domenica 30 aprile 2023

Aguzzini e vittime. Ragione e sentimento.

 

(...) Qui, si siede per terra insieme a un gruppo di homeless come lei. Loro sono stranieri, di origine africana, e il quotidiano La Nazione spiega che uno di loro le propone di passare la notte nella sua tenda posizionata nei pressi di via Tonale, distante circa un chilometro dalla loro posizione. Lei accetta, così come la turista francese aveva accettato di trascorrere del tempo con il suo aguzzino in attesa di poter salire sul treno che l'avrebbe portata da Milano a Parigi.
Ma è una trappola e una volta giunta nella tenda, la donna subisce la violenza…

La questione è delicata. A sottolinearne alcuni aspetti piuttosto di altri si rischia di voler limitare il diritto delle donne a muoversi secondo le proprie decisioni e i privati intendimenti - guai a noi, viva la libertà di ognuno e tutti.
E allora provo a chiedermi: 'Se tu fossi donna su quale base e giudizio di merito avresti accettato: 'di trascorrere del tempo con il suo aguzzino in attesa di poter salire sul treno che l'avrebbe portata da Milano a Parigi?'

Il suo aguzzino era persona di bell'aspetto e modi gentili ed eleganti e capace di battute che 'fanno ridere' – cosa che sembra essere particolarmente importante nel rapporto uomo-donna e dispone l'animo alla fiducia e rilassa i freni inibitori e priva le vittime delle naturali difese e diffidenze e le cautele che salvano e mettono al riparo?
Ecco, è questo il passaggio delicato e uno degli elementi che un giudice, in fase di processo per stupro, è chiamato ad esaminare: quanto la vittima abbia concesso al suo aguzzino, dove si pone il discrimine tra lo sbrigativo (e spesso ingiusto) 'se l'è cercata' e la violenza maledetta e animale degli orchi maschili che siamo e ci mostriamo non appena trascuriamo i limiti e i divieti insiti in ogni nostra relazione sociale.

Non è facile, lo so, lo sappiamo, l'avvenenza del genere femminile ha sorrisi maliziosi che incantano e che scambiamo per inviti e tuttavia dovremmo avere sempre presente e vigilante l'alt che si deve alla persona con cui ci relazioniamo.
Si dice, sbrigativamente, che 'quel tale è guidato nei suoi comportamenti da ciò che nasconde nei pantaloni' e questo è proibito, è la soglia del reato di violenza sempre in agguato, è lo stravolgimento e la negazione di ogni canone positivo nelle relazioni con l'altro sesso.
Dovremmo esserne coscienti, dovremmo poter identificare sempre e in ogni caso il passo nostro fatale che varca quella soglia, ma per alcune persone del tanto considerato (a sinistra dello schieramento politico) 'disagio sociale' 'più del dolor potè il digiuno' - che non è mai una giustificazione, una assoluzione preventiva, semplicemente è un reato gravissimo di violenza verso l'altro/a e va punito severissimamente 'senza se e senza ma'.
Non si danno distinzioni ed attenuanti, non dovrebbero esistere in un aula di vera giustizia.
La violenza, di ogni genere e tipo, va stigmatizzata e sanzionata.
L'animale uomo, da millenni, ha sposato la ragione e il sentimento di pietà verso il suo prossimo - ne tengano conto i giudici nel punire adeguatamente gli aguzzini.

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sabato 29 aprile 2023

Faticose scalate.


