domenica 31 maggio 2009

più gente entra, più bestie si vedono

Ci deve essere una regia occulta dietro a una manifestazione di tanta grandezza numerica. Lo si intuisce dalla foggia delle barche che vi partecipano: alle quali deve essere stato indicato un luogo dove alare l'attrezzo e tirarlo su al momento della partenza.
Però ci sono barche di minori dimensioni che potrebbero bellamente fregarsene di una burocrazia e di un tentativo di controllo sui numeri - ogni anno sempre più grandi perchè il giocattolo-Venezia diverte e la laguna e i canali sono un divertimento assicurato e un modo turistico per 'farlo strano' e poi raccontarlo a un universo di amici reali e virtuali.

Beh, l'atmosfera non è così male, se si esclude l'aspetto anarchico e caotico: un 'fuori controllo' che è il dato caratteristico di questa città di invasioni irresistibili e maree umane sempre più alte che nessun Mose riuscirà a fermare per candida e avvilita dichiarazione degli amministratori cittadini. Ci mandano a dire di 'avere pazienza' e 'tollerare', ma intanto c'è chi ci campa alla grandissima su questo snaturamento ormai irreversibile di una città di turisti e il boom dei B&B e annessa evasione contributiva a tre/quattro cifre (milioni di euro) dichiara l'impotenza di questa e ogni altra futura amministrazione cittadina di qualsivoglia segno politico a controllare alcunchè, indirizzare alcunchè, imprimere svolte e 'contenere' e assicurare il 'decoro'.

Questa del 'decoro' è la perla del ridicolo che si fa verbo politico severo, ma rimane lettera morta e beffa quotidiana.
Sali su un vaporetto qualsiasi e il tormentone è l'annuncio che 'devi tenere pulita la città', 'è 'un dovere di tutti' - come se i pistolotti e le raccomandazioni e i manifesti sui muri avessero un senso quando i numeri della presenze giornaliere sono a quattro cifre e non c'è politico e assessore di nessun partito che non si faccia bello per aver incrementato stupidamente quel numero con qualche manifestzione pubblica aggiuntiva.
Dopo la 'vogalonga' potremmo lanciare l'idea del 'monotrampolo a molla' : con saltimbanchi da tutto il mondo conosciuto che vengono a Venezia fra lazzi e frizzi e richiami e 'allegria! allegria!' alla Mike Buongiorno e 'sempre di più! sempre più in altooo!!.
Una volta si gridava, sulla soglia dei circhi da strapaese:
'Venghino,venghino, siori e siore: più gente entra, più bestie si vedono!'. Benvenuti a Venezia.

La reazione 'caotica' a tanto baillamme e allegro casino è che noi veneziani ce ne andiamo, ce ne andremo tutti, chi prima chi poi, e la quinta teatrale di questo triste teatro dell'antico sarà vuota di anima popolare e buona solo per i guitti occasionali che vengono per mascherarsi a Carnevale o a vogare un solo giorno in diecimila e forse più.

Che mondo! Forse una tangenziale che avesse toccato le varie isole e le fondamenta cittadine avrebbe offerto migliori occasioni di sviluppo a questa città di vaganti greggi turistiche beote, chissà.
Forse avevano ragione i futuristi a pretendere che si uccidesse il chiaro di luna e tutto il marcio romanticume che ha fatto la condanna di questa città avvilita e accartocciata in se stessa - come i rifiuti che si lasciano dovunque in barba all'assessore al turismo e al 'decoro' e ai suoi stupidi annunci e severe ramanzine preventive sui vaporetti stracolmi.

sabato 30 maggio 2009

di padre in figlio

Di figli che 'uccidono il padre' non ce ne sono molti in giro e le leggende di Edipo ed Antigone contengono tutto il dramma di questo accadimento tragico e raro, per nostra fortuna.
Ma 'uccidere il padre' è anche un leit motiv della psicanalisi così come l'accoppiarsi con la madre: tabù ancestrali che hanno a che fare col buio delle nostre menti e coi meandri nebbiosi da dove origina il mal tracciato sentiero che mena alla razionalità della polis e si lascia alle spalle la tribalità delle origini.
Ma uccidere il padre, a volte, potrebbe servire a ricondurci a quella razionalità che abbiamo perduto - dacchè i 'papi' ridanciani e gradassi e imbonitori si sono proposti alla guida di questa tribù nuova che è diventato il nostro vivere associati; un'Italia senza più 'forza' e rigore morale (ma è ben vero che poco se ne rintraccia nella 'prima repubblica'), al punto che un partito nato sulla corruzione di quella arriva a invocarla come 'grida': col permanere per decenni del suo simbolo storico che rimandava alla sua genesi infausta e a una 'logica di servizio' verso il novello 'principe' sempre aggressiva (perchè malata) e rabbiosamente gridata nei confronti delle più solide istituzioni repubblicane e dei principi costituzionali che si vogliono modificare/abolire.

Non si può chiedere ai figli del premier di 'uccidere il padre', il 'papi' che la loro madre-Antigone dice 'malato e bisognoso di aiuto: è troppo crudele pretenderlo e questi figli - come quelli di Craxi prima di loro - sono destinati a covare dentro la malattia genetica di un'appartenenza pesantissima e fatale che lega i piedi e le menti e l'unico modo per sopravvivere all'onta è gridare in ugual modo, rivendicare i geni della paternità malata e aggredire al modo del padre rivendicando quali loro 'valori' di discendenti i disvalori paterni, le corruzioni tendenziali ed effettive per cui fu imputato il padre - e solo maledette leggi ad personam e avvocati costosissimi e valenti hanno prescritto e silenziato e, quando non bastava, eccoli gridare ai giudici : 'boia' e 'comunisti' e 'mentecatti' e facenti parte di un complotto teso a delegittimare l'Eletto del popolo.
Grida sciagurate e insensate in una moderna polis democratica dove vigono pesi e contrappesi e doverosi rispetti istituzionali, ma sensate e leggittime per chi adora Colui-che-parla-alle-loro-viscere di pervicaci elettori di un Barabba - sordi ad ogni argomentazione razionale ed evidenza miserabile della privata e pubblica morale.

Per una volta tanto uscire dalle definizioni psicanalitiche e 'uccidere il padre' - nel senso del disconoscere apertamente e con grande forza morale il suo operare 'politico' di moderno Caligola e la sua a-moralità di imperatore plebeo - avrebbe fatto del bene a questo paese e saremmo a ringraziare come eroi mitologici quei figli che l'avessero fatto, ma davvero questa forza titanica non è sensato pretenderla in un paese ormai regredito alla tribalità e saremo costretti nel prossimo futuro ad assistere, sempre più avviliti, ai loro penosi tentativi di riscattare un preteso 'onore politico' come ha fatto la figlia di Craxi per decenni - invano cercando di convincerci che corrompere ed essere corrotti fosse farina del sacco di tutti gli italiani, farina di una moderna repubblica europea, di una 'polis' del terzo millennio.

mercoledì 27 maggio 2009

perl'appunto



I veri conti con la giustizia
di GIUSEPPE D'AVANZO

È vero come ha accertato Repubblica ieri che, nel giugno 2005, Gino Flaminio, l'ex-fidanzato di Noemi, è stato arrestato per rapina. Rito direttissimo. Condanna a due anni e sei mesi con la condizionale. Il ragazzo non ha mai fatto un giorno di prigione. Questa è la rivelazione, nel salotto di Ballarò, di Belpietro e Bondi. Che non hanno ricordato come anche Benedetto Elio Letizia, il padre di Noemi che Berlusconi definisce un caro e vecchio amico, è stato arrestato, condannato in primo grado per corruzione, poi assolto. Accortamente Belpietro e Bondi si sono tenuti lontani dalla vera questione. Berlusconi ha sempre detto di "aver incontrato Noemi tre o quattro volte, sempre in presenza dei genitori" (France2). Gino ha svelato che la ragazza, per una decina di giorni, fu ospite del Cavaliere a Villa Certosa in Sardegna a cavallo del Capodanno 2009. Berlusconi ha dovuto ammettere la circostanza smentendo se stesso. Conta qualcosa l'errore di gioventù di Gino rispetto alla verità che racconta e che il presidente del consiglio è costretto a confermare? Non pare. È spericolata la manovra dei corifei del capo del governo che vogliono screditare un ragazzo per la sua unica colpa dimenticando, come d'incanto, quante volte e come il Cavaliere ha evitato la severità della giustizia liberandosi delle sue condanne per prescrizione, con leggi che si è scritto abolendo il reato di cui doveva rispondere (falso in bilancio) o per l'immunità che si è fabbricato evitando una condanna a quattro anni e sei mesi per corruzione (Mills). Se Gino non può raccontare una verità che ha trovato una conferma indiscutibile, il curriculum giudiziario del Cavaliere a che cosa dovrebbe destinarlo?


