giovedì 29 aprile 2021

Il vento dei villaggi che giunge fino a noi.

Di storie vere, metafore e sogni - 28 aprile 2017
R. Kapuscinsky, in un suo libro, racconta di un villaggio africano dove il vento solleva vortici di polvere e il caldo intenso chiude le persone nel chiuso delle capanne, ma, come un'apparizione, giunge una jeep dal deserto accompagnata da un camioncino e un regista conosciuto dagli abitanti allestisce in velocità coi suoi aiutanti un improvvisato set, parte una musica e, miracolo! ecco gli abitanti del piccolo villaggio uscire a gruppi dalle capanne - e prendono a danzare al suono di quella musica come se un misterioso copione fosse stato distribuito in anticipo.
L'evento dura poco più di un'ora e coinvolge l'intero villaggio - donne e bambini inclusi. Infine il regista e i suoi aiutanti salutano, ripongono le attrezzature e se ne vanno e torna il vuoto nella piazza e i mulinelli della polvere e il caldo africano e gli abitanti di nuovo chiusi nelle capanne in attesa della sera e della notte.
Possiamo partire da questo episodio e farne una metafora di tutto quanto accade da noi, in quei villaggi strani e campi profughi improvvisati sotto l'urto di una immigrazione massiccia e in crescita esponenziale che sono le nostre caserme requisite allo scopo e gli hotels vuoti requisiti dal ministero degli interni - e ne seguono le proteste degli abitanti e dei sindaci contro i prefetti che fanno il lavoro comandato loro dalle cattive politiche degli s-governi dai quali dipendono e ne sono la maledetta longa manus.
E dovremmo narrare - in parallelo alle polemiche sugli incessanti arrivi e sbarchi dai gommoni e i traghetti delle o.n.g. dai finanziamenti opachi che li prelevano a poche miglia nautiche dai porti di partenza - di come vivono quei neri dentro quelle strutture di una assistenza misericordiosa che ci hanno imposto col grimaldello della pietà e di una 'legge del mare' nata per gli occasionali naufragi e applicata invece, impropriamente, alle migrazioni bibliche dei migranti economici, alias clandestini dei naufragi organizzati, che pagano cifre altissime ai trafficanti di uomini e donne e bambini.
E dovremmo narrare di cosa fanno tutti quei giovani neri chiusi li dentro e quali progetti di vita sognano e perché, invece, li vediamo a nugoli aggirarsi per le strade mendichi o ciondolare a gruppi davanti alle stazioni e la chiamiamo 'accoglienza', ma ha tutto l'aspetto di una catastrofe umanitaria che non sappiamo gestire e che ha precipitato le nostre città nelle narrazioni dickensiane della miseria globale oscenamente esibita e della mendicità diffusa e della piccola criminalità urbana che riempie le carceri.
E avremmo bisogno di un regista che apparisse all'improvviso in queste nostre città e villaggi globali della mendicità oscena e povertà e microcriminalità diffusa che ci suonasse un'altra musica e improvvisasse il flash mob del cambiamento e di una vera accoglienza dove quei neri per caso degli sbarchi organizzati e profumatamente pagati e che generano il miserabile business dell'accoglienza italica e delle pelose o.n.g globali trovassero, invece, un lavoro onestamente pagato e una casa in affitto come facciamo tutti noi indigeni - ma qui siamo in un'altra storia e film di una altra epoca futura di cui non siamo sicuri che i titoli di testa preciseranno che è tratta da una 'storia vera'.
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L'infinito viaggiare.