Del 'dare la scalata al Cielo'. 30 aprile 2021

Non è che la detenzione ai domiciliari, causa corona virus, abbia evidenziato 'il meglio e il peggio di noi' – come scriveva quel tale tout court. Il meglio e il peggio l'avevamo dentro da sempre ed è il troppo tempo a disposizione e il girare per casa in pigiama e senza farsi la barba che l'ha reso manifesto oltre il lecito.
Il bene e il male, il meglio e il peggio delle persone sono anfore mitologiche che stanno nelle cantine di ognuno come gli otri pieni di vento regalo di Eolo a Ulisse e ne attingiamo al bisogno. Ma guai a lasciarli scatenare.
'Esser costretti a farsi anche del male per potere, con dolcezza, perdonare.' scriveva un poeta bolognese scomparso anzitempo.
Per dire di quanto siamo strani e complicati, noi esseri umani e poco capaci di ben bilanciare i liquidi arcani delle due anfore che abbiamo a disposizione.
Sempre attingendo alla biblioteca universale di Facebook:
'I cretini sono sempre esistiti, solo che, prima di F/book, ne ignoravamo i nomi e i visi'.
Intendiamoci: ci sono anche i medici valenti, gli studiati, i volonterosi che fanno volontariato, gli eroi promossi sul campo dell'onore – il meglio e il peggio, insomma, di una umanità varia e diversa che, durando la pandemia, ha mostrato la sua difficile composizione e gli equilibri sociali fragili, come vuolsi dimostrare.
E tra il peggio io ci metto i talebani dei d.p.c.m., gli evangelisti del Profeta che, dalla Mecca di palazzo Chigi, ci ha regalato lungo i due mesi del nostro scontento i versetti dalla sharia pandemica – e i suoi scalmanati evangelisti fuori dalle terrazze, a migliaia, intenti a gridare improperi e 'Untori!' agli sconsiderati che se ne uscivano senza mascherina o appaiati. E quegli evangelisti talebani tuttora imperversano ottusi, malgrado sia palese e irresistibile il 'rompete le righe' di intere Regioni e categorie economiche, e ci fracassano gli zebedei già malandati con la loro predicazione furiosa e gli anatemi e i 'Penitenziagite! col capo cosparso di cenere.
Che, se quella loro predicazione fanatica fosse efficace e irreggimentasse i pochi riottosi, costringendoli alla divisa e rigorosamente mascherati, passi.
Vivremmo in un mondo meno libero e conculcati i diritti fondamentali ai fini della riguadagnata salute, ma così non è, non sarà, perché 'grande è la confusione sotto al Cielo', scriveva Mao tse Dong, il grande condottiero cinese.
E concludeva: '...la situazione è, quindi, eccellente'.
Fuor di metafora: possiamo provare a porre in essere i migliori propositi e tutti i 'lockdown' presenti e quelli eventuali futuri e le mascherine che trattengono gli aerosoli incollate sulle facce di ognuno e tutti, ma è sempre con la grande confusione sotto al Cielo che ci misuriamo - e dovremmo farcene una ragione dei nostri limiti e delle incapacità palesi a risolvere i problemi e guarire d'incanto le pandemie.
Questo significa che dobbiamo essere 'pronti alla morte', come cantiamo durante il nostro inno nazionale, dritti in piedi e con gli occhi lucidi.
E' così – e se qualcosa ci ha insegnato la lunga detenzione e gli ascolti obbligati delle cifre dei contagi e dei morti e dei dispersi della infodemia televisiva è che: 'A chi la tocca la tocca', come gemeva Tonio nei 'Promessi sposi'.
Perché è la morte il nostro orizzonte mentale, ci ricordava Heidegger, e l'obbedienza in guerra agli ufficiali che guidavano gli assalti fuori dalle trincee maledette ce lo ricorda, ma più perché Il Faust delle vane provette e gli alambicchi fumanti e il tentativo di dare la scalata al Cielo degli uomini-semidei ci ricorda quanto vani siano i nostri sforzi di creare le pietre filosofali.
Penitenziagiamo, fratres.

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lunedì 24 aprile 2023

Marionette agite dagli dei.