(27 maggio 2009)



Il giornalismo d'accatto alla Belpietro e varia e assortita compagnia de 'il Giornale' e 'Libero' e 'Il Foglio' unitamente agli avvocati prezzolati dal premier provano a screditare i testimoni d'accusa.

Teatro già visto (si veda il processo Andreotti) di una repubblica di infami (che non lasciano fama). Bleaaah!

le vergini del drago e la guerra dei mondi

E' la guerra dei mondi. E non è fantascienza, bensì le banali querelles quotidiane su cosa sia lecito fare o non fare in questa nostra vita associata e che senso ha il dare addosso al pres.del cons. - il molto (dis)onorevole Cavalier Silvius Onni - e il perchè.

Si dà addosso a Silvio Berlusconi e immensa compagnia complice perchè non si fa di distruggere la vita di una persona di cui si lodava la 'purezza' nelle prime telefonate dello stupore e del 'non ci posso credere!' e lasciata poi pressochè indifesa al vandalismo del tritacarne mediatico - delegandole (a lei e alla famiglia sua) perfino l'invenzione di un alibi qualsiasi buono per l'incauto imperatore, una qualsiasi storia di come abbia conosciuto quella famiglia che regga alle verifiche giornalistiche e che Lo salvi (sia sempre Lode all'Imperatore) dall'accusa infamante di essere drago e di mangiarsi le vergini.

E se è vero che il lasciarsi tentare dal mercato delle vergini (qual'è il commissionare un 'book' e spedirlo alle televisioni e agli improbabili 'agenti' di quel mondo parecchio fetido che si definisce 'il mondo dello spettacolo') è la mela maledetta di Eva e indica Noemi Letizia a prima, fragile colpevole e le toglie ogni pretesa innocenza, il fatto di essere stata pescata nella tonnara maggiore dei Fede e dei Berlusconi e di quel mondo dorato e marcio nel midollo e finire arpionata e squartata ci induce a uno sguardo di pietà per tutto quanto di strano e stupido e ridicolo è contenuto in questa storia di Barabba assunti a imperatori da un popolo che adora i suoi imbroglioni al punto da averne riempito i libri e i films e averne celebrato la macchietta per decenni (impagabile Sordi).

Fino all'ultimo: fino a questo strano Nerone e Caligola che canta con Apicella e che fa senatori i suoi avvocati e ministre le sue puellae - previo addestramento mirato sui palcoscenci delle tivù a mostrare il commercio fragile della bellezza e come possa essere pagante (con un po' di fortuna) l'usarla bene e il venderla al migliore offerente.

Un mondo da 'basso impero', di corruzione dei costumi pubblici e perdita di ogni pudore relativo all'agire pubblico (e i supporters malati gridano che 'c'è da sempre', ma almeno un velo di pudicizia e avvilimento prima si stendeva e si chiudevano i sipari) che ricorda, appunto, le leggende 'nere' dei Nerone e dei Caligola - dei quali sicuramente si diceva un gran bene, all'epoca, quantomeno per aver fortificato i muri di difesa della città e rafforzato l'esercito e distribuito le terre incolte ai legionari (e anche di Lui, del Magno Benito si dice(va) che 'i treni arrivavano in orario' e aveva bonificato le paludi e 'dato la massima fecondità a ogni zolla di terra').

Beh, facciamola breve. Turatevi il naso, gente, e votate, votate, votate.
Come recitava una bella vignetta di Forattini ai tempi di Craxi, Spadolini,Andreotti effigiati ignudi a mollo in una pubblica discarica come fosse una vasca Jacuzzi:
'Votateci! E' qui che dovete passare il resto dei vostri giorni.'

lunedì 25 maggio 2009

il Grande Nord e l'aurora boreale

A che punto è la notte? I titoli dei romanzi ci servono per dire della presente notte civile - lunga quanto il buio del Grande Nord e che non ci darà le soddisfazioni di osservare, a un certo punto, il fenomeno straordinario di una bellissima aurora boreale.
E' una notte fitta di incubi e il nostro sonno disturbato da molti risvegli ci dice che sono più veri del vero e un'angoscia sottile accompagna il sonno della ragione e genera i fatidici mostri che leggiamo sui giornali e vediamo in tivù - più raramente e ben schermati dalle 'veline' distribuite in redazione dai direttori dei tiggi al soldo del Capo e dei suoi scherani alleati al governo della nazione.

Il fatto è che non c'è speranza di cambiamento perchè - come ci ragguaglia un giornalista su 'la Repubblica' - quell'uomo abominevole, il beneamato leader che si è comprato la politica e il poco che resta della morale publica e civile, parla alle viscere del paese - e non è un bel parlare e non è un bell'odorare, stando a ciò che esce dalle viscere quotidianamente.

I miei (pochi) affezionati lettori che leggono da tempo questo blog conoscono la metafora che uso del 'barabba' - votato a clamore di popolo e che condannò Gesù, a suo tempo, al Calvario (della Resurrezione non so dirvi: chissà se è mai stata vera quella strana storia di angeli e pietre rovesciate della tomba e il sudario disvolto e ivi abbandonato).

Ebbene, i molti fans di mr Onni non fanno mistero sui loro blogs e forum di preferire un puttaniere 'che fa' ai politici di centrosinistra che disfecero. Su questo non avrebbero tutti i torti, ma resta da affermare se davvero possiamo disfarci del tutto, nella vita pubblica, nel nostro votare e scegliere questo o quel partito e candidato, della moralità, del limpido comportamento ed esemplare di uomini valenti al servizio della 'polis'. Comportamenti 'esemplari' : già.
Davvero abbiamo coscientemente e cinicamente buttato il bambino con l'acqua sporca?
Davvero i 'valori' che trasmette il corpo e il comportamento del leader costruiscono futuro e che futuro sarà - se le 'pari opportunità' si danno solo alle lolite fasciate di begli abiti di lamè o che si esibiscono sul palo degli strip-shows in danze torride prima di essere nominate ministre o sottosegretarie? La 'televisisazione' della vita pubblica è ormai a un punto di mefitico non ritorno? Niente sarà più come prima e il commercio del corpo femminile manderà 'tutto a puttane' - come si diceva un tempo?

Siamo al rovesciamento degli adagi di un tempo: vizi pubblici e private virtù (poche) - se ce ne sono che a noi miserabili e impenitenti 'comunisti' ancora sfuggono.
Ma perchè mai dovremo mandarvele a dire? ci domandano rabbiosi i fans club di Kim il Silvius.
Si porti a letto chi vuole e le assoldi a decine quelle grandissime t.... (si sa che nei forum la finezza non è d'obbligo) e ci si faccia bello come gli pare, basta che 'faccia'.

Sarà pur vero che 'fa', ma non trascurerei di far sapere agli elettori tutti e ai cittadini 'come fa': perchè se è vero che i rifiuti campani sono ora sotto al tappeto delle discariche militarizzate sarebbe bene far sapere a tutti noi europei anche gli effetti correlati di quel nascondimento manu militari e affidare al buon giornalismo di inchiesta i reportages su 'di che percolato grondi e di che qualità venefiche' sono le acque delle falde sotterranee e le arie e i suoli delle mozzarelle campane che siamo tornati a esportare.

domenica 24 maggio 2009

storie di tango


Non so bene cosa significhi, nel linguaggio del tango, l'espressione 'porti bene'. Non credo abbia a che fare con la fortuna e con certi oggetti designati e rituali nostri convenuti che 'portano bene', appunto.
Suppongo che sia, invece, riferito a un modo dell'accordarsi/avvitarsi dei corpi sulla musica e in se stessi (un po' com'è dei numeri primi: vedi il post 'la solitudine dei numeri primi' del luglio 2008 su questo stesso blog): un modo di 'stare insieme' e comunicare una felicità del ritmo e dei languori musicali che ci uniscono durante una tanda.
In teoria dovrebbe essere una sorta di complimento: 'porti bene' nel senso del condurre, domesticare e persuadere la partner col solo intuito dei corpi all'avanzare e 'fintare' e girare in tondo e giocare con 'ocho' e 'sacade' e 'rastrade': per dire della serie di complicate figure che, come in una corrida, mandano in visibilio gli spettatori e gli amanti del genere.
Ma non finisce quasi mai in modo cruento, per nostra fortuna di torelli inesperti e focosi, e al massimo ci portiamo a spasso qualche banderilla sul groppone caracollando per la sala - com'è capitato a quel tale, una sera di qualche tempo fa, che è stato 'congedato' dopo un solo tango (massimo dell'ignominia: si balla, per convenzione, un'intera tanda: tre tanghi di fila, a meno di dichiarato disagio dell'uno o dell'altra).
Con grande disprezzo del pericolo, mi sono fatto sotto alla 'torera' e le ho chiesto ragione di quell'inopinato ritorno al tavolo furiosa e ho saputo che il poveretto non ingranava: niente accordi, niente consonanze, niente armonie di passi e di corpi: un disastro.
L'ho invitata a riprovarci con me e ha funzionato, evviva! Come una giovane e agile puledra lipizana si muoveva leggera e leggiadra su ogni melodia diversa e mai una 'stecca' e un passo men che incerto e quella sua mano e il braccio nudo cinto di un leggerissimo braccialetto d'argento a tramatura fitta (tu vedi dove si fissano gli occhi nell'incanto di un ballo!) che sottolineavano i diversi modi dell'abbraccio rinnovato in corso d'opera e si piegava sinuosamente e si rialzava creando figure nuove nello spazio e nella complice penombra tra l'affollarsi delle coppie sulla pista.

