venerdì 24 giugno 2011

morire per raccontarla

Lo sappiamo tutti che i morti non camminano 'là fuori', come tenta di farci credere Garcia Marquez nel suo 'romanzo dei romanzi' 'Viverla per raccontarla'. I morti semplicemente sono morti e hanno membra pesanti che ricadono con tutto il loro peso se provi ad alzarle.
Però la letteratura ha le sue furbizie e se tenta di farci credere che i morti camminino fuori delle porte dei luoghi in cui abitiamo è perché vuole appropriarsi del miracolo della vita che misteriosamente si prolunga di là della morte e dell'inquietudine senza speranza di coloro che son morti per costruire altri mondi paralleli al nostro e altrettanto veri.
Finché dura la narrazione, ben s'intende.
La letteratura è inquieta e febbrile e i suoi personaggi non fanno cose normali o, se le fanno, sotterranei fili e percorsi ci avvisano che quella normalità imploderà, prima o poi, e ci condurrà sui più rassicuranti percorsi della follia di un romanzo che si avventura in una ragnatela di orrori e uccisioni e morti misteriose e anime morte.

E abbiano bisogno di sapere che 'i morti camminano là fuori' perché è nei nostri segreti desideri che i morti non sian morti e che, come loro, anche noi cammineremo 'lì fuori' per un tempo senza confine. In fin dei conti, il più forte dei messaggi religiosi che ci è pervenuto dai secoli lontani è proprio questo: che la morte corporale è un simulacro, un incidente di percorso, un avvenimento a cui fa seguito, il dì seguente, la pasqua di resurrezione e, tutti quanti siamo stati ospitati in questa valle di lacrime, ci ritroveremo con gran giubilo di riconoscimenti da qualche parte nei dintorni di Giosafatte.

E i morti che camminano di fuori delle porte del villaggio di Aracataca – che diverrà il Macondo dei romanzi maturi e di 'Cent'anni di solitudine'- sono i morti di una rivolta e di un abbandono conseguente. Rivolta dei braccianti agricoli che raccoglievano le banane e furono falciati a migliaia dall'esercito schierato a difesa delle palazzzine dei funzionari e dei dirigenti e definitivo abbandono della United Fruits del villaggio maledetto dalla rivolta e conseguente suo precipizio nel vuoto e nel polveroso nulla dei luoghi dove non c'è lavoro, dove vivere è invenzione fragile di un attimo dopo l'altro e rimpianto e nostalgia di quando si stava peggio, ma si stava, vivaddio! Si lavorava, si viveva in tanti tutti insieme e c'erano negozi e una farmacia e un'ospedale.

Ed è l'inquietudine di una vita sospesa e nostalgica del suo malessere che fa si che i morti camminino, di giorno e di notte, e ci riempiano i ricordi e ci cooptino nel loro mondo di redivivi inquieti e stanchi del loro far nulla e rabbiosi per il loro essere morti invano.

giovedì 23 giugno 2011

l'arte degli islamici e le vendette della storia

l'arte degli islamici e le vendette della storia




Il viaggio (6)



15/05 Cordoba



Sarebbero davvero poca cosa i patii in fiore di Cordoba senza l'arte islamica che edificato la magnifica Mezquita, la grande, splendidissima moschea che i re cattolici vollero sfregiare e deturpare inserendovi al centro l'escrescenza -architettonicamente ributtante- di una loro 'chiesa', ma non se la sentirono di raderla al suolo per intero; tu vedi che percorsi vari e diversi hanno le vendette della storia.

E quella sovrapposizione inutilmente alta e superba, quello sgorbio architettonico, quel ghiribizzo di conquistadores tronfii e intronati è la giusta punizione per omnia saecula saeculorum di ogni ribalda affermazione di potere perchè a Cordoba si va per la Mezquita e l'attenzione dei viaggiatori e dei turisti è tutta per quell'arte 'moresca' che ci affascina di là della foresta dei secoli e ce la fa riconoscere fra le altre e 'sulle' altre come incomparabile.

