianamente, che una luce sempre si accende prima della notte ed è barlume che ci rassicura che ancora, noi esseri umani, dominiamo gli eventi di natura e nessuna notte mai scenderà sui nostri occhi, come l'Ultima che ci impaura - e contro le sue angosce abbiamo inventato le leggende della Luce delle Anime nel Tempo che sempre ritorna circolare.
E non ne potevamo più di quel biancore arrogante del ragazzo troppo cresciuto che ci beffava colla sua rana tenuta per la zampa a testa in giù - ed era attrazione turistica che ci confermava che tutto ormai, a Venezia, si fa per 'stupire i borghesi'; e ci inventiamo i tristi Carnevali fitti di 'eventi' triti e ritriti pur di riempire oltremisura questo piccolo arcipelago tenuto insieme da ponti fragili e animato da chiese che si riempiono di 'fedeli' solo in occasione di un funerale.
Città di fantasmi e ammuffiti gabbiani, Venezia è una sfida alla storia e alla storia dell'arte. Cambia tutto perché nulla cambi e tutto il suo vecchio di palazzi e campanili e chiese è teatro biennale del nuovo delle menti degli artisti che sono vecchi e 'classici', già alla prova della Biennale che verrà.
Però quel Lampione storico lo abbiamo fortemente voluto al suo posto, dopo lo scippo degli arroganti sindaco e assessori 'novatori', ed è, forse, la sola 'cosa nuova' che ha fatto questo sindaco e la sua amministrazione in tanto vecchio andare di tempi grami e visioni indecorose di una città che, anno dopo anno, diciamo sempre meno nostra.
Di residui e afasici cittadini, intendo.

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lunedì 23 maggio 2022

La memoria e l'infinita vanità del Tutto.

 




La memoria e l'infinita vanità del Tutto. (I viaggi della memoria - 1)
L'entropia degli universi fa il suo sporco lavoro non vista anche nei luoghi della memoria – e le lapidi del piccolo cimitero sono ricoperte da una marea di fiori primaverili indenni dalle prime sfalciature - ed è tutto uno sbuffo e nuvole di colori diversi che cancellano infino la memoria della gente che qui ho conosciuto in gioventù e di un amico che fu 'pieno di vita', ricordo, e per lui questo fu il luogo di una sua rinascita personale e del ritorno in salute, fuggito dai guasti della vita cittadina.
E il torrente delle chiare, fre(sch)dde e dolci acque è ridotto a un rivolo che ti stringe il cuore, e la piscina prossima alle case coi luminosi sassi del letto su cui si scivolava - e ne fuggivano gli avannotti sottostanti e strappavano grida alle bambine che vi sguazzavano eccitate e infreddolite - è asciutta.
E, al mio arrivo, le case dalle imposte tutte chiuse sembravano annunciare quella magica sospensione temporale che può durare decenni dei villaggi abbandonati – fino al primo crollare dei tetti e all'emergere glorioso delle chiome degli alberi le cui sementi hanno trovato spazio di terra tra i mattoni interni e le piastrelle delle cucine e dei salotti: la vita vegetale e i funghi che già ci hanno preceduti sulla crosta del pianeta e ci seppelliranno, sia pure sotto un poetico mare di fiori e di foglie.
E le chiazze di verde chiaro dei prati intorno alle malghe in quota sono scomparse sotto l'urto della marea verde e solo il trionfo delle foreste a giro di orizzonte sui bassi monti circostanti ancora resiste alla meticolosa triturazione delle cose figlie del Tempo - e le edere si avvolgono coi loro resistentissimi peduncoli intorno ai cartelli stradali e cancellano i nomi dei borghi.
E mi vengono in mente quei versi che avevo mandato a memoria - che l'amico risanato mi sollecitava a ripeterglieli come il refrain di una canzone mentre percorrevamo i sentieri alla ricerca dei funghi di cui eravamo ghiotti - ma oggi mi suonano come tombali sentenze sulla sua lapide e la avvilente fotografia che lo deforma ed ho faticato a trovare seppellita dal giallo e dal celeste chiaro dei fiordalisi:
per montagna e per valle,
per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
al vento, alla tempesta, e quando avvampa
l’ora, e quando poi gela,
corre via, corre, anela,
varca torrenti e stagni,
cade, risorge, e piú e piú s’affretta,
senza posa o ristoro,
lacero, sanguinoso; infin ch’arriva
colá dove la via
e dove il tanto affaticar fu vòlto:
abisso orrido, immenso,
ov’ei precipitando, il tutto obblia.
Tale è la vita mortale, vergine Luna che sovrasti il monte, indifferente agli affanni di noi erranti pastori.
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Coltelli tribali. L'Europa del nostro scontento.