E' lì, in un certo punto e momento di quella creazione esaltante, che ho sentito risuonare nelle mie orecchie, ancora una volta, il noto adagio 'porti bene'. Qualcuno dei miei, poi, mi ha chiesto perchè sorridevo al passaggio ai tavoli, cosa rara nel mio privato teatro tanghèro del 'pensiero triste che si balla'.
Sospetto che, il più delle volte, quel 'porti bene' sia detto nel senso in cui lo diceva una mia cugina della quale mi dicevo innamorato all'età di quindici anni. Le avevo chiesto, con adolescenziale ingenuità. se mi trovava 'un po' bello' e mi rispose: 'Bello-bello no, ma sei un tipo.' e da lì inizia il mio calvario di uomo e della mia autostima - quasi sempre a livello del paiolato.
Di chiunque si dice 'sei un tipo' per dire che proprio schifo non fai.

Però quella sera sembrava diverso e quel 'porti bene' e quel suo ridere felice al cessare di una melodia e prima dell'inizio della successiva comunicavano una segreta euforia e l'abbraccio si faceva sottile condiscendenza del corpo flessuoso e domesticato e segreto vibrare di corde come in una 'sera del dì di festa': quando 'la gioventù del luogo mira ed è mirata e in cuor ne gode' e, come per incanto, spariscono le canute incertezze e le tristezze e riappare quell'immagine lontana di una giovinezza che 'ci allaccia i malleoli' e sempre ci illude 'o Ermione'.

nel caso ve lo foste perso...

L'ANALISI
Un leader in fuga dalla verità
di GIUSEPPE D'AVANZO

È giusto ricordare che, se Silvio Berlusconi non si fosse fabbricato l'immunità con la "legge Alfano", sarebbe stato condannato come corruttore di un testimone che ha protetto dinanzi ai giudici le illegalità del patron della Fininvest. Condizione non nuova per Berlusconi, salvato in altre occasioni da norme che egli stesso si è fatto approvare da un parlamento gregario.

Le leggi ad personam, è vero, sono un lacerto dell'anomalia italiana che trova il suo perno nel conflitto di interessi, ma la legislazione immunitaria del premier è soltanto un segmento della questione che oggi l'Italia e l'Europa hanno davanti agli occhi. Le ragioni della condanna di David Mills (il testimone corrotto dal capo del governo) chiamano in causa anche altro, come ha sempre avuto chiaro anche il presidente del consiglio. Nel corso del tempo, il premier ha affrontato il caso "All Iberian/Mills" con parole definitive, con impegni che, se fosse coerente, oggi appaiono temerari: "Ho dichiarato pubblicamente, nella mia qualità di leader politico responsabile quindi di fronte agli elettori, che di questa All Iberian non conoscevo neppure l'esistenza. Sfido chiunque a dimostrare il contrario" (Ansa, 23 novembre 1999, ore 15,17). Nove anni dopo, Berlusconi è a Bruxelles, al vertice europeo dei capi di Stato e di governo. Ripete: "Non conoscevo Mills, lo giuro sui miei cinque figli. Se fosse vero, mi ritirerei dalla vita politica, lascerei l'Italia" (Il sole24ore. com; Ansa, 20 giugno 2008, ore 15,47). È stato lo stesso Berlusconi a intrecciare consapevolmente in un unico destino il suo futuro di leader politico, "responsabile di fronte agli elettori", e il suo passato di imprenditore di successo. Quindi, ancora una volta, creando un confine indefinibile tra pubblico e privato. Se ne comprende il motivo perché, nell'ideologia del premier, il suo successo personale è insieme la promessa di sviluppo del Paese. I suoi soldi sono la garanzia della sua politica; sono il canone ineliminabile della "società dell'incanto" che lo beatifica; quasi la condizione necessaria della continua performance spettacolare che sovrappone ricchezza e infallibilità.

Otto anni fa questo giornale, dando conto di un documento di una società internazionale di revisione contabile (Kpmg) che svelava l'esistenza di un "comparto estero riservato della Fininvest", chiedeva al premier di rispondere a qualche domanda "non giudiziaria, tanto meno penale, neppure contabile: soltanto di buon senso. Perché questi segreti, e questi misteri? Perché questo traffico riservato e nascosto? Perché questo muoversi nell'ombra? Il vero nucleo politico, ma prima ancora culturale, della questione sta qui perché l'imprenditorialità, l'efficienza, l'homo faber, la costruzione dell'impero ? in una parola, i soldi ? sono il corpo mistico dell'ideologia berlusconiana" (Repubblica, 11 aprile 2001). Berlusconi se la cavò come sempre dandosi alla fuga. Andò a farsi intervistare senza contraddittorio a Porta a porta per dire: "All Iberian? Galassia off-shore della Fininvest? Assolute falsità".

La scena oggi è mutata in modo radicale. Se il processo "All Iberian" (condanna e poi prescrizione) aveva concluso in Cassazione che "non emerge negli atti processuali l'estraneità dell'imputato", le motivazioni della sentenza che ha condannato David Mills ci raccontano il coinvolgimento "diretto e personale" di Silvio Berlusconi nella creazione e nella gestione di "64 società estere offshore del group B very discreet della Fininvest". Le creò David Mills per conto e nell'interesse di Berlusconi e, in due occasioni (processi a Craxi e alle "fiamme gialle" corrotte), Mills mentì in aula per tener lontano Berlusconi dai guai, da quella galassia di cui l'avvocato inglese si attribuì la paternità ricevendone in cambio "enormi somme di denaro, estranee alle sue parcelle professionali", come si legge nella sentenza.

È la conclusione che ha reso necessaria l'immunità. Berlusconi temeva questo esito perché, una volta dimostrato il suo governo personale sulle 64 società off-shore, si può oggi dare risposta alle domande di otto anni fa, luce a quasi tutti i misteri della sua avventura imprenditoriale. Si può comprendere come è nato l'impero del Biscione e con quali pratiche. Lungo i sentieri del "group B very discreet della Fininvest" sono transitati quasi mille miliardi di lire di fondi neri; i 21 miliardi che hanno ricompensato Bettino Craxi per l'approvazione della legge Mammì; i 91 miliardi (trasformati in Cct) destinati non si sa a chi (se non si vuole dar credito a un testimone che ha riferito come "i politici costano molto? ed è in discussione la legge Mammì"). E ancora, il finanziamento estero su estero a favore di Giulio Malgara, presidente dell'Upa (l'associazione che raccoglie gli inserzionisti pubblicitari) e dell'Auditel (la società che rileva gli ascolti televisivi); la proprietà abusiva di Tele+ (violava le norme antitrust italiane, per nasconderla furono corrotte le "fiamme gialle"); il controllo illegale dell'86 per cento di Telecinco (in disprezzo delle leggi spagnole); l'acquisto fittizio di azioni per conto del tycoon Leo Kirch contrario alle leggi antitrust tedesche; la risorse destinate poi da Cesare Previti alla corruzione dei giudici di Roma; gli acquisti di pacchetti azionari che, in violazione delle regole di mercato, favorirono le scalate a Standa, Mondadori, Rinascente. Sono le connessioni e la memoria che sbriciolano il "corpo mistico" dell'ideologia berlusconiana: al fondo della fortuna del premier, ci sono evasione fiscale e bilanci taroccati, c'è la corruzione della politica, delle burocrazie della sicurezza, di giudici e testimoni; la manipolazione delle leggi che regolano il mercato e il risparmio in Italia e in Europa.