E i 'matamoros' si rivelarono intolleranti anche nei confronti dei giudei -e anche nella politica della tolleranza e della pacifica convivenza e del rispetto delle fedi e dei monumenti relativi la civiltà islamica si affermò nei secoli come 'diversamente illuminata', a dispetto delle generalizzazioni e delle paure medievali del 'mamma li turchi' ad ogni apparire all'orizzonte di nave o avanguardia di eserciti con la bandiera della mezzaluna.

Ma i vari Alfonso e Pedro e Fernando che costruirono i loro palazzi sulle rovine di quelli dei mori non li sfiorava l'idea dell'aggiungere, piuttosto che demolire, e quel poco che la bontà della Storia ci ha voluto preservare e consegnare ci dice quanto fosse grande, invece, quella civiltà reietta e quanto sarebbe stata migliore la politica dell'annettere i diversi regni e patteggiare le autonomie e riconoscere l'altrui civiltà e i suoi segni al modo di Alessandro il Magno.



E, a Cordoba, c'è perfino un concorso pubblico, indetto dall'amministrazione cittadina, per il patio più bello e i partecipanti ci litigano e protestano per le esclusioni e i favoritismi e, a ben osservare, non sembrano un gran chè quei patii se non li accompagnasse le bellezza degli azulejos alle pareti e le colonnine ritorte che, una volta di più, ci rimandano al 'moresco' e ai mori.



E se li comparassimo al fulgore e alle bellezze delle balconate e terrazze fioritissime e variamente e sapientemente colorate dei masi del nostro Alto Adige resterebbero solo i decori ereditati dai mori a far la differenza e dirli speciali - e si torna all'origine e alle vendette dalla Storia, se perfino nei moderni ristoranti ed alberghi che si restaurano quello stile viene riprodotto e riproposto perché piace tanto ai visitatori.



E, curiosamente, le delizie e le mollezze dei 'bagni' degli arabi non ebbero sorte uguale alla rovina e distruzione delle moschee, case del 'falso dio', e furono adottate dai vincitori e inglobate nelle abitudini di vita e costumi -segno che l'intolleranza religiosa e dei maledetti religiosi consiglieri del re ancora una volta si addita distruttiva e feroce e iconoclasta nei confronti di tutto ciò che era pagano o 'infedele' o 'diversamente fedele', come diremmo oggi con linguaggio politicamente corretto...

martedì 21 giugno 2011

hic sunt leones


Il viaggio (5)



!4/05 Toledo



Hic sunt leones



….e più che nella cattedrale -che è magnifica di altissime navate e le nervature confluiscono ordinate al centro dell'interno cielo di pietra e si osservano splendidissime sculture rinascimentali di profeti e santi sopra gli stalli preziosamente intagliati del coro e il 'retablo' di fronte è un inno religioso e un ludo artistico dello straordinario talento di quei lontani artigiani- più che nella cattedrale, è nella cappella di san juan del los reyes che si celebra la magnificenza dell'Autorità divina e terrena e ce ne giungono gli echi grazie alla forza della pietra e dell'Arte che la lavora.





Magnificenza dei re e dei loro reggenti sorte: i cardinali e i papi e gli abati committenti le opere magnifiche in pietra e oro e i simboli regali commisti ai cardinalizi, che nelle chiese sovrastano e si riflettono nei riti celebrati sugli altari: Dio e Corona e Principi e Duchi affratellati nell'abbraccio mortale dell'ordine sociale imposto e mantenuto per secoli colle armi e con l'annessa predicazione dei monaci dei Sacri e inviolabili Valori -e solo le rivoluzioni ribalteranno l'assunto e, decapitati i re, andranno esuli e raminghi e osteggiati e combattuti quei presuli e frati che non furono presti a riconoscere i Tempi Nuovi e ad adeguarvisi.



Ma nel chiostro silenzioso annesso alla Cappella dei re la luce chiara ti consegna l'incanto delle nervature e delle geometrie e dei bassorilievi e delle colonnette esili e forti che sorreggono e disegnano le gotiche ogive e il giardino di aranci e fiori ne ottiene uno straordinario risalto -come se il Tempo si fosse sospeso e i fantasmi delle dame e dei cavalieri e della Corte dai vestiti sfarzosi che seguiva i re fossero ancora presenti e cicaleccianti lungo il perimetro e, fuori, il popolo è ancora pronto a levare l'osanna e far da seguito e comparse obbedienti ai funerali reali – colle immense processioni e le croci levate alte e le statue delle Madonne e dei Santi in processione e i deliqui delle beghine e tutto il sacro armamentario che ancora ritrovi nelle fotografie della Settimana Santa fino alle soglie della postmodernità.