CACHI, 25 marzo 2019 – L'infinito viaggiare.
E dell'infinito viaggiare è epitome questo dilatarsi dei paesaggi chiusi in lontananza dalla catena delle cime pre andine dove si sfilacciano le nubi fermate dalle Ande. E la strada vuota, la mitica ruta nacional 40 resa famosa dal giovane Guevara nel suo viaggio iniziatico in motocicletta e dagli epigoni che ne seguirono le orme, è spina dorsale di questo paese che si estende fino al finis terrae della fredda Patagonia ma fa tesoro, a metà del tragitto, del suo clima sub equatoriale e a Mendoza mostra il trionfo dei vigneti che danno un vino-idromele che ben si accompagna alla carne squisita e tenera come un burro.
Ed è vero che 'lascia senza parole' questo susseguirsi di immagini coloratissime del nostro viaggiare e ci incanta tanto quanto ci hanno incantato le nostre Alpi, ma con l'aggiunta di una estensione terrestre che la placca africana-europea nel suo insorgere non raffigura infinita al pari della placca continentale del Pacifico.
E il villaggio di Cachi è silente e vuoto di persone e attraversato dal vento, come nelle colonne sonore dei film 'western' girati al confine con il Messico, e l'architettura coloniale della dominazione ispanica viene ripresa dall'architetto che ha costruito il bell'albergo a cinque stelle dove alloggio e, sapientemente, mescola e compendia in un'unico luogo gli elementi caratteristici della scarsa vegetazione degli altopiani pre andini con risultati eccellenti.
E un buon albergo è parte del piacere del viaggiare e, a sera, negli occhi stanchi delle lunghe miglia percorse, si configura come quella poetica siepe che 'di tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude'.
L'infinito viaggiare del sogno del poeta recluso nella sua Recanati.



 

 