Questo è il quadro che dovrebbe convincere Berlusconi ad affrontare con coraggio, in pubblico e in parlamento, la sua crisi di credibilità, la decadenza anche internazionale della sua reputazione. Magari con un colpo d'ala rinunciando all'impunità e accettando un processo rapido. Non accadrà. Il premier non sembra comprendere una necessità che interpella il suo privato e il suo ufficio pubblico, l'immagine stessa del Paese dinanzi al mondo. Prigioniero di un ostinato narcisismo e convinto della sua invincibilità, pensa che un bluff o qualche favola o una nuova nebbia mediatica possano salvarlo ancora una volta. Dice che non si farà processare da questi giudici e sa che non saranno "questi giudici" a processarlo. Sa che non ci sarà, per lui, alcun processo perché l'immunità lo protegge. Come sa che, se la Corte Costituzionale dovesse cancellare per incostituzionalità lo scudo immunitario, le norme sulla prescrizione che si è approvato uccideranno nella culla il processo. Promette che in parlamento "dirà finalmente quel che pensa di certa magistratura", come se non conoscessimo la litania da quindici anni. Finge di non sapere che ci si attende da lui non uno "spettacolo", ma una risposta per le sue manovre corruttive, i metodi delle sue imprese, i sistemi del suo governo autoreferenziale e privatistico. S'aggrappa al solito refrain, "gli italiani sono con me", come se il consenso lo liberasse da ogni vincolo, da ogni dovere, da ogni onere. Soltanto un potere che si ritiene "irresponsabile" può continuare a tacere. Quel che si scorge in Italia oggi ? e non soltanto in Italia ? è un leader in fuga dalla sua storia, dal suo presente, dalle sue responsabilità. Un leader che non vuole rispondere perché, semplicemente, non può farlo.

(20 maggio 2009) Tutti gli articoli di politica

martedì 19 maggio 2009

illusioni ricreate

Vi sono colonne sonore delle nostre vite che hanno il potere di rappresentarci ciò che è stato e abbiamo definitivamente perduto. Una vecchia cassetta audio che credevamo perduta torna a farci 'sentire' chi eravamo e come e il mondo che la musica e i testi delle canzoni ricreano è quello in cui tutto era possibile e io ero confuso e sperduto in quel possibile e amavo, amavo intensamente la persona che filtrava tutto quel possibile.
Di riflesso, tutto ciò che vedevo attraverso i suoi occhi, ascoltavo, metabolizzavo, lo fondevo in una mia fucina interiore e ne traevo illusioni di possibilità di un futuro mio diverso e migliore.
L'amore brucia e trasforma: è una banalità conosciuta da tutti e ripetuta in mille e mille canzoni all over the world, ma solo quando gli occhi si fanno vitrei e il corpo si fa di sale per i sedimenti di ciò che viene dopo l'amore il barlume interno di coscienza (che ancora agisce e vagola tra i ricordi) ti rappresenta quanto profondi possono essere gli abissi delle illusioni che abbiamo scrutato e quanto straziante è il rievocarli.

http://www.youtube.com/watch?v=Mb3iPP-tHdA

domenica 17 maggio 2009

affanni e colpe

Non siamo innocenti. Nessuno lo è. Il contatto colle cose e gli eventi del mondo ci sporca ed evidenzia la nostra colpa: colpa di esistere.

E qualsiasi cosa noi si faccia e si decida e si pensi ci condanna all'errore.

I migranti hanno colpa di non accettare la loro storia e di 'provarci' con noi, colla nostra storia evolutiva, col nostro mondo apparentemente ricco di opportunità e distributore di ricchezza relativa.



'Relativa': è d'obbligo sottolinearlo perchè chi è stato espulso dal lavoro e da un reddito certo e certificato nel corso di questa crisi si sente 'migrante' a sua volta e il suo barcone si chiama disoccupazione - che è tragica in entrata (per il precariato, il basso reddito, l'odiata flessibilità) e lo è di più in uscita perchè dopo i cinquanta non ti vuole più nessuno e inventarsi la vita e vivere di espedienti non è facile, nè comodo e di certo non è allegro.



Perciò qualsiasi risposta si dia a questo affanno che ci colpisce e ci sospende il respiro è una risposta sbagliata, sporca, colpevole.

Colpevoli di esistere e di non sapere bene se l'eccesso di affollamento in un territorio sia la risposta giusta, amorevole, fraterna o se la mano tesa sempre e a chiunque non si ritorca contro di noi, in un secondo e terzo tempo dell'avere accolto i diversi, i migranti: non diventi 'rivolta delle banlieues' e dialogo tra sordi per quanto è dello 'scontro di civiltà' che importiamo e a cui diamo la stura - e se è vero che abbiamo elaborato una quantità incredibile di 'diversità' negli ultimi decenni è vero anche che ne abbiamo metabolizzato un disagio crescente e non dovremmo trascurare di notare che è l'onda più alta di un mare mosso dai marosi quella che ti affoga.



Diceva un'esperta di cose dell'immigrazione alla Dandini di 'Parla con me' che, su una barca di settantacinque migranti che respingiamo, la metà abbondante (dopo un gran lavoro di commissioni ed 'esperti' che vagliano e verificano) risulta meritevole di 'diritto d'asilo' e questo è il torto maggiore che colei additava di coloro che respingono quei poveretti al mittente.

E' un dato straordinario perchè ci dice che dovremmo semplicemente accettare senza troppo discutere il travaso di miseria e di guerra e di oppressione degli stati del sud e dell'est del mondo e accogliere quei loro figli in fuga. Con numeri che sono determinati dagli eventi caotici e ingovernabili di tutto quanto di tragico accade sulla superficie del pianeta.

Se oggi sono le 'tigri' tamil e gli incolpevoli civili di quei territori in guerra a vivere la tragedia, aspettiamoci un barcone o cinque e dieci e cento che li travaserà prima o poi sulle nostre coste.

E basterà la lettura della pagina di 'esteri' di un giornale per fare facili predizioni di quanti migranti clandestini avremo da qui a qualche mese provenienti da fame e guerra e dittature.



Abbiamo davvero tutta questa capacità di accoglienza? E non si tradurrà, prima o poi, in conflitto, - così come già accade con una quantità incredibile di persone di questo paese che votano orribili personaggi politici e autentici 'figuri' postfascisti o leghisti e li leggittimano e li difendono apertis verbis e fino a ieri se ne vergognavano e nell'urna tracciavano in fretta, ritrosi, il segno sul simbolo sporco e proibito e non lo confessavano neanche alla moglie o ai figli?



Ecco: siamo un paese di dissociati e di schizofrenici e a sinistra si continua a battere la grancassa della fraternità solidale e si trascura l'enfasi sulla legalità regalandola alla destra.

Abbiamo in noi un parlamento, il nostro io è un parlamento con la sua destra, la sua sinistra, il suo centro e dovremmo abituarci ad ascoltare e a dare risposte plausibili anche al coro delle voci stonate che vengono dalla nostra destra o dal centro. Abbiamo bisogno di mettere a fuoco un equilibrio, sempre e costantemente, di dare rappresentazione a un ordine fragile che consenta l'ordinata transizione da uno stato di affanno a un affanno nuovo e diverso senza annegare in questi presenti marosi di crisi economica e di 'paure percepite' subito cavalcate dai maramaldi della destra ridanciana e proterva che occupano le odierne cronache di un 'paese senza'.

Senza identità, senza vergogna, senza vera pietà, si diceva in un tempo non troppo lontano.

giovedì 14 maggio 2009

barcollando passo dopo passo

C'è un momento, quando si è acceso il computer e il monitor è nero e uno strano barlume di azzurra, circolare coscienza viaggia nei suoi complicati microchip neuronali, che ti coglie l'angoscia che non sarà luce, non si illuminerà il monitor per dirti dei suoi/nostri ricordi che fanno la sua/nostra identità (le sue 'impostazioni').