E quell'armamentario ingombrante e grottesco fu consegnato a Francisco Franco per intero e la guerra civile sancì la vittoria dell'oscurantismo e la Spagna fu salva degli eventi della seconda guerra mondiale perché aveva già pagato il prezzo interno delle migliaia di morti e delle distruzioni e restò ferma nella Storia, per tutti i decenni seguenti, a monito di ciò che sarebbe stato se i nazismi e i fascismi fossero usciti vincitori dall'immane conflitto.



Ma la Toledo di oggi è cittadina amena e graziosissima e bella delle sue colline contrapposte e dell'antico che ha conservato -e ogni isolato ha la sua chiesa e la distesa dei tetti è contrappuntata dai bassi campanili e percorrerla lungo tutte le viuzze ombrose è delizia di viaggiatori fuori stagione e poesia di angoletti silenziosi e chiesuole dimenticate intorno alle quali volano stridendo le molte rondini fino al primo calore del meriggio....

venerdì 17 giugno 2011

il troppo che stroppia e l'arte che dilaga


E ci sono giorni che questo luogo ti pare il giardino delle delizie e il sole è caldo e pulito e l'estate canta il suo inno più coinvolgente e la città tutta è una vetrina aperta sul mondo -sui molti mondi onirici e complessi (e, solo a volte, anche un po' cervellotici) degli artisti che l'hanno eletta a degno sfondo e grembo delle loro creazioni.

E nel chiostro della chiesa dei Frari trovi una collettiva di designers di indubbio talento e il luogo antico ti ospita come fosse un esclusivo spazio di tuo riposo privato e ti puoi portare la bottiglia del prosecco ghiacciato e sorseggiarla con un'amica tra gli angeli mutilati dal Tempo e le forme postmoderne in esposizione che c'entrano come i cavoli a merenda, -ma dato che sono a tua disposizione e di gratuita usufruizione perché no? ci si adatta volentieri e ci prestiamo anche noi visitatori a rappresentare le figure metafisiche di un De Chirico all'interno del chiostro, dove affaccia la biblioteca dell'Archivio storico e i ricercatori si tuffano nelle antiche storie e ci sentiamo un po' antichi anche noi, nel nostro piccolo.


E, sulle Zattere e in altri luoghi sorprendenti e segreti, si aprono vecchi magazzini ad ospitare l'antro dei maghi di artisti di cui ignori il valore, ma ci sorprendono con le loro creazioni fragili, indifese, che un chiunque potrebbe offendere e deturpare con gesto vandalico perché non c'è nessuno a vigilarle e sta in questo lo straordinario dell'offerta artistica -che è talmente tanta e di dubbio valore e classificazione che nessuno si sogna di farla oggetto di desiderio e, magari, tra qualche decennio, il gioco incrociato dei critici più noti e dei mercanti e dei galleristi farà il miracolo di dirle opere milionarie e contese e colpi di migliaia di euro tra i collezionisti.

E, in cima al capo della Dogana, per contro, c'è ancora White Big Boy guardato a vista da una guardia giurata col pistolone alla cintura e quell'opera che nessuno deve poter deturpare è un chiaro esempio di un talento premiato dalla macchina, per certi versi avvilente, del 'mercato' applicato all'arte e alle sue postmoderne creazioni e monsieur Pinault è qui a dimostrarci che con l'arte ci fai la grana e pompi turismo a iosa in una città che ne farebbe volentieri a meno di una buona metà perchè oggi come allora 'il troppo stroppia', ma tu vaglielo a spiegare agli amministratori cittadini sordi e ciechi agli affanni quotidiani dei loro amministrati.