 

25 aprile 2021
Ascanio Celestini è un attore straordinariamente facondo e inarrestabile. Gli invidio la memoria torrentizia dell'attore di monologhi – che manda a memoria un numero impressionante di parole e le sciorina, perfettamente scandite e pausate e interpretate, davanti al pubblico stupefatto e attonito per la prova gigantesca.
Ma nel monologo di oggi di 'Radio Clandestina', andato in onda sul canale 23 della rai in occasione della festa della Liberazione, l'effetto della sua recitazione è straniante, quasi fumettistico.
E il torrente delle sue parole in libertà ci rappresenta un'Italia in pieno marasma di eventi bellici tragicissimi e una Roma fitta di gente impaurita e schizofrenica: morituri che festeggiano clandestinamente l'annunciata liberazione dal nazifascismo in una città occupata militarmente dal tedesco inviperito per il voltafaccia fatale che lo espone alla sconfitta.
E ci passano davanti agli occhi le strips delle fucilazioni e delle spoliazioni: 50 chili d'oro in 36 ore dagli ebrei romani poi deportati, malgrado le promesse di salvezza, e le fosse Ardeatine con i cadaveri tirati fuori dalle cave già in fase di avanzata decomposizione e ricomposti e riconosciuti da amici e parenti chi per un dente rotto chi per una giacchetta da ferroviere.
E mi interrogo (non solo io) sulle responsabilità dei maggiorenti della guerra partigiana nel centro Italia di intervenire militarmente con azioni di 'commando' contro i tedeschi in ritirata che esponevano la popolazione civile alle ritorsioni e le decimazioni.
Una pagina di storia controversa e ampiamente dibattuta in passato, ma seppellita sotto ai sacrari dei civili caduti e travolta dai peana e dagli osanna di una Resistenza fiera e impavida e bella ciao.
E ieri guardavo per la terza o quarta volta quel bellissimo film dei Taviani 'La notte di san Lorenzo' con la scena madre del fascista colpito e ucciso in un campo di grano dalle lance dei partigiani-guerrieri greci - dentro ai grandi occhi stupiti della ragazzina-io narrante - e il copione della tragedia italica e dei paesi indifesi in cui si consumavano le stragi e le ritorsioni e le decimazioni dentro e fuori le chiese era lo stesso: i civili, uomini, donne, vecchi e bambini, che pagano un debito di sangue enorme e terribile al nemico in ritirata inviperito per il tradimento militare.
Ma non si dice: 'Al nemico che fugge ponti d'oro'? Perché non inquadrare le milizie partigiane in battaglioni annessi alle truppe alleate in risalita da sud e braccare i tedeschi in ritirata accelerandone l'evacuazione? La Storia non si fa con i 'se' e con i 'ma' e tuttavia la questione è stata posta e gli storici l'hanno dibattuta e forse qualche massacro ce lo saremmo risparmiato.
E, ancora una volta, è nello specifico delle pagine della Storia e negli interrogativi drammatici che ci presenta che si compie il rito della Memoria - che non è celebrazione, bensì rappresentazione dei fasti e dei nefasti e analisi puntuale delle parti in tragedia e dei protagonismi colpevoli.
Ma dalle rievocazioni teatrali e cinematografiche basate su quei fatti lontani sembra uscire, invece, un coro ineluttabile da tragedia greca dove i mortali sono marionette agite dagli dei olimpici e sopra tutti impera il nero Fato col seguito delle Parche.

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La prossima volta il fuoco.

 

La prossima volta il fuoco.