Così è al mattino quando i sogni confusi al risveglio non intendono lasciare posto al lume dello sguardo e alla luce nuova dell'alba che ti distende il mondo ancora uguale di là delle finestre e tu vaneggi insieme a quei filamenti onirici che ti hanno scosso la coscienza durante il sonno tormentato e la tua coscienza è una più bianca ombra del pallido (a whiter shade of pale) e le 'impostazioni' tardano a venire a galla e tutto può darsi di questo giorno nuovo: anche che il barlume azzurrino circolare non trovi il suo bandolo dentro l'aggrovigliata matassa e la luce dello schermo non si illumini e tu vagoli a lungo, troppo a lungo, in quel buio, in quei tuoi meandri, a tentoni, barcollando passo dopo passo...


http://www.youtube.com/watch?v=PbWULu5_nXI

lunedì 11 maggio 2009

il fetore e il clangore del mondo


Il disordine del mondo è un argomento spinoso e avvilente. Ci costringe a riflettere su quanto poco siamo in grado di fare per trasformare il mondo e le nostre vite e i nostri giorni in un insieme armonico, un paesaggio di bellezza e pace, - come ci suggeriscono i poeti nelle loro straordinarie trasfigurazioni e metafore.
In realtà il mondo è un 'urlo' alla Munch, un fetore di appestati, un clangore di ferri ai polsi e ai piedi di carcerati impediti di deambulare per espiare le loro spaventose colpe di orchi omicidi e maledetti da tutti: perchè il male di cui sono stati protagonisti espande il suo contagio è una pandemia, un virus assassino che non ha vaccini e ci farà morire a milioni e ci condannerà agli inferni del quotidiano.
Ecco, il disordine del mondo ci ricorda tutto ciò e, per un di più di angoscia, ci mostra le immagini dei barconi dei migranti stracolmi che oggi vengono riportati sulle rive di partenza in Libia e le facce di quei disperati sono facce di autentici disperati che vedono chiudersi (per sempre?) l'orizzonte di futuro per il quale hanno messo a repentaglio le vite.

E' 'di sinistra', una tale raffigurazione? No, non lo è. Perchè da molto tempo le definizioni laterali (sinistra e destra) non convincono, non spiegano, non illustrano con dovizia di buoni argomenti e anche sul dolore dei migranti vanno dette le cose che ci riportano alla necessità di trovare una 'nuova frontiera' di legalità e rispetto dei doveri e dei diritti.
E - per quanto ci disgusti ammetterlo, (dati i protagonisti e le loro usuali parole d'ordine e di partito) - riportare i barconi dei migranti al punto di partenza è un modo per fermare l'eccesso di disordine che ci affanna, ci imbroglia le vite, impasta le bocche e le parole di chi oggi prova a dire - con il verso di un poeta 'di sinistra' storica (G. Celaya): '...chiedono legge per ciò che risulta eccessivo.'

E davvero è eccessivo il numero di coloro che approdano sulle nostre coste-colabrodo e sui nostri centri di raccolta-colabrodo e usufruiscono della nostra legislazione imbelle: impotente ad arginare il fenomeno della migrazione clandestina e ricondurlo a un ordine nuovo di legalità chiara, convenuta e rispettata.
Non è accettando passivamente questa 'risposta' caotica e anarchica dei migranti ad ogni costo che riporteremo a giustizia lo spettacolo del mondo e il suo divenire.
Perchè c'è chi afferma che la clandestinità è il fenomeno inarrestabile, la 'risposta' nuova e diversa che i poveri e gli emarginati danno all'ingiustizia atavica della loro emarginazione e povertà cronica e irrimediabile. Dopo il fallimento del comunismo il diluvio dei migranti, per dirla in estrema sintesi.
Ma una difesa dal fenomeno va ipotizzata, programmata e attuata, se non vogliamo venir travolti dai numeri altissimi del disordine che, come una malattia, una pandemia, allarga la sua disgrazia e il contagio e costringe gli stati e i cittadini in affanno e in risposte rabbiose perchè impotenti.
E se a sinistra si fatica ad accettare questa evidenza, ebbene, la perdita di rappresentanza politica è pura consequenzialità e accetteremo obtorto collo che siano questi strani personaggi, questi mutanti orribili della vita politica e istituzionale (i Maroni, i Berlusconi, i La Russa) a fare il 'lavoro sporco' di provare ad arginare il fenomeno immigrazione coi sistemi che ci paiono, volta a volta, i migliori e i più efficaci.

E fermare i barconi in partenza dalla Libia o riportarli al punto di partenza oggi pare una buona idea, finalmente! un modo sensato e non troppo crudele per diminuire il numero di coloro che, per altre vie, entreranno comunque nel nostro paese ad alimentare lo storico meticciato di sempre.

domenica 10 maggio 2009

Priapo redivivo

Dal momento che ci toccherà 'morire berlusconiani' (così come ad altri toccò 'morire democristiani') tanto vale fare una serena analisi di quanto sta avvenendo nei costumi di quest'epoca da 'basso impero' in cui viviamo, con un basso imperatore al potere (basso davvero), ma irresistibile perfino con le lolite di ogni grado sociale e condizione - perchè, vivaddio! al denaro non si può opporre nulla e al potere men che meno e della bellezza e della gioventù di un questuante qualsiasi alla nostra mano di 'giovani italiane' chissenefrega. Figurarsi dell'amore! Ma che roba è? Ma da che pianeta venite, da quale lontana epoca piena di romanticume? Amore... pfui.

Alzi la mano chi non si sentirebbe sciogliere dentro e fuori se alla sua festa di compleanno o al venticinquesimo di matrimonio arrivasse il molto onorevole Cav. gr. uff. megagalattico pres. del cons. dei ministri, nostro beneamato leader, con tutta la sua scorta e dieci macchine al seguito e con una collana d'oro tempestata di diamanti e zaffiri per il/i festeggiato/i. Naturalmente direbbe sorridente: 'Capitavo di qua per caso, mi avanzava una mezz'ora...' e giù una valangata di foto per la stampa e per le querele del caso.

Lo chiamerei 'papi' anch'io, che diamine! e non oso pensare che rimescolamento mi accadrebbe di provare se 'ci provasse' con me - magari perchè in preda a una crisi grave di priapismo e satiriasi indotta dalle famose iniezioni di cui si parla e spettegola. Ma la Noemi ci fa o ci è, quando ci racconta in pubblico Blob che lo andava a trovare ogni volta che lui la chiamava al capezzale e 'gli tenevo compagnia'. Ah si? Con sguardo trepido e composto e pudico e sommamente compreso del compito e dell'augusto paziente che ti si affidava?

Abbiamo anche un neologismo - nella già ricca evoluzione della lingua parlata di questo scorcio di millennio entrante: 'acchiapponico'.
E' lo sguardo di Obama, secondo la vulgata immaginifica del beneamato Leader, il molto onorevole cav. gr. uff. Silvius Berlusconis terzo (succede sempre a se stesso). Non farà piacere a Michelle, sapere che anche Obama 'acchiappa', ma, certo, il marito avrà facile gioco nel dirle che : 'Senti, cara, detto da quello....'
Così, oltre alla pizza e al mandolino e 'o'sole mio', abbiamo una via tutta italiana all'essere 'statisti' e già al parlamento europeo certi vecchi volponi della politica si fregavano le mani nell'attesa dell'infornata di veline che sarebbero venute da Forza Italia trionfante all'ottanta e più per cento.
In fin dei conti non tutto il male vien per nuocere e un po' di 'svecchiamento' a Strasburgo e senile recupero priapesco previe iniezioni ad hoc sarebbe stato segretamente gradito.

Davvero di Berlusconi si può dire che non è profeta in patria. Tutta la stampa contro e nessuno che si affanni a difenderne la reputazione.
Però è imperatore e già la Zecca si appresta a coniare le medaglie commemorative del caso prendendo a prestito la statuetta del divino Priapo quale si può ammirare al Museo Nazionale.

Tra le 'grandi opere' urge inserire anche un Mausoleo.

giovedì 7 maggio 2009

i manifesti strappati

I manifesti c'erano, qualche settimana fa, non me li sono inventati.
Alcuni sono ancora visibili, ma a brandelli, a listarelle strappate con metodo e pervicacia degna di miglior causa e si indovina la frase solo se la si era letta prima dell'azione di sabotaggio - che suppongo comandata nelle sedi competenti e da coloro che su quella fede e varie supposizioni al contorno ci campano e fondano il loro strapotere gerarchico sul gregge dei fedeli (la metafora è loro e deriva dalle tradizioni nomadiche del 'popolo eletto': per lunghi secoli popolo di pastori).

Dicevano quei manifesti, su uno sfondo neutro di cielo e nuvole: 'la cattiva notizia è che non esiste, la buona è che possiamo tranquillamente farne a meno'.
Niente di rivoluzionario, di sprezzante o spregevole, di osceno; solo una proclamazione di fede, uguale e contraria a quella di coloro che, invece, non possono farne a meno - al punto da considerare un attentato intollerabile alla loro convinzione religiosa il fatto che un'associazione di atei dichiarati e serenamente consapevoli affermi che 'non c'è e se ne può fare a meno'.