 Dell'uso dei coltelli tribali e della macellazione di un innocente - 23 maggio 2013

Bisogna sforzarsi di usare tutta la pacatezza possibile nel dire l'orrore che ci provoca la macellazione del soldato britannico reduce dall'Afghanistan da parte di due neri immigrati a cui avanza perfino di pronunciare davanti a un telefonino il 'j'accuse' ideologico contro il giovane povero cristo che giace a terra sbudellato come un maiale.
Bisogna evitare di alimentare la logica malvagia della tribalità, del 'noi' e 'loro', della 'guerra di civiltà' - per quanto non ci riesca davvero, per quanti sforzi facciamo, di rintracciare un barlume di pregressa 'civiltà' nel gesto folle e spaventoso dei due neri che si pretendono 'soldati in guerra' e ammazzano a freddo e macellano e sbudellano coi coltelli e l'ascia dell'atavica tribalità delle origini un indifeso figlio della nazione il cui lavoro era di 'fare il soldato' secondo le direttive dell'Onu e le regole di ingaggio stabilite dal governo britannico.
Ma come si può invocare di avere compiuto una 'azione di guerra' traslata e a freddo, ospiti irriconoscenti di una nazione in pace, la Gran Bretagna, e che opera all'estero secondo le modalità proclamate di imporre la pace in territori di Jihad dichiarata e tane dei più noti terroristi internazionali? E possiamo fare tutti i distinguo ideologici e schierarci anche, ciecamente, dalla parte dei talebani e degli jihadisti, ma dovremmo essere pienamente informati di cosa e come avvengono le azioni di contrasto contro la guerriglia indigena e quali sono i problemi pratici che quei militari in missione di pace si trovano a dover affrontare prima di dare aria alla bocca.
E come si può concepire una 'azione di guerra' (in realtà una orrenda macellazione di una persona indifesa) senza averla prima pubblicamente dichiarata - e avvisato il preteso nemico perché possa difendersi e sappia di dover operare in 'territorio nemico' pur se in casa propria?
Niente di quello che abbiamo veduto in video e ascoltato dalla voce roca di quel macellaio nero di pelle che si pretende 'soldato' merita una considerazione di menomo rispetto quale si deve a un nemico a cui riconosciamo le ragioni di diversa civiltà che ci oppongono.
E' un atto di pura malvagità, il gesto di un orco, che dobbiamo respingere al mittente col vigore di stati occidentali eredi di una civiltà che non riesce a concepire gesti di tanto violenta tribalità applicata a degli innocenti e vittime ignare.
E sarà difficile -difficile davvero- nei prossimi giorni e mesi guardare con occhi sereni e innocenti e disposti a un dialogo di integrazione quegli immigrati che, ospiti del nostro paese, nulla fanno per integrarsi davvero e lentamente disfarsi del loro ingombrante fardello di diversità assassina – se è vero, come è vero, che l'undici settembre 2001 si sono ascoltate, fuori dalle finestre delle loro abitazioni, voci di giubilo e di osanna al prode Osama bin Laden per aver colpito duro i simboli dell'odiato Occidente.

CORRIERE.IT
Londra, soldato ucciso a colpi di machete
Uno dei due killer del soldato con ancora la mannaia-machete tra le mani insanguinate (Reuters/Itv)

giovedì 19 maggio 2022

Gli eroi immortali sono tutti morti.

 



 

Tempo verra'.
E adesso che gli eroi immortali, i nazistoni del mitico battaglione chiuso nella ancor piu' mitica acciaieria, si sono consegnati all'odiato nemico che succedera'?
Cambiera' la narrativa oscena dei filo Nato che ce li hanno spacciati quali numinosi resistenti di una nazione libera e sovrana - ma vedetevi il docufilm postato da Vauro Senesi che ben ci narra il chi e il come si sia consolidata la tanto osannata democrazia ucraina che combatte la temibile guerra per procura Nato e, forse, chissa', una volta perlustrati i cunicoli dove stavano rintanati i pretesi eroi, si troveranno le tracce degli istruttori occidentali che mettono coscientemente a repentaglio le sorti del pianeta (guerra termonucleare) con l'asfittico fine di stringere una cintura militare intorno alla Russia - nemica a prescindere. Peccato che nessun reporter televisivo sia disposto ad entrare in Russia e ragguagliarci sul processo che si fara' contro i nazistoni Azov imputati di veri 'crimini di guerra'. Bisognera' attendere la fine del presente conflitto perche', come si fa notare, la verita' la scrivono i vincitori. E torneremo a commerciare con il maledetto impero e a riscaldarci con il loro gas pulito e a basso prezzo, ma ci vorra' tempo, abbiate pazienza , deve tornare il tempo in cui la narrativa di guerra cambiera' orizzonte di riferimento. Tempo verra'.