La suggestione prende le mosse dalla presentazione radiofonica di un libro 'Pirocene' di Stephen Pyne che ci narra 'tutto ciò che avremmo voluto sapere sul fuoco' e, ahinoi, lo conosciamo bene, benissimo, stiamo, anzi, per fargli un finale monumento termonucleare grazie alla follia dei bellicisti Nato nella loro guerra ucraina di nazistoni Azov e suonati Stranamore d'Oltreatlantico che tengono bordone al e tele comandano l'eroe pazzo di Kiev - che ognora chiede armi-armi-armi (il suo pane velenoso) e l'intervento militare diretto degli Stoltenberg e dei distopici cugini europei annessi.
E pensare che il tutto origina da un gesto di clemenza di un Titano astuto e compassionevole che rubò il fuoco agli dei e lo consegnò, illuso degli esiti, alla genia umana che ne fece un uso maledetto, dopo la romantica fase iniziale poveristica di arrostirne i cosciotti di mammut nelle fredde caverne di quei mezzi scimmioni di Lascaux che eravamo – e forse mai abbiamo cessato di essere, maledizione!
Il fuoco, quindi. Quello che forgiò le spade delle guerre e delle vittorie, e gli elmi e le corazze di quando la postura umana dominante era quella, greve, de: 'Cavallo, spadone, corazza' - opposta alla presente, più comoda, della 'sedia-tastiera-computer' che, secondo un noto professore-scrittore di Torino, avrebbe dovuto cambiare le sorti dell'umanità e convincerla che la guerra era un armamentario obsoleto e vetusto e ridicolo del post moderno (A. Barricco 'The game').
E il fuoco bellico è, invece e tuttora, la nostra egida e simbolo: dalle scie dei razzi che ci portano nel cosmo e ci porteranno a scontrarci con gli alieni (guerre stellari) che già ci mandano a dire – nel loro gioco a nascondino degli ufo - che 'state sul culo a tutti' e ne pagherete il fio, una volta usciti 'a riveder le stelle' e vostro provare a colonizzarne i pianeti.
E il libro di Stephen Pyne ci dà conto dei mega incendi dell'epoca nostra: il 'Pirocene' e dei fossili che tuttora usiamo per riscaldarci e alimentarne i forni delle industrie, ma trascura di informarci degli esiti ultimi già in cronaca: di quella guerra termonucleare annunciata che il suo fuoco lo occulta negli ingranaggi maledetti che innescheranno gli atomi e gli elettroni in portentosa libertà termonucleare - e la visione degli antenati che si cucinavano i cosciotti di mammut nelle caverne sarà l'ultima visione di noi bisnipoti che spediremo migliaia di commoventi sms ai parenti a agli amanti, morituri a loro volta, scrivendo loro: 'Ti amo', come nel 2001 delle Twin Towers – ultimo gemito pietoso di un uso distorto di quello che, in origine, fu un dono furbescamente sottratto agli dei.
Estote parati. Al Pentagono è già tutto pronto. Biden-Stranamore ha il dito anchilosato e maledettamente tremante sul pulsante rosso termonucleare.

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La pittura rupestre: le Grotte di Lascaux, di Chauvet e di Altamira #artepreistorica3
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domenica 23 aprile 2023

La Storia che siamo e non vogliamo.

 