Ma è come chiedere di togliere il crocefisso dalle scuole e dagli ospedali: non si può perchè ne va della nostra tradizione culturale, della nostra 'identità cristiana' e se l'Europa non ha voluto farvi menzione nella sua Costituzione è vulnus gravissimo - voluto da quei maledetti scismatici di luterani ed evangelici che stanno di là dell Alpi che ancora non hanno metabolizzato il trattamento specialissimo che gli hanno riservato i cattolici nelle varie 'notti di San Bartolomeo' nel corso del Cinque/Seicento e, prima, colla Crociata contro gli Albigesi: migliaia di morti passati a fil di spada, bruciati sui roghi, le teste tagliate o impiccati e il prete di turno che gli metteva il Crocefisso davanti alla bocca per l'estremo tentativo di salvezza.

E' a questo che penso guardando lo scempio di quei manifesti durati solo qualche giorno e presto sbrindellati: a quanto possa essere 'rivoluzionario' o 'eversivo' affermare una cosa semplice-semplice che tutti pensiamo o abbiamo pensato qualche volta e mia nonna sintetizzava ai tempi suoi dicendo: 'Nessuno è mai tornato dal regno dei morti per dirci e confermarci quello in cui crediamo.'

Neanche lei è mai tornata a dirmi alcunchè - e dire che ci scherzavamo e glielo avevo fatto promettere.
Forse il torto maggiore di quelle due frasi è l'avere supposto che fossimo maturi per un 'poter farne a meno'. No davvero.
Gli autori di quell'azione teppistica - teppismo 'religioso' di chi vuol chiudere la bocca ai diversi di fede al modo dei secoli bui e violenti- non possono proprio fare a meno di un'immagine consolatoria e illusoria di un preteso Dio provvidente.
Al punto di zittire perentoriamente chi osa affermarlo pubblicamente.

mercoledì 6 maggio 2009

chiedo asilo politico

C'è qualcosa di distorto nel fuoco incrociato che, sui giornali, si spara all'indirizzo di Berlusconi e della povera Veronica Lario in conflitto.
E' l'idea che abbia ragione l'uno o l'altra, che esista una verità da evidenziare, sottolineare, rendere palese perchè su quella si fonda il credito politico e l'onore dell'imperatore avvilito e offeso (triplo sic!) - come ci dice in coro canagliesco e servile tutta la stampa e le televisioni di famiglia.

Non c'è nessuna verità, nessun processo mediatico ce la restituirà e, francamente, non ci serve, non sappiamo che farcene in un paese in cui esiste ancora una 'commissione stragi' : incaricata di dirci chi le commise e a quale fazione di esaltati terroristi si deve imputare tutti quei morti innocenti.
Viviamo in un paese dove ancora si contrappongono nei cuori dei cittadini appassionati alle cose della politica e del vivere civile le vedove Pinelli e Calabresi - e la pietà verso l'una e l'altra dovrebbe basarsi sulla 'verità' dell'uno che venne spinto giù dalla finestra della Questura e dell'altro che venne ucciso per quella colpa che nessuno storico saprà mai dirci se è effettiva o indiziaria o se si trattò di calunniosa campagna stampa di altrettanti esaltati.

Quindi non è la verità sulle puellae dell'imperatore e sull'avvenente Carfagna fatta ministra ( 'che se non fossi sposato me la sposerei' ) che può servire ai cittadini per fondare un giudizio di credibilità sull'agire di questo leader di governo. E' stato assolto con formula preventiva e piena dai suoi, dallo sterminato elettorato che si appresta a celebrare il suo trionfo il 6 giugno; a che serve cercare una verità sul suo agire?
A Berlusconi basta andare in televisione, nel suo salotto protetto dove può parlare a ruota libera sotto lo sguardo amorevole del suo giornalista preferito, ed è garantito che il 33 per cento dello share è tutto di fans, tutti milanisti nella fede calcistica e forzitalioti in politica e guai a chi lo ostaggia, - maledetti comunisti, maledetti salottieri, maledetti intellettuali con la puzza al naso.

E' la 'ggente, la sua gente, che fa da giuria in questi processi, è il suo pubblico con tifo da stadio e tutto del nostro vivere civile è stato ormai 'televisizzato' - perchè allora menare scandalo se la passerella di lancio per un posto da ministro o eurodeputato passa per il video, per lo sgambettare e sculettare e mostrare le tette?
Hanno una laurea, in fin dei conti, le belle ragazze/i profumate/i che mandiamo a Strasburgo, (uno è addirittura figlio di re in esilio e balla bene) sono colte e mal ce ne incolga a noi che non capiamo perchè le laureate debbano avere anche la fregola di mettersi scollacciate e ignude a dimenarsi negli studi televisivi per far felici i beoti figli e i nipoti dell'imperatore.

Perchè non sostituiamo alle urne elettorali i rilievi dell'Auditel? Grandi risparmi assicurati e i fondi, magari, servirebbero in Abruzzo - dove la stampa cattiva, di sinistra, si affanna a denunciare che il decreto sulla ricostruzione non ha chiara copertura finanziaria e di case ricostruite ne vedremo ben poche a scadenza.

Chiedo asilo politico in Francia. Carlà, mettici una buona parola.

martedì 5 maggio 2009

una donna per amico

Se Veronica diventa preda
di ADRIANO SOFRI



Gentile Silvio B., le dirò alcune cose sincere, da uomo a uomo. Noi uomini non siamo abituati a dirle, e tanto meno ad ascoltarle. Vale per quasi tutti noi, non solo per i bugiardi più spericolati come lei. Noi (con qualche rarissima eccezione: ci sono anche uomini davvero nobili d'animo, ma non ci riguarda) sappiamo bene di che porcherie si tratti, sia che le pratichiamo, come lei ostenta di fare, sia che ci rinunciamo, perché abbiamo imparato a vergognarcene, o semplicemente perché non abbiamo il fisico. Lo sa lei, lo so io.

Mi hanno raccomandato di non perdermi i giornali a lei vicini: non li ho persi. Ho scorso gli editoriali, ho guardato le fotografie. Sa che cosa ho pensato? No, non che mi trovavo di fronte a qualche colonna infame, questo era ovvio, l'ha pensato chiunque. Ho guardato le fotografie - una giovane donna, un'attrice, che si scopre il seno - e mi sono chiesto come sia stato possibile che una giovane donna così bella dedicasse la propria vita a uno come lei. E' successo anche a me, mi interrogo anch'io: come sia possibile che giovani donne così belle e intelligenti dedichino la propria vita a uomini come noi. Naturalmente, un po' lo sappiamo come succede. Che carte abbiamo in mano, per barare.

Siamo volgari abbastanza per riconoscere la reciproca volgarità. Semplicemente, ci teniamo a bada un po' di più di quanto faccia lei. Dicono tutti che gli italiani la invidiino. Sinceramente, nemmeno a questo credo. La guardo, dalla testa ai piedi, e non ci credo. Gli italiani hanno, come tanti maschi del mondo, un problema con la caduta dei capelli. Ma sanno bene che la sua non è la soluzione. Lei stesso lo sa, e non deve farsi troppe illusioni. Il cosiddetto populismo è traditore. Uno crede di aver sostituito ai cittadini un popolo, al popolo un pubblico, al pubblico una plebe: ed ecco, proprio mentre passa sotto l'arco di trionfo del suo impero di cartapesta e lancia gettoni d'oro, parte un solo fischio, e la plebe d'un tratto si rivolta e lo precipita nel fango.


L'Italia è il paese di Maramaldo, e io non voglio maramaldeggiare su lei: benché sia ora di rovesciare le parti di quel vecchio scurrile episodio, e avvertire, dal suolo su cui si giace, al prepotente che gl'incombe sopra che è un uomo morto. Noi c'intendiamo: abbiamo gli stessi trucchi, dimissionari o no, pentiti o no. Siamo capaci di molto. Di esibire le nostre liste alle europee, e vantarcene: "Dove sono le famigerate veline?" dopo aver fatto fare le ore piccole ai nostri esasperati luogotenenti a depennare capigliature bionde. Di dire: "La signora" (non so se lei ci metterebbe la maiuscola: fino a questa introspezione non arrivo), sapendo che la signora di noi sa tutto, e anche delle liste elettorali prima della purga. Magari la signora la lascerà, finalmente, e lei le scioglierà addosso la muta dei suoi cani. Diventerà la loro preda prediletta. Ma nel Parlamento Europeo (le maiuscole ce le metto io: un tocco di solennità non fa male) ci si ricorderà di Veronica. Capaci perfino di chiamare "maleodoranti e malvestite" le deputate dell'altro schieramento: ci ho pensato, e le dirò che almeno a questo non credo che avrei saputo spingermi. In fondo lei è fortunato: le circostanze le permetteranno fino alla fine di restare soprattutto un poveruomo desideroso di essere vezzeggiato e invidiato e lusingato da ammiccamenti e colpi di gomito dei suoi sudditi, a Palazzo Chigi o sul prossimo colle, mentre padri di famiglia minacciano di darsi fuoco perché la loro bellissima bambina non è stata candidata, e vanno via contenti con la sua camicia di ricambio. In altre circostanze avrebbero potuto succederle cose terribili.