E perfino la bottega di frutta e verdure che mio padre ha gestito per vent'anni – i migliori anni della sua vita- è stata trasformata in sede espositiva e non so se ridere o se piangere per questa nobilitazione di un luogo che ricordo umido e malsano, dove mio padre ha dormito, e ci mangiava le fatali bistecche al sangue, prima che introducessero la pausa meridiana obbligatoria per il commercio.
E per oltre tredici anni l'umidità di questi nostri magazzini e piani-terra veneziani gli è entrata nelle ossa, e, alla sua morte, il Gervasutti -oggi titolare di una Fondazione d'arte, nientemeno!- si è comprato la bottega e gli edifici viciniori, fatiscenti, dell'ex Opera Nazionale Maternità e Infanzia (che, al mio darle nome storico appropriato, i giovanissimi guardia-sala cascavano dalla Luna sorpresi; eppure sopra la porta d'ingresso c'è ancora la targa in pietra d'Istria con l'acronimo e il busto di una Madre) e senza investirci una lira di restauro li ha affittati (il Gervasutti) alla Biennale ricavandone dei bei cespiti, suppongo.

Perché la Biennale paga bene, strapaga e non discute, lo sanno tutti qui in città. Coi loro soldi? Coi vostri! cari i miei contribuenti -e sarebbe interessante fare le pulci ai bilanci di questa grande azienda veneziana che dilaga in città al pari dell'Università e la rivitalizza al prezzo di uno snaturamento irreversibile – al punto che mi sento un po' turista anch'io, col visitare che faccio tutti questi eventi collaterali (gratuiti) disseminati qua e là negli atri vuoti di antichi palazzi che, prima o poi, diventeranno alberghi di gran lusso, perché altra industria non si dà, quaggiù, in questa città di ammuffiti fantasmi e lamentosi gabbiani. (segue)

lunedì 13 giugno 2011

pape satan aleppe

E, a referendum acquisito e quorum raggiunto trionfalmente, vien da fare una riflessione postuma sul senso che ha avuto tutto il battage filo berlusconiano di questi anni che è impazzato nei forum su internet e li ha sporcati e avviliti -e un'incredibile quantità di suonati 'menomalechesilvioc'è' che hanno avuto il coraggio barbaro di mostrarsi in pubblico e chiedere riconoscimento di normale parte antagonista, ma hanno fatto la figura di emme che hanno fatto -piccandosi perfino di dire 'coglioni' e 'comunisti' agli elettori/trici che li avversavano -e, quegli schifosi, hanno sostenuto a spada tratta ogni schifezza pubblica e privata del Puzzone-di-s-governo -che finirà a monetine in faccia e la richiesta di un salvacondotto, malgrado le odierne riflessioni pietose del Ferrara-l'elefantino-radiolondra su ciò che, a suo avviso, si dovrebbe salvare della cacca berlusconiana e impetra, che, per favore, non finisca come a piazzale Loreto.

E questo continuo battere sul famoso piazzale (Loreto) la dice lunga sulla memoria di una guerra civile mai conclusa tra furbetti del quartierino malfattori di rango alleati ai furbetti evasori che nelle urne elettorali ci hanno rifilato il Barabba-caligola contro i poveri cristi di sempre -che si sono trovati a dover stringere cinghia vieppiù e la spesa pubblica ridotta all'osso e lo spettacolo avvilente del satrapo malato di satiriasi che premiava con posti di governo e cariche amministrative le più capaci delle sue puttane e le 'igieniste dentali' ingrate che lo tacciano di 'culo flaccido' al primo stormire del vento di crisi e disaffezione di un elettorato che più stupido non si può: per avergli retto bordone fino all'ultimo malgrado tutte le evidenze della malattia del bauscia-parvenu denunciate con toni accorati dalla moglie a cui raccontavano i particolari delle 'vergini date in pasto al drago' dai Fede e lele-mora e oggi si appresta a spogliarlo di una bella pacca di miliardi col bastone di una separazione per colpa.

E che dire di quegli arroganti malati di un forum parallelo che fino all'ultimo hanno trinciato i loro giudizi idioti elogiativi del loro campione politico e avversi a chi ne denunciava le nefandezze palesi, palesissime e intollerabili, e lo opponevano a visco-il-vampiro -penosamente nascosti dietro al dito del loro malanimo di evasori incalliti e furbetti della peggior specie: ladri di socialità che inneggiano ad ogni nuovo taglio della spesa pubblica purché sia fatto salvo il loro diritto acquisito alle evasioni fiscali e contributive?