La Storia siamo noi (nessuno ne venga escluso). 24 aprile 2021

Ero a Cracovia, nella caldissima estate del 2012. Una bella città in cui ho soggiornato a lungo per la densità delle memorie che ospita, inclusa la Memoria per antonomasia, quella dell'Olocausto.
Ma non mi sono recato ad Auschwitz, come molti fanno e le migliori guide turistiche raccomandano per le ovvie ragioni della completezza del quadro storico che incornicia ogni antica città, le tragedie incluse.
Non ho voluto andarci non solo per non condividere il 'turismo delle catastrofi' o del dolore con le scolaresche sciamanti e cicaleccianti, bensì perché ritenevo e ritengo che non resti più molto da elaborare spiritualmente in quel luogo museale della tragedia massima che rievochiamo ogni anno a ridosso del 25 aprile, giorno di Liberazione dal nazifascismo.
E stasera ho rivisto con grande piacere il film 'La verità negata' (con una strepitosa Rachel Weisz) in cui si dibatte la questione dell'Olocausto in un'aula di tribunale, un tribunale londinese, e la sentenza castiga un famoso 'negazionista', uno storico preteso, che ha osato citare per calunnia e danni relativi la scrittrice ebrea americana Deborah Lipstadt.
Un film non solo bello e avvincente, bensì istruttivo su come si dibatte una causa in Inghilterra - dove la forma è sostanza, a partire dall'inchino che il giudice scambia con gli astanti nella sua aula di giustizia (che la scrittrice, americana, si rifiuta di fare) perché quell'inchino è un segno di riconoscimento reciproco e di rispetto. Senza il quale l'aspro teatro della giustizia non può avere inizio.
E vi è distinzione tra il 'dicitore', che discute ufficialmente la causa, e il collegio di difesa alle sue spalle che studia gli incartamenti e decide la migliore strategia processuale.
E all'imputata che perora la causa dei testimoni del massacro come evidenza massima di un Olocausto denegato il collegio di difesa raccomanda più e più volte di non parlare e di contenersi e di controllare l'emotività – non per vacua tradizione di aplomb britannico e londinese, bensì perché i testimoni di ogni sofferenza sono dei pessimi testimoni in un processo e la loro memoria è labile e soggetta a tutti i guasti della memoria di ognuno e tutti con in più il carico di orrore incancellabile e lo stress emotivo conseguente che non riesce ad elaborare razionalmente quei fatti che narrano di una straordinaria e massima malvagità umana.
E suggerisco ai nostrani habitué del ricordo della Liberazione, le figure istituzionali incluse, che ogni anno, il 25 aprile, ci sommergono con cerimonie e articoli e films e posts evocativi la Resistenza partigiana, tre giorni prima e tre dopo la fatale ricorrenza, di ri-guardare questo film istruttivo e di contenersi a loro volta e non erompere subito , a cori e tiggì riuniti, nel canto celebrativo di riferimento (Bella ciao), bensì di trovare modi diversi e migliori per richiamare e inquadrare storicamente quell'evento cruciale e controverso della nostra storia patria.
Perché non è con i mortai mediatici da 120 e gli obici mnemonici lanciati a quintali contro gli indifferenti e i pretesi fascisti (sempre risorgenti e in agguato, a sentir loro) che ci verrà garantita la verità dei fatti e il rispetto dovuto alle vittime, bensì con la passione della Storia, quella degli storici che ci garantiscono, citando le giuste fonti e le testimonianze e i riferimenti oggettivi e incontrovertibili (come si mostra nel film citato), che Giulio Cesare è esistito ed ha passato il Rubicone gettando i dadi (Barbero esprime dubbi, ad esempio, su questa storia de: 'Alea iacta est') e che il Titanic è effettivamente affondato a causa di un devastante impatto con un maledetto iceberg.
La Storia non ha bisogno di imbonimenti e annuali ramanzine e 'moniti' solenni.
La Storia la si studia e la si ama quando offre risposte certe e non verità partigiane e buone all'imbonimento di una sola parte politica.
Ben vengano, per ciò, le narrazioni accessorie che ci raccontano, insieme alla mitica Liberazione, dei fatti tragici dei partigiani di Porzus in Friuli e quelle delle foibe titine, per dire di un male di vivere che si nutre di ideologie contrapposte e di fanatismi e non ha mai una sola rappresentazione elegiaca o dannata, bensì i molti volti del nostro vivere affannoso e tragico.
La Storia siamo noi (nessuno ne venga escluso).

Concentriamoci sulle orazioni.

 

Concentriamoci sulle orazioni.