Nel giro d'anni in cui lei e io nascevamo morirono chiusi in due distanti manicomii, perfettamente sani di mente, la signora Ida Dalser e suo figlio Benitino, che facevano ombra al capo del governo. Allora lo Stato era più efficiente di oggi, e misero mano a quella soluzione medici, infermieri, direttori di ospedali, questori, prefetti, commissari di polizia, segretari di fiducia. Altro che lo scherzo delle belle ragazze nelle liste elettorali. Dipende tutto dall'anagrafe.

Per ora molti italiani (e anche parecchie italiane: le è riuscito il gioco di far passare la cosa come una rivalità fra giovani e belle e attempate e risentite) ricantano ancora il vecchio ritornello: "Tra moglie e marito...". Di tutti i vizi nostri, quello è il peggiore. E' la incrollabile Protezione civile dei panni sporchi da tenere sporchi in famiglia, delle botte e delle violenze a mogli e bambini, delle malefatte di padri spirituali al segreto del confessionale, fino a esploderci nelle mani quando il delitto d'onore appena cancellato dal nostro codice si ripresenta nelle figlia ammazzata in nome di qualche sharia. Non mettere il dito: no, a condizione che non si sentano pianti troppo forti uscire dalle pareti domestiche. O, anche quando la casa è così ricca e i muri così spessi, non sia la moglie a far sapere che cosa pensa. Che né il denaro né il soffio della Storia (Dio ci perdoni) le basta a tacere il suo disgusto.

Invidiarla, gentile presidente? Mah. Ammetterò che, reietto come sono, una tentazione l'ho avuta. Non mi dispiacerebbe avere un ruolo importante nell'Italia pubblica di oggi, per le nuove opportunità che si offrono a chi sappia pensare in grande. E' da quando ero bambino che desidero fare cavallo uno dei miei senatori.

le variabili dipendenti

La moralità privata e pubblica è una variabile dipendente dal potere che si ha e si esercita. A dircelo (confermarcelo) sono i 'retroscena' giornalistici che ci vengono da Oltretevere, alias: il Vaticano e quanto si legge sull'Avvenire - il quotidiano dei vescovi.
Ai monsignori non interessa più di tanto il secondo divorzio di Mr. Onni, il beneamato nostro leader, perchè sua maestà è già fuori dalla Chiesa con il primo e il secondo non è un'aggravante bensi un'assuefazione al modello imperante nella post modernità e se è un primo ministro che ha garantito il buon esito di leggi favorevoli alle convinzioni nostre che sia benedetto su questa terra e dell'animaccia sua in limine mortis faccia quel che vuole Colui che tutto può - non è affar nostro che siamo in tutt'altre faccende affaccendati e abbiamo già le nostre belle gatte da pelare.
Si dice un gran male, invece, della first lady che il marito ripudia perchè il suo avvocato è la stessa persona che si occupò del caso di Beppino Englaro - e questo conferma tutti i peggiori sospetti di 'sinistrismo' della signora e se proprio dobbiamo schierare le nostre cattoliche divisioni (così pensano i generali della Curia) meglio un piccolo fuoco di sbarramento su quel fronte, - così, tanto per alleggerire e favorire una onorevole ritirata a colui che è stato declassato dalla categoria di 'immorale' a quella di 'amorale' che è propria di re e imperatori e uomini di grande potere in genere.

Sulla questione che ha scatenato la querelle - le puellae dell'imperatore - non c'è molto da dire. Le veline sono state ritirate in gran fretta dalle liste e lasciate alle loro delusioni di aspiranti deputate europee perchè bruciate in pubblico ludibrio dalla strega sinistra Veronica che ha suscitato un vergognoso sopprassalto di moralità, anzi no: di moralismo, - perchè a sinistra non ci può essere moralità e se c'è è tutta fuffa di frustrati e di orfani del consenso di cui gode, invece, l'imperatore nostro (così gridano sui blog e sui forum di destra i supporters e gli scendiletto alla Emilio Fede: da sempre più realisti del re).
Così non si saprà mai se questo popolo ineffabile che adora i Barabba e li premia e consegna loro, pervicace e protervo, le chiavi di governo della repubblica ha avuto un piccolo momento di dubbio, un momentaneo ravvedimento e se gli indici di popolarità di mr. Onni passeranno dall'ottanta al settantanove per cento dell'elettorato alle prossime elezioni.
Non lo sapremo perchè il fuoco di sbarramento dei giornali di famiglia e di quelli di coalizione occulterà tutto di questa querelle pubblica e che concerne la a-moralità di un imperatore adorato dalle sue puellae come un 'papi', -un autentico 'padre della patria' cui dedicheremo fra qualche anno un'Ara o un Arco di trionfo.
Si racconta che in Emilia-Romagna l'amore popolare verso il Dux - Benito nostro bonanima - giungesse fino al punto di padri e madri che offrivano la figlia al capo perchè la onorasse di un figlio: evento benedetto in famiglia e miracoloso per le conseguenti gratifiche e prebende che ne potevano scaturire.
Un eco di quegli eventi lontani ed estremi si legge nelle cronache di quella famiglia napoletana - quella di una Noemi accusata dalla strega Veronica di vergognosi giochi di seduzione lolitiani e non ci stupiamo, nessun elettore di centrodestra si stupisce e si straccia le vesti per l'abisso di ignominia che ne verrebbe, se confermato.
Che diamine! mica siamo nell'America puritana. Questa è l'Italia, cari voi, patria di conducator e navigatori smagati ed esperti, patria di Borgia e Machiavelli: noblesse obblige.

domenica 3 maggio 2009

le parole disarmate non cambiano il mondo


Nell'aprile dello scorso anno guardavo di lontano le basse montagne della Sierra Maestra dove avevano trovato rifugio i 'barbudos' di Fidel e i suoi compagni di rivolta - compreso il 'Che' argentino.
Viste di lontano non davano l'impressione di una selva specialmente protettiva: niente che le truppe di Batista non avrebbero potuto violare e battere sistematicamente con costanti azioni antiguerriglia - così stanando i rivoluzionari e annientandoli.
Forse aveva ragione Barrientos, il presidente boliviano, che nel film 'Che - part two' dice a un suo istruttore militare statunitense : 'Io non avrei avuto il fair play di tenere Fidel Castro carcerato per poi liberarlo.'
E' tutta in questa frase la differenza tra l'esito trionfale della rivoluzione cubana e il sacrificio eroico e auto distruttivo del 'Che' in Bolivia.
Batista e gli americani di allora che adoravano i suoi casinò e le ballerine del Copacabana non credevano che meritasse troppa attenzione quel curioso fenomeno di ribellismo caraibico - che tanta mitologia seppe suscitare nei decenni seguenti e influenza politico-ideologica, ad onta delle miserrime condizioni economiche e sociali dell'isola.

Resta incomprensibile - anche a noi sopravissuti a quegli anni di forte ideologismo - la scelta successiva di Ernesto Guevara, detto il 'Che' a causa di un suo buffo intercalare: di abbandonare l'agio di un suo ruolo-guida post rivoluzionario nella Cuba ormai stabilizzata (e perfino aggressiva versus il gigantesco nemico americano) e la famiglia numerosa e felice e sbarcare in Bolivia coll'intento di sollevare le schiere dei contadini 'rivoluzionari' e dei minatori e inserire anche laggiù un cuneo rivoluzionario - presto esportato nei paesi confinanti governati da militari o presidenti-fantoccio proni agli interessi delle multinazionali americane.

Era un progetto che oggi ci si rivela folle, impari alle forze rivoluzionarie che si potevano mettere in campo perchè i contadini non aderirono e non si schierarono e gli scioperi dei minatori furono repressi a fucilate e gli States, ormai edotti sugli esiti delle rivoluzioni latino-americane se trascurate, fornirono armi e istruttori militari e aerei e tecnologie sufficienti alla battaglia finale che vide soccombere l'eroe rivoluzionario e i suoi valenti compagni.
Una epopea che ha sapore amaro rivedere in un film asciutto, sobrio e perfino noioso nella sua scarna elencazione di luoghi della selva dove nascondersi, villaggi dove fare provviste, famiglie contadine da curare (il Che era un medico) e lo scacco costante, gli inseguimenti delle truppe boliviane e le fughe - e mai una battaglia vinta, mai un momento di speranza da assaporare nella difficile e dolorosissima ascesa al suo Calvario rivoluzionario.