Scalate ed altre scalate

Del 'dare la scalata al Cielo'. 30 aprile 2020
Non è che la detenzione ai domiciliari, causa corona virus, abbia evidenziato 'il meglio e il peggio di noi' – come scriveva quel tale tout court. Il meglio e il peggio l'avevamo dentro da sempre ed è il troppo tempo a disposizione e il girare per casa in pigiama e senza farsi la barba che l'ha reso manifesto oltre il lecito.
Il bene e il male, il meglio e il peggio delle persone sono anfore mitologiche che stanno nelle cantine di ognuno come gli otri pieni di vento regalo di Eolo a Ulisse e ne attingiamo al bisogno. Ma guai a lasciarli scatenare.
'Esser costretti a farsi anche del male per potere, con dolcezza, perdonare.' scriveva un poeta bolognese scomparso anzitempo.
Per dire di quanto siamo strani e complicati, noi esseri umani e poco capaci di ben bilanciare i liquidi arcani delle due anfore che abbiamo a disposizione.
Sempre attingendo alla biblioteca universale di Facebook:
'I cretini sono sempre esistiti, solo che, prima di F/book, ne ignoravamo i nomi e i visi'.
Intendiamoci: ci sono anche i medici valenti, gli studiati, i volonterosi che fanno volontariato, gli eroi promossi sul campo dell'onore – il meglio e il peggio, insomma, di una umanità varia e diversa che, durando la pandemia, ha mostrato la sua difficile composizione e gli equilibri sociali fragili, come vuolsi dimostrare.
E tra il peggio io ci metto i talebani dei d.p.c.m., gli evangelisti del Profeta che, dalla Mecca di palazzo Chigi, ci ha regalato lungo i due mesi del nostro scontento i versetti dalla sharia pandemica – e i suoi scalmanati evangelisti fuori dalle terrazze, a migliaia, intenti a gridare improperi e 'Untori!' agli sconsiderati che se ne uscivano senza mascherina o appaiati. E quegli evangelisti talebani tuttora imperversano ottusi, malgrado sia palese e irresistibile il 'rompete le righe' di intere Regioni e categorie economiche, e ci fracassano gli zebedei già malandati con la loro predicazione furiosa e gli anatemi e i 'Penitenziagite! col capo cosparso di cenere.
Che, se quella loro predicazione fanatica fosse efficace e irreggimentasse i pochi riottosi, costringendoli alla divisa e rigorosamente mascherati, passi.
Vivremmo in un mondo meno libero e conculcati i diritti fondamentali ai fini della riguadagnata salute, ma così non è, non sarà, perché 'grande è la confusione sotto al Cielo', scriveva Mao tse Dong, il grande condottiero cinese.
E concludeva: '...la situazione è, quindi, eccellente'.
Fuor di metafora: possiamo provare a porre in essere i migliori propositi e tutti i 'lockdown' presenti e quelli eventuali futuri e le mascherine che trattengono gli aerosoli incollate sulle facce di ognuno e tutti, ma è sempre con la grande confusione sotto al Cielo che ci misuriamo - e dovremmo farcene una ragione dei nostri limiti e delle incapacità palesi a risolvere i problemi e guarire d'incanto le pandemie.
Questo significa che dobbiamo essere 'pronti alla morte', come cantiamo durante il nostro inno nazionale, dritti in piedi e con gli occhi lucidi.
E' così – e se qualcosa ci ha insegnato la lunga detenzione e gli ascolti obbligati delle cifre dei contagi e dei morti e dei dispersi della infodemia televisiva è che: 'A chi la tocca la tocca', come gemeva Tonio nei 'Promessi sposi'.
Perché è la morte il nostro orizzonte mentale, ci ricordava Heidegger, e l'obbedienza in guerra agli ufficiali che guidavano gli assalti fuori dalle trincee maledette ce lo ricorda, ma più perché Il Faust delle vane provette e gli alambicchi fumanti e il tentativo di dare la scalata al Cielo degli uomini-semidei ci ricorda quanto vani siano i nostri sforzi di creare le pietre filosofali.
Penitenziagiamo, fratres.
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Viaggio al termine della notte pandemica. 29 aprile 2020
Rieccomi. Appena tornato da un sano giro di mezzo fondo, grazie al fatto che l'ufficio periferico delle Poste è stato chiuso, causa corona virus, e, per arrivare alla Posta centrale, fanno cinque chilometri scarsi andata e ritorno.
E le bollette in scadenza vanno pagate, virus o non virus.
Se poi, lungo il tragitto del ritorno a casa, fate una digressione di chilometri due a semicerchio largo perché nei pressi c'è il Tigotà (prezzi buoni) finisce che vi perdete nel dedalo delle viuzze retrostanti che menano a un lungofiume placido e lento e fitto di rane gracidanti - e capace che i chilometri totali, alla fine, raddoppino. E pazienza per lo scroscio di pioggia che mi accompagna – la primavera è la primavera e, se è bagnata, è fortunata e purifica l'aere, dicono.
E visitare in cotal modo la Mogliano-est dei brutti condominioni e i larghi viali alberati e i licei e il pretensioso centro sportivo è un vero e proprio viaggio nei Sessanta e Settanta delle architetture funzionali e 'sociali', ma che proprio non ci dilettavano con l'idea di bellezza architettonica e armonia urbanistica, ahinoi.
Ma, di questi tempi pandemici e claustrofobici, è bene far tesoro del consiglio di quella psicologa che suggerisce di attivare la curiosità di tutto quanto ci avviene intorno per contrastare attivamente la depressione domiciliare e così io faccio.
E osservo le persone che mi incrociano di età e sesso diverso (pochi e difficilmente riconoscibili i lgbt), quasi tutte mascherate, ma una buona metà con mascherina a mezz'asta – vuoi perché scivola e scopre il naso, vuoi perché ti si appannano gli occhiali, vuoi perché mozza il respiro se hai il naso chiuso o soffri di rinite o ipertrofia dei turbinati, vuoi, buon ultimo, perché ne abbiamo pieni i serbatoi di questa pandemia che è come l'autunno del Cardarelli Vincenzo, valente poeta: '(…) che incede con lentezza indicibile / e lentamente ci dice addio'.
E il frutarolo di via Roma ha anch'esso la mascherina a mezz'asta, ma è simpatico e vende grosse fragole della Basilicata esenti corona virus 'bone da capotarse', scrive in lingua trevisan-casereccia ed è una risorsa, di questi tempi, e va sostenuto malgrado i prezzi perché offre anche merce a km 0 – quella, per intenderci, che sarà bene che compriate/amo per rilanciare l'economia del paese alla fine del viaggio al termine della notte pandemica che abbiamo intrapreso e già ci sembra di vederne l'alba.