La presente coazione a ripetere - ogni santo 25 aprile che Dio manda in Terra - le recitazioni partigiane dei fatti della Storia ha il pregio, quantomeno, di riportare alla memoria la nostra storia privata di famiglia.
Per chi, come me, ha oltrepassato la soglia biblica dei settanta i fatti di cui si narra - di un Ventennio in declino e la ferocia degli scontri tribali tra fascisti resistenti e i loro opposti partigiani nelle valli di transito delle ritirate e fuori dai paesi – sono parte della storia di prossimità delle nostre nascite.
Quando nacqui, Claretta Petacci ed il suo amante fatale Benito Mussolini erano stati trucidati da appena quattro anni, e mio padre, disertore già da due anni sul fronte occidentale, viveva nascosto in casa del fratello. La notte, quando forti colpi alla porta annunciavano le ispezioni notturne della Milizia in seguito alle spiate di qualche vicino rancoroso, usciva in pigiama dall'abbaino e si distendeva sul tetto opposto, il cuore che gli batteva all'impazzata e il freddo che gli gelava la schiena.
Era restio a raccontarmi i dettagli della sua personale anabasi di ritorno dalla Francia, la divisa e l'arma gettata in mare e ospite dei vagoni notturni che lo riportarono, dopo oltre una settimana, a Venezia sempre pronto a saltar giù ad ogni avvisaglia di pericolo di ispezioni.
Di quel suo periodo di vita spericolata (ben oltre quella di Steve McQueen) mi restano le fotografie che lo raffigurano in divisa bianca da marinaio assieme ai suoi commilitoni che si divertivano a fare la piramide umana e un'altra che lo mostra sorridente e scherzoso con in mano la mitraglia che mai ebbe modo di usare.
E di un altro parente, uno zio da parte di madre, ho notizia. Fu intruppato a forza, dopo l'otto settembre – e gli mancavano tre mesi alla chiamata di leva - nelle milizie della Repubblica di Salò, a causa di un ritardo nella fuga e del successivo nascondimento programmati (ma i parenti reticenti) che gli fu fatale.
Anni più tardi, nel rievocare quei fatti, lamentava di non avere avuto riconoscimento di pensione di guerra a causa della condanna storica e nero sipario che scese su chiunque avesse preso parte attiva con quelle divise maledette di revanscisti politici, ma era persona le mille miglia distante da ogni appartenenza politica e vittima passiva di quegli accadimenti feroci che ne mangiarono in parte e condizionarono dipoi la giovinezza (scontò un anno di prigionia).
Tutto questo rievoco per dire che quegli eventi lontani ebbero aspetti diversi e controversi per ogni persona che fu costretta a viverli e a subirli per pura appartenenza anagrafica – clamoroso il caso di un anti fascista di grido, Scalfari Eugenio, fondatore del quotidiano 'la Repubblica', a cui fu rimproverato di aver preso parte attiva in gioventù dalla 'parte sbagliata della Storia' nella temperie culturale propria dell'epoca sua.
E di prendere parte attiva ogni 25 aprile alle opposte recriminazioni e accuse feroci e chiamate alle armi – perfino quella della pulzella di Orleans Elly Schlein, segretaria in accomandita semplice di un partito in disarmo - non ne voglio sapere e quella parte di Storia patria sta, giustamente, nei libri di Storia, dove ritroviamo tutto il necessario per poter giudicare e distinguere al di fuori delle stolide 'querelles' e odierne recitazioni scomposte di ogni parte politica.
E ai libri di Storia rimando tutti coloro che pretendono di rievocare e reincarnare quei protagonisti lontani nel tempo - e dovremmo tutti vivere, con dolorosa coscienza dell'insensato della Storia, 'qui ed ora' : di fatti della Storia futura che potrebbero essere peggiori e più drammatici di quelli che abbiamo alle spalle perché la demenza bellica dei filo Nato ci riporta agli interventismi fatali di conflitti termonucleari che si preparano ed annunciano - vedi lo Stoltenberg in quel di Ramstein che incita (la follia ha un suo metodo) i suoi stolti seguaci europei a 'fare di più' e a mandare gli F16 di una rovinosa guerra per procura che tutti ci comprenderà.
Cenere alla cenere. Concentratevi sulle orazioni del caso.

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sabato 22 aprile 2023

Chi era costui

 Chi era costui.