Fischia il vento e infuria la bufera, cari miei, e il mio augurio è che un postmoderno piazzale loreto si inghiotta questi anni e questi elettori di merda -quale metafora di un inferno civile in cui ci hanno precipitato; e ci auguriamo ne abbiamo il giusto castigo sempiterno nel girone della puzza, dei tafani e della merda che hanno disseminato a piene mani fino a ieri spacciandola come 'governo del fare'. 'Pape satan, pape satan aleppe!'

Il mio più sentito vaffanpuffo, cari, e buona indigestione.

i misteri di Madrid

l viaggio (3)

13/05/2011 Madrid


….che, poi, la mitica movida madrilena si riduce ad un affollarsi dentro e fuori dai bar, bibite alla mano, prediletti vino e birra (niente male la birra indigena), e io attraverso il centro cittadino alle cinque e mezza del mattino zaino in spalla e li osservo ristare in gruppi fitti, ma sembrano passeri intirizziti dal fresco pungente del primo mattino e la pelle d'oca al correre dei refoli e nelle viuzze più interne dei barrios sono gruppetti sparuti e ancora parlano e parlano – ma che avranno mai di tanto importante e necessario da dirsi da occupare l'intera notte, con le bocche impastate del troppo alcool e le lingue sempre meno elastiche?


E' questa la nuova forma delle relazioni umane agli inizi del terzo millennio? Parlare e dire cose insignificanti fino all'estenuazione - e se le ascolti nei films di Almodovar hanno il senso di storie che si dipanano sulle note di un sentimento, qui, invece, nel mio trascorrere di calle in calle e di piazza in avenida, sono i dettagli di un quadro 'alla Bosch' -coi contadini stravaccati per terra davanti al tavolo del banchetto nuziale , le coppe del vino rovesciato tra le dita, le bocche spalancate, gli abiti della festa spiegazzati e nel viso le espressioni beote degli ubriachi?


Perché la maggior parte di costoro, i madrileni della movida, sono manifestamente groggy e pochi davvero sono i visi ancora sereni e composti e sono quelli che ascoltano attenti gli amici/che ubriachi e sembra che se lo siano dato come missione salvifica – una sorta di 'telefono amico' o 'esercito-della-salvezza' notturno e la fatica di vivere è sfogata un bicchiere dopo l'altro, e una frase sempre meno comprensibile dietro l'altra in una avvilente coazione a ripetere, alleluia! cosa ci sarà di tanto mitico e fantasioso e allegria di vivere in questo genere di quadri antelucani della vita cittadina?




E ci sarebbe anche il giorno per le urgenze del dire – considerato il fatto che siamo tutti iperconnessi; tutti con le protesi dei telefonini alle orecchie e parlare, parlare, parlare....



Chissà come facevamo prima e se si stava meglio quando si stava peggio, con tutto questo cicalecciare fastidioso sui tram e per le strade (e i trilli e le musichette cretine dentro ai cinema e ai concerti) e nessun pudore di dire in pubblico le proprie storie e far sapere agli altri i propri s-cazzi che non ce ne potrebbe importar-de-meno -e monta la voglia di liberare l'aria e l'audio pubblico da tanta inutile e affannosa narrazione collettiva.


E vien da chiedersi se non paghino i prezzi, costoro, di tutto questo straviziare notturno, se l'economia madrilena non ne risenta di questo spreco di private risorse ed energie vitali perché, come si diceva ai miei tempi, 'la sera leoni e la mattina coglioni' e, certo, l'impiegato delle poste Pedro Mariano de Olvido, ostinato 'movidaro' madrileno, avrà collezionato richiami scritti a iosa e note di demerito che lo hanno portato sulla soglia del licenziamento e forse Zapatero farebbe bene a tenere la cosa in considerazione e prendere gli opportuni provvedimenti politici perchè le elezioni amministrative sono alle porte e i sondaggisti gli suonano le campane da morto.


E suppongo che uguali cose, di teste tentennati nel primo sonno mattutino che incombe, si registrino nelle scuole e mi spaventa l'idea che a guidare un tram o un autobus o un treno sia un tizio fresco di movida e nessuno gli misuri il tasso alcolico nel sangue prima che si metta alla guida del mezzo.