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mercoledì 28 aprile 2021

Le mond au revers


 

martedì 27 aprile 2021

Ripartenze fatali


...che, poi, il dramma che viviamo di zone diversamente colorate secondo il grafico dei contagi non si esaurirà con l'immunità di gregge che auspichiamo e che l'India, con la sua variante e la quantità dei morti in cronaca, dice dubbia e fragile.
Pensate a quale immensa quantità di gente si affollerà negli aeroporti e riempirà gli aerei diretti verso tutte le destinazioni del vasto mondo da qui a qualche mese. Una destinazione qualsiasi, presto, a qualsiasi prezzo, - andrà bene perfino Calcutta e i suoi slums pur di partire.
Ne conseguiranno le 'varianti' nel primo autunno e i 'lockdown' conseguenti? Aiuto!!



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Il "modello India" finisce con i cadaveri bruciati in strada
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domenica 25 aprile 2021

Celebrazioni e rappresentazioni

Ascanio Celestini è un attore straordinariamente facondo e inarrestabile. Gli invidio la memoria torrentizia dell'attore di monologhi – che manda a memoria un numero impressionante di parole e le sciorina, perfettamente scandite e pausate e interpretate, davanti al pubblico stupefatto e attonito per la prova gigantesca.
Ma nel monologo di oggi di 'Radio Clandestina', andato in onda sul canale 23 della rai in occasione della festa della Liberazione, l'effetto della sua recitazione è straniante, quasi fumettistico.
E il torrente delle sue parole in libertà ci rappresenta un'Italia in pieno marasma di eventi bellici tragicissimi e una Roma fitta di gente impaurita e schizofrenica: morituri che festeggiano clandestinamente l'annunciata liberazione dal nazifascismo in una città occupata militarmente dal tedesco inviperito per il voltafaccia fatale che lo espone alla sconfitta.
E ci passano davanti agli occhi le strips delle fucilazioni e delle spoliazioni: 50 chili d'oro in 36 ore dagli ebrei romani poi deportati, malgrado le promesse di salvezza, e le fosse Ardeatine con i cadaveri tirati fuori dalle cave già in fase di avanzata decomposizione e ricomposti e riconosciuti da amici e parenti chi per un dente rotto chi per una giacchetta da ferroviere.
E mi interrogo (non solo io) sulle responsabilità dei maggiorenti della guerra partigiana nel centro Italia di intervenire militarmente con azioni di 'commando' contro i tedeschi in ritirata che esponevano la popolazione civile alle ritorsioni e le decimazioni.
Una pagina di storia controversa e ampiamente dibattuta in passato, ma seppellita sotto ai sacrari dei civili caduti e travolta dai peana e dagli osanna di una Resistenza fiera e impavida e bella ciao.
E ieri guardavo per la terza o quarta volta quel bellissimo film dei Taviani 'La notte di san Lorenzo' con la scena madre del fascista colpito e ucciso in un campo di grano dalle lance dei partigiani-guerrieri greci - dentro ai grandi occhi stupiti della ragazzina-io narrante - e il copione della tragedia italica e dei paesi indifesi in cui si consumavano le stragi e le ritorsioni e le decimazioni dentro e fuori le chiese era lo stesso: i civili, uomini, donne, vecchi e bambini, che pagano un debito di sangue enorme e terribile al nemico in ritirata inviperito per il tradimento militare.
Ma non si dice: 'Al nemico che fugge ponti d'oro'? Perché non inquadrare le milizie partigiane in battaglioni annessi alle truppe alleate in risalita da sud e braccare i tedeschi in ritirata accelerandone l'evacuazione? La Storia non si fa con i 'se' e con i 'ma' e tuttavia la questione è stata posta e gli storici l'hanno dibattuta e forse qualche massacro ce lo saremmo risparmiato.
E, ancora una volta, è nello specifico delle pagine della Storia e negli interrogativi drammatici che ci presenta che si compie il rito della Memoria - che non è celebrazione, bensì rappresentazione dei fasti e dei nefasti e analisi puntuale delle parti in tragedia e dei protagonismi colpevoli.
Ma dalle rievocazioni teatrali e cinematografiche basate su quei fatti lontani sembra uscire, invece, un coro ineluttabile da tragedia greca dove i mortali sono marionette agite dagli dei olimpici e sopra tutti impera il nero Fato col seguito delle Parche.