Martial Raysse. Chi era costui. 18 aprile 2015
E' gioioso l'approccio iniziale che si ha con quel Grande Vecchio che è Martial Raysse. Grande Vecchio perché ancora bambino dentro e capace di magie e laboriose fantasie che sintetizzano artisticamente il mondo intero e ne correggono i molti aspetti grotteschi e mortiferi e lo trasfigurano e rivitalizzano.
Un artista, Raysse, che non conoscevo affatto, nel vasto panorama dell'Arte contemporanea, e già il fatto che abbia scelto di vivere in Dordogna, come si legge nella sua biografia, aggiunge gioia a gioia. Perché ti fa venire in mente il gran naso dello spadaccino innamorato di Bergerac - quello de: '...e giusto al fin della licenza io tocco.' - e il fluire di quel fiume dolce che dà il nome alla regione, sulle cui sponde affacciano e si specchiano i meravigliosi villaggi della 'douce France' dei nostri sogni di una vita altra e diversa, delle molte che abbiamo immaginato e ci sono sfuggite tra le dita.
E già all'ingresso, nella corte interna del palazzo che ospita la sua mostra (M.a.r.t.i.a.l R.a.y.s.s.e - Palazzo Grassi – Venezia), ti aggiri tra le teche di un immaginario museo della Conoscenza e della Fantasia dove le statuette di antichi satiri e deità si confondono con i funghetti colorati e le capre e i contadini-ushabti che menano una strana carriola, e con gli altri sogni infantili buffi e grotteschi e le fiabe trasposte in sculture arcane di un Bimbo Meraviglioso capace di proporsi quale Fautore del Mondo Nuovo che tutti abbiamo inseguito da bambini, ma è durato poco, ahinoi e solo ne serbiamo brandelli e sfilacci nella memoria.
E ti colpisce quella statuetta di un tale che cerca di uscire dalla sua scatola angusta aperta a fatica - e dentro si mostra la luce di un inferno da cui cerca di scappare, ma fuori è tutto un fiorire di luce e galli-eroi ritti nelle loro piume che tirano con l'arco e bambini divini che eruttano fontane luminose.
E se un corpo nudo giace sulla pira della sua vita sofferta - che sembra un eroe troiano a cui è stata negata la meta di una Nuova Città da fondare - nella stessa teca gli fanno consolatoria compagnia i funghetti colorati della rigenerazione e trasformazione della materia e un satiro cornuto che porta sulle spalle una divinità gioiosa e un'altra bianca divinità della pace, più in là, con in testa la piccola colomba simbolica del Volo a cui tutti aspiriamo - o Resurrezione, che verrà qualche millennio più avanti.
E sembrano davvero le teche di un museo dell'archeologia minoica, ma rivitalizzato dal Buffo della fantasia infantile che non trascura la meticolosità nella riproduzione delle sculture e statuette e oggettini correlati - e Raysse è autorevole, autorevolissimo nel coinvolgerci in quel suo mondo di fiaba e cento fiabe della Storia e delle odissee e delle eneidi e le dice vere, più vere del vero, e se il mondo fuori dal palazzo è altra cosa e più avvilente e piatto, beh è un nostro problema, di noi che artisti non siamo e la Fantasia che abbiamo avuto in dono è raggrinzita in un angolo delle nostre menti e spaventata e raggrumata – come quel grumo arboreo che si mangia il corpo di una figuretta di donna e viene in mente Dafne e Apollo e il Laurus Nobilis dalle foglie intensamente profumate....

Satiri e odalische

E ai piani superiori l'arte del Bambino Sapiente, - che ha ridotto a gioco della pop art la Storia degli avi minoici: le statuette e gli altri antichi reperti chiusi nelle teche dei musei e le ha trasformate in spazio-giochi degli asili e fantasiose divinazioni e misteriosi esorcismi -, diventa stupefatta ammirazione e raffigurazione del più grande mistero dell'universo dopo il big bang: la Madre e la Donna riflessa nei mille colori storia dell'arte.
E il Bambino prodigio la rimira e la effigia nelle cento raffigurazioni della storia dell'arte da lui così ben assimilata: di fronte e di profilo - rammemorandoci il prodigioso Piero dei ritratti del Duca e della di lui consorte e le odalische di Ingrès e di Matisse, ma con l'interna gioia dell'adolescente che li filtra nei ricordi delle spiagge che ha frequentato - dove le donne e le madri erano le visioni e i richiami e i gridolini di gioia che si inseguivano nell'aria per il calore della sabbia ritrovato e commisto agli spruzzi freddi dell'onda di quando si andava al mare 'per mostrar le chiappe chiare'.
E in uno dei suoi grandi quadri a tutta parete si mostra l'umanità ridevole e balneabile dei suoi anni felici che si ammassa a bordo spiaggia ed è una carta d'identità e un 'come eravamo' stupidi e felici quando risuonavano le note di 'Abbronzatissima' a due passi dal mare e non c'erano i barconi dei migranti ad intristirci e lo spettro della Crisi che non finisce mai.
E l'adolescente che prende coscienza dei suoi grandiosi mezzi espressivi si diverte a mostrarci perfino i 'disegni preparatori' di quei suoi quadri - come fossero, che so, gli schizzi e gli abbozzi delle figure guerresche della 'Battaglia di Anghiari', ma è sempre l'ironia e il gioco della pop art a farci sorridere e a riconoscergli 'l'onore al merito' del genio divertito e divertente che dura fino all'ultimo spazio espositivo in alto sulla terrazza interna della corte del palazzo - dove tornano le sculture delle teche al primo piano, ma ingrandite e non meno misteriosamente divinatorie ed evocative di chissà che, con la dea oscenamente ignuda che impugna una freccia d'argento e il satiro cornuto che la affianca che avanza ridente con in su le spalle una baccante ubriaca di gioia.
Martial Raysse – Palazzo Grassi - Venezia