Ecco, è una sorte di sconvolgente 'Passione' e morte di un altro Cristo post moderno il film di Soderbegh - basato sui taccuini dell'eroe: un'epica della rivoluzione come palingenesi possibile, concreta, di quel mondo di campesinos che la sorte aveva condannato a consumare vita e miseria in quei luoghi impervi e solitari e non sembri irriverente il paragone.
Uno dei suoi carcerieri chiede al Che se crede in Dio e lui risponde : 'Credo nell'Uomo' - e la maiuscola è d'obbligo perchè quell'Uomo di Ernesto Guevara è l'Uomo che un antico filosofo greco cercava col lanternino e che il Cristo credette di trovare nei suoi Apostoli - ignaro che nei secoli avvenire si sarebbero dispersi e il suo messaggio sarebbe stato mille volte male interpretato e ogni interpretazione sarebbe costata lacrime e morte di nuovi martiri scismatici ed eretici e roghi e Crociate.
Ernesto Guevara era un mistico post moderno e la sua fede rivoluzionaria deve essere rispettata come ogni altra fede palingenetica e che pretende il riscatto dalle miserie del mondo e l'amore per gli uomini e un mondo migliore.
Era un Cristo, un martire del Verbo nuovo che pretendeva di cambiare il mondo con mezzi adeguati ai nemici e alla loro ferocia e immane potenza distruttiva.
Se ha usato le armi è perchè, dai tempi del Cristo dei Vangeli, nessuna parola disarmata ha mai cambiato il mondo.

angeli,santi,cristi,greggi,

Ho capito, finalmente! perchè sono specialmente attratto dalla visione degli angeli statuari e statue di santi e cristi che incombono dai cornicioni delle chiese e sovrastano le eleganti cupole con metafisica leggerezza.
E' perchè si sono staccati da terra, non sono più di questo mondo e le greggi turistiche di sotto sempre più folte non sono più cosa loro dai secoli saeculorum. Le osservo stagliarsi nel nitore del cielo del primo mattino - quando la città appartiene solo ai pochi che corrono: per restaurare un fisico male in arnese o per mantenere, invece, una giovanile forma strepitosa - e ne noto le petrose, sofferte espressioni di santità e le corrosioni del salso e degli inquinanti post moderni che le rendono ancora più 'spirituali', mistiche e figlie dell'aria.
Ho della città una concezione aristocratica e 'proprietaria'. Esco qualche ora prima che aprano le porte i termitai delle grandi navi da crociera e dei torpedoni turistici e dei treni e rientro quando le prime greggi turistiche appaiono sullo sfondo delle principali vie di accesso. Ri-esco nelle prime ore della notte, a volte, ma la città mi appare esausta e stremata - per la sporcizia che solo nel primo mattino scomparirà agli sguardi (non tutta, non sempre).

Forse questa mia concezione proprietaria dei luoghi risale alla mia formazione: nei Cinquanta il turismo non aveva questi suoi numeri folli e non era ancora 'di massa'.
Vi è chi sostiene che questa pioggia umana ormai sistematica, permanente, sia benefica e sottolinea la positività di questo 'amore' turistico per la città, ma alcuni uffici dell'Unesco incaricati di redigere studi di 'compatibilità ambientale' dei luoghi hanno idee radicalmente diverse e affermano che, più delle acque alte, sia questa marea umana in costante rialzo a costituire un pericolo per il fragile tessuto di questa specialissima città d'arte.

Come che sia, le masse formicanti hanno di brutto che uccidono la poesia dei luoghi, la loro capacità di essere 'evocativi' e 'spirituali': luoghi dell'anima prima che dei portafogli di osti, proprietari di B&B, negozi di maschere, motoscafisti e gondolieri.

Ricordo la stizza di un tale che incontrai nell'isola di Kalimnos-Grecia. Gli magnificavo la bellezza dell'essere stati, io e mia moglie, i soli visitatori fuori stagione delle caverne che la leggenda vuole essere state quelle del Ciclope accecato da Ulisse-Nessuno.
Mi rispose acido : 'Scusate tanto se vi abbiamo disturbato.'
Non era quello lo spirito del mio raccontare, ma non importa: siamo tanti e tutti diversi nell'intuizione e rappresentazione che ci facciamo della vita, della poesia, dell'epica e dei luoghi che l'hanno ospitata.

'Uccidete il chiaro di luna' (sopra Venezia) - gridava Marinetti in un suo famoso e furioso manifesto provocatorio. Era il tempo 'futurista' in cui si farneticava di tangenziali autostradali che sarebbero approdate sulle Fondamenta Nuove, dopo aver toccato Burano e Torcello, e solo l'opposizione ferrea del Duce (una delle sue poche 'buone cose') fermò l'esecutività di quei progetti demenziali.

Oggi uguali farneticazioni architettonico/urbanistiche si fanno progetto (quasi finito) di 'people mover' e di metropolitane che passano sotto ai fanghi delle barene per meglio riempire, e più in fretta, una città già straripante e invivibile.
Davvero il futuro mi è alle spalle.

sabato 2 maggio 2009

senza lavoro e un miglior lavoro

Il lavoro è una strana cosa. Senza non si può stare, specie se garantisce la famosa pagnotta, e quando c'è è spesso maledetto perchè stressa, umilia chi subisce il mobbing, spegne le creatività di aspiranti artisti e i sogni di gloria e di altra vita.
Perchè lo si celebra, mi chiederete.
Beh, un mondo senza lavoro e di senza-lavoro è visione inquietante. Provate a descriverlo in un racconto e vi accorgerete dell'abisso di pena che state descrivendo.
Poche le merci e ritorno al baratto e branchi di uomini-lupi affamati ne sarebbero il corollario e dovremmo abituarci all'idea di una povertà globale che neanche il medioevo e se è vero che non ci sarebbero le televisioni (evviva!) e, di conseguenza, neanche le veline-aspiranti-eurodeputate e i grandi fratelli e le fattorie e le isole, é anche vero che neanche internet e le chat e i forum e i blog e voi non sareste davanti al video ancora incaccolati dal sonno a leggermi.
Poco male, dite? Ne convengo, ma ierisera, prima di addormentarmi, leggevo un articolo sulle solitudini e sul fatto che i nostri adolescenti (e non solo loro) sono ormai chat/blog/forum-dipendenti con tutte le patologie che cominciamo a enucleare e osservare per questo loro/nostro essere costantemente in un altrove.
A me basta osservare la gente di ogni età e condizione sociale che passa per le calli strette di questa città con il telefonino-tamagochi sull'orecchio e ti zompa addosso e neanche chiede scusa - ma se punti la spalla a difesa e li bocci con decisione allora si che tornano al qui-e-ora e smettono il loro indaffarato altrove e ti gratificano di un sonoro e caloroso p..zo di m...a. (Il vaffa in risposta è d'obbligo, naturalmente, e non curarli e tirar dritti per la propria strada. L'unica cura per questo tipo di malattie dei mutanti del postmoderno è la chirurgia ortopedica che restituisce il senso del corpo e del dolore fisico).

Per tornare al lavoro e alla sua realtà sempre più ectoplasmica: di lavoro si muore, come ben sapete, e non si dovrebbe - con tutte le tecnologie e le leggi e i regolamenti che abbiamo inventato e istituito. E si muore anche per mancanza di lavoro: se la depressione da disoccupazione cronica ti coglie e ti avvilisce.
La crisi globale ci ha restituito il senso delle proporzioni relativamente al lavoro che si spegne in parallelo al diminuire dei consumi globali, ma vi sono profeti che dicono che la luce in fondo al tunnel già si vede e ingrandisce ad ogni nuovo giorno, chissà.
Poi c'è il tele-lavoro e i call centers e il precariato e tutte le moderne diavolerie colle quali fanno i conti i nostri figli e i nipoti -che attingono spesso in famiglia fino ai quarant'anni- e muore il proletariato classico, la classe operaia gloriosa che andava in paradiso, ma che, di recente, ha dimenticato la strada per arrivarci e vota Berlusconi, il magico pifferaio che tutto aggiusta, tutto ricompone e ci rassicura col largo sorriso e la sua vitalità di sultano e un lavoro benissimo remunerato lo garantisce alle veline e aspiranti tali in quel di Strasburgo o in qualche seggio comunale e provinciale.
Il lavoro è morto, vien da dire, viva il lavoro - che sempre muta pelle, sempre angustia e ancora ci farà morire per il suo essere sregolato e in mano a farabutti o caimani o per il suo non esserci e scomparire e dissolversi come i brutti sogni del mattino.