 

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La ''Radio Clandestina'' di Ascanio Celestini
RAI.IT
La ''Radio Clandestina'' di Ascanio Celestini
La ''Radio Clandestina'' di Ascanio Celestini


 

sabato 24 aprile 2021

La Storia che siamo

  • La Storia siamo noi (nessuno ne venga escluso).
    Ero a Cracovia, nella caldissima estate del 2012. Una bella città in cui ho soggiornato a lungo per la densità delle memorie che ospita, inclusa la Memoria per antonomasia, quella dell'Olocausto.
    Ma non mi sono recato ad Auschwitz, come molti fanno e le migliori guide turistiche raccomandano, per le ovvie ragioni della completezza del quadro storico che incornicia ogni antica città, le tragedie incluse.
    Non ho voluto andarci non solo per non condividere il 'turismo delle catastrofi' o del dolore con le scolaresche sciamanti e cicaleccianti, bensì perché ritenevo e ritengo che non resti più molto da elaborare spiritualmente in quel luogo museale della tragedia massima che rievochiamo ogni anno a ridosso del 25 aprile, giorno di Liberazione dal nazifascismo.
    E stasera ho rivisto con grande piacere il film 'La verità negata' (con una strepitosa Rachel Weisz) in cui si dibatte la questione dell'Olocausto in un'aula di tribunale, un tribunale londinese, e la sentenza castiga un famoso 'negazionista', uno storico preteso, che ha osato citare per calunnia e danni relativi la scrittrice ebrea americana Deborah Lipstadt.
    Un film non solo bello e avvincente, bensì istruttivo su come si dibatte una causa in Inghilterra - dove la forma è sostanza, a partire dall'inchino che il giudice scambia con gli astanti nella sua aula di giustizia (che la scrittrice, americana, si rifiuta di fare) perché quell'inchino è un segno di riconoscimento reciproco e di rispetto. Senza il quale l'aspro teatro della giustizia non può avere inizio.
    E vi è distinzione tra il 'dicitore', che discute ufficialmente la causa, e il collegio di difesa alle sue spalle che studia gli incartamenti e decide la migliore strategia processuale.
    E all'imputata che perora la causa dei testimoni del massacro come evidenza massima di un Olocausto denegato il collegio di difesa raccomanda più e più volte di non parlare e di contenersi e di controllare l'emotività – non per vacua tradizione di aplomb britannico e londinese, bensì perché i testimoni di ogni sofferenza sono dei pessimi testimoni in un processo e la loro memoria è labile e soggetta a tutti i guasti della memoria di ognuno e tutti con in più il carico di orrore incancellabile e lo stress emotivo conseguente che non riesce ad elaborare razionalmente quei fatti che narrano di una straordinaria e massima malvagità umana.
    E suggerisco ai nostrani habitué del ricordo della Liberazione, le figure istituzionali incluse, che ogni anno, il 25 aprile, ci sommergono con cerimonie e articoli e films e posts evocativi la Resistenza partigiana, tre giorni prima e tre dopo la fatale ricorrenza, di ri-guardare questo film istruttivo e di contenersi a loro volta e non erompere subito , a cori e tiggì riuniti, nel canto celebrativo di riferimento (Bella ciao), bensì di trovare modi diversi e migliori per richiamare e inquadrare storicamente quell'evento cruciale e controverso della nostra storia patria.
    Perché non è con i mortai mediatici da 120 e gli obici mnemonici lanciati a quintali contro gli indifferenti e i pretesi fascisti (sempre risorgenti e in agguato, a sentir loro) che ci verrà garantita la verità dei fatti e il rispetto dovuto alle vittime, bensì con la passione della Storia, quella degli storici che ci garantiscono, citando le giuste fonti e le testimonianze e i riferimenti oggettivi e incontrovertibili (come si mostra nel film citato), che Giulio Cesare è esistito ed ha passato il Rubicone gettando i dadi (Barbero esprime dubbi, ad esempio, su questa storia de: 'Alea iacta est') e che il Titanic è effettivamente affondato a causa di un devastante impatto con un maledetto iceberg.
    La Storia non ha bisogno di imbonimenti e annuali ramanzine e 'moniti' solenni.
    La Storia la si studia e la si ama quando offre risposte certe e non verità partigiane e buone all'imbonimento di una sola parte politica.
    Ben vengano, per ciò, le narrazioni accessorie che ci raccontano, insieme alla mitica Liberazione, dei fatti tragici dei partigiani di Porzus in Friuli e quelle delle foibe titine, per dire di un male di vivere che si nutre di ideologie contrapposte e di fanatismi e non ha mai una sola rappresentazione elegiaca o dannata, bensì i molti volti del nostro vivere affannoso e tragico.
    La Storia siamo noi (nessuno ne venga escluso).