Ad maiora. Echi dalla nuova peste.

 

Ad maiora. 19 aprile 2021

Me ne sono fatto una filosofia di questo nostro tempo di reclusioni e infodemie paranoiche gonfiate dalle pandemie. Qualcosa di simile al consiglio che Virgilio dà al suo compagno di viaggio nel percorrere i gironi infernali: 'Non ti curar di lor, ma guarda e passa.'
E 'lor' sono i talebani delle mascherine da indossare obbligatoriamente e coercitivamente anche se i tuoi percorsi sono di aperta campagna e solitudini estreme - e solo di striscio e incidentalmente capita di incrociare una strada privata da cui fuoriesce il suv-carroarmato col buzzurro al volante mascherato e guantato perfino all'interno del suo abitacolo.
Della serie: 'Ma papà ti manda solo?'
Ed è giusto il caso di dire che 'fama di loro il mondo esser non lassa' e che 'misericordia e giustizia li sdegna' quei poveretti rimasti invischiati nella ragnatela appiccicosa delle comunicazioni ministeriali e/o regionali e comunali a tal punto da non saper distinguere il grano dal loglio degli 'esperti' virologi che emettono le loro grida sanitarie rivolte ai territori dell'urbe dove si stipano decine di migliaia di persone in poco spazio - e le campagne silenti e i boschi dove mi infratto, sono esenti, ca va sans dire, da umane contaminazioni.
E, come stimava un altro virologo in un suo articolo, è 'una su un milione' la possibilità che un virus coronato svolazzi libero e felice nell'aere planando ardito sulle ali del vento e finendo insaccato, tu vedi la sfiga massima e il destino cinico e baro, giusto dentro la tua narice di solitario pedestre serenamente deambulante nella sua 'ora d'aria'.
Perché, diciamocelo fuori dai denti, viviamo reclusi e mezzo folli e avviliti all'interno di una bolla di impazzimento collettivo gonfiata a dismisura dai tubi catodici che ci propinano h24 i conteggi dei morti-feriti-dispersi e gli slogans pseudo consolatori de: 'Ce la faremo' e 'Andrà tutto bene.'
E la sola difesa a uomo consentita è cambiare canale e sintonizzarsi su raistoria giusto per cambiare aria e tempo storico in cui rivivere liberi da maledette pandemie – e pazienza se quel tempo televisivo include una guerra o un Ventennio fatale. Ma, davvero, l'epopea di Claretta Petacci e del suo pigmalione tonitruante o quella di Carlo Magno incoronato imperatore di ritorno da Roncisvalle sono tempi televisivi e ri-creazioni mentali altamente preferibili a quest'incubo pandemico che attizza il peggio neuronico all'interno delle troppe menti paranoidi munite di mascherina e guanti anche nelle solitudini domestiche.
Ad maiora.

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