    La verità negata: la storia vera del film drammatico sul negazionismo
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    La verità negata: la storia vera del film drammatico sul negazionismo
    La verità negata: la storia vera del film drammatico sul negazionismo

 

Strega comanda color.

  • Le nostre vite disgraziate. (Strega comanda color).
    Che cosa ci resterà in mente di questi nostri tempi grami, se la campagna vaccinale avrà gli effetti sperati e ne usciremo vivi e pronti ad affrontare il prossimo virus mutato con i giusti anticorpi?
    Forse quel senso di ribellione sottaciuta che leggevo in un foglio appiccicato ad una pianta fiorita in un campo veneziano: 'Dobbiamo rifiutare quel diktat della fiaba 'Strega comanda color' che, come bambini avviliti, abbiamo subìto in questi mesi di 'lockdown' e prigionie domestiche'.
    Un vano rifiutare, come tutti sappiamo, perché i colori li decidevano i 'tecnici' – maledetti maghi e streghe post moderni - sulla base dei contagi in aumento e/o declino. E i politici, esseri inutili e umana iattura da sempre, nascondevano il loro 'non possumus' riaprire tutto dietro all'autorevole parere di quelli perché la salute 'viene prima di tutto'.
    Ma siamo disposti a perdonare tutto, come abbiamo sempre fatto, perfino con le stragi di stato e annesso nessun colpevole e le aule di giustizia ridotte a cassa di risonanza di un teatro tragico e tragedia nazionale ognora rinnovata nelle impotenti sentenze dei giudici.
    Perdoniamo anche le streghe che hanno comandato i colori di questi mesi di ignavia e rabbia malcelata e passiamo oltre e dimentichiamo gli abbracci negati ai morti e guardiamo al futuro con gli occhi liquidi di chi ha imparato che il futuro non va molto oltre al presente e ne viene impastato, - morituri come ci siamo sentiti ogni giorno che il Cielo ha voluto regalarci in questi mesi di pura sopravvivenza.
    E grideremo 'E' finita!', una volta in 'zona bianca' (strega comanda color) come si gridava all'annuncio di una resa e/o un armistizio e si provava a immaginare le cose di ieri e di sempre che ritornano, scritte nelle canzoni:
    'E torneremo ancora a cantare / e a farci fare l'amore / l'amore dalle infermiereee...'
    Que reste-t-il- de nos vies mahlereuses? Une photo, vielle photo, de ma vielliesse...



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    Strega comanda colore - Wikipedia
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giovedì 22 aprile 2021

Viaggi ed altri viaggi.

Cachi - 26 marzo 2019 -
E gli ampi spazi degli altopiani ci fanno venire a mente il gran correre dell'Inca di vetta in valle nel suo ampio impero di alte quote e come tempri il fisico l'altitudine e l'aria rarefatta e come siamo capaci noi umani di straordinario adattamento, nel corso delle generazioni e le evoluzioni millenarie.
E questa gran voglia di impero è una costante della storia dell'uomo: sopraffazione e imposizione manu militari della propria forza di popolo e cultura, ma anche, non sempre, integrazione e commistione di culture diverse - e convivenze durate secoli, ma spezzate dall'arrivo delle tre caravelle ondeggianti al largo e l'apparire sulle spiagge del mostro a cavallo vestito d'acciaio e munito di lunga spada che le vittime designate di un lontano olocausto dissero 'el Conquistador'.
Ed è vero che la cultura dell'indio prevedeva l'addormentare i pargoli reali e dell'aristocrazia ubriachi nelle tombe di alta quota e il gelo che li congelava ancora vivi – e le mummie del museo di Salta sono impressionanti per avere ottimamente conservato carne e bulbi oculari e capelli, ma più le espressioni tristi di quei poveretti dalla brevissima vita che la loro religione diceva 'i fortunati', sacrificati agli dei potenti e provvedenti – e tuttavia la cultura del conquistador non sembra aver dato frutti migliori e condivisibili e credibili, con tutta quella schiera di santi e madonne nelle chiese vestiti come bambole settecentesche e il 'corpo e sangue' di Cristo transustanziato che ha sostituito i sacrifici umani che diciamo costumanze barbare e pagane.
E via dalla città-monstre si respira l'universo e il silenzio è intessuto del canto dei venti che discendono le Ande e i villaggi sono apparentemente deserti: quinte cinematografiche di improbabili films 'western'; e i visi dei bis nipoti degli indios sono cotti dal sole e felici di abitare i paesaggi degli avi e sorridono al turista dell'industria nuova che garantisce un discreto 'desarollo' di trattorie e artigianato naif e tessuti di alpaca e vigogna: timidi camelidi che osservi brucare in lontananza il poco cibo che ruminano quieti - ed è immagine che commuove e intenerisce e dice il mondo ancora abitabile e gli ampi spazi vuoti che resistono, malgrado e oltre la spinta antropica che tutto asservisce e appiattisce e uniforma nelle orride croste urbane.
Alex Crow - ApocalyptoNessuna descrizione della foto disponibile.
 

 

mercoledì 21 aprile 2021

Barabba e le streghe

Non c'è solo il rischio di vedere mandato assolto Barabba e condannato Gesù.
C'è il rischio – che rischio non è bensì narrazione quotidiana delle cronache – che i giudici e le giurie vengano pesantemente condizionati dal 'sentire popolare' e/o dalla 'narrazione dominante' o 'clima sociale', chiamatelo come vi pare, avete inteso la sostanza.
E, se oggi la narrazione dominante ha carattere 'buonista' e a difesa delle clamanti minoranze e delle donne, ieri mandava al rogo le supposte streghe per malanimo personale dei vicini e il sentito dire di pozioni e calderoni e amplessi con il diavolo - ricordiamoci il processo alle streghe di Salem, per citarne uno.
Un giudice che emette sentenza di condanna sotto schiaffo dell'opinione pubblica non è un buon giudice, ne converrete. Di certo non vorreste essere voi gli imputati di un fatto che non avete commesso, ma, fuori dalle aule di giustizia si alzano chiari i cori di 'Crucifige! Crucifige!' e Pilato se ne lavò le mani e così i giudici americani sotto schiaffo delle manifestazioni – sempre violente se la sentenza è avversa o non sufficientemente punitiva.
E Grillo ha sbottato e sbracato in video e in voce, d'accordo, e il suo Movimento ci ha deluso per il suo stringere i patti del diavolo con il pd di s-governo, ma guai a comminargli la pena che colpirà suo figlio innocente (per i tre gradi del giudizio, ricordate?), se nelle aule di giustizia in cui verrà giudicato si giudicherà sotto schiaffo del sentire buonista e del pregiudizio, oggi dominante, che vuole ogni donna accusatrice dire il vero e il suo stupratore e' sempre colpevole a prescindere.
Nelle aule di giustizia si analizzano i fatti, si ascoltano i testimoni, si ascoltano le arringhe difensive e quelle dell'accusa e il nostro cruccio è che, ciò malgrado, la verità è spessissimo denegata e negletta da giudici non all'altezza del loro compito di 'fare giustizia' – rivedetevi il film delle 'stragi di stato', giusto per rinfrescare le stanche memorie.
Ma guai a cedere sui principi di una antica (e fragile) civiltà giuridica, guai a far entrare il sentire politico nelle aule di giustizia, guai a gridare 'Crucifige!' sui social perché Grillo lo detestiamo - e a pagare sarà quello sventato del figlio.
Siete (quasi tutti) genitori, mettetevi nei suoi panni e recitate il suo dramma personale come fosse il vostro. Forse non userete toni diversi e migliori.
Processo alle streghe di Salem - WikipediaProcesso alle streghe di Salem - Wikipedia
 

 

lunedì 19 aprile 2021

Il sipario necessario

 

  • Confesso che della guerra di Cecenia non ricordavo molto – che già il ricordare pezzi lontani delle nostre vite si fatica o si evita, secondo il giudizio che ne diamo da savi rinsecchiti quali oggi siamo.
    Il fatto è che la Storia macina eventi a profusione e non tutti mirabili e memorabili, a ben vedere.
    E, ad incuriosirmi su quegli eventi lontani e tragicissimi di quella parte di Storia da me vissuta – che svaporano nelle nebbie di una tormentata transizione ex socialista da Gorbaciov, l'uomo della perestrojka, all'ubriacone di s-governo Eltsin, il guerrafondaio assassino – è stato lo spettacolo teatrale 'Il sangue e la neve' con l'io narrante di una efficace ed essenziale Ottavia Piccolo, in scena tra le quinte di un cementificio abbandonato nel bergamasco.
    E' la storia tormentata (come potrebbe essere diversamente in quelle terre e durante il dipanarsi ineluttabile di quegli eventi crudeli?) di Anna Politovskaja, un reporter di guerra, una santa giornalista vocata al martirio dello scrivere a getto continuo delle insensatezze e crudeltà e strabilianti vertici di violenza assassina degli uomini che abitano il pianeta Terra.
    Russi occupanti e ceceni indipendentisti, chi ha peccato di più nello spettacolo osceno della violenza senza limiti? Rileggetevi su Wikipedia i nefasti degli uni e il terrorismo degli altri, gli incessanti bombardamenti di Grozny e il teatro moscovita in cui furono tenuti ostaggi ottocento persone incolpevoli da parte di una quarantina di martiri islamici ceceni ispirati da allah il grande.
    Sipario. Non mi sento di partecipare al gioco stupido di chi sta con chi e per quale giusta causa pretesa, a differenza di quanto fa la giornalista uccisa, infine, per il suo essere stata 'parte in causa' e parte sofferente nei confronti dei ceceni/e abusati e uccisi/e a mucchi e i villaggi bruciati.
    E questo 'dovere' di dar conto dei massacri e delle violenze all over the world è il santo Graal del giornalismo militante, da Capa alla Politovskaja, ma credo che il sipario calato pietosamente sulle violenze e una giusta distanza emotiva dagli eventi maledetti sia il velo necessario al durare del nostro sogno di una vita diversa e migliore.
    E non capisco come si possa 'dare la vita' – come ha fatto la giornalista, ben conscia dell'esito finale della sua vita di martire e tuttavia irrefrenabile nei suoi 'j'accuse' – per testimoniare al mondo quanto già si sa dai tempi delle caverne: homo homini lupus.
    Nelle varianti postmoderne delle ideologie socialiste al tramonto e degli indipendentismi assassini che vogliono morti nelle esplosioni dei kamikaze ispirati da allah gli infedeli di ogni risma e latitudine.Prima guerra cecena - Wikipedia
    Crisi del teatro Dubrovka - Wikipedia
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    Crisi del teatro Dubrovka - Wikipedia
    Crisi del teatro Dubrovka - Wikipedia

  • Il sangue, la neve (parte 1) - Ottavia Piccolo e Floraleda Sacchi per RAI 2
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    Il sangue, la neve (parte 1) - Ottavia Piccolo e Floraleda Sacchi per RAI 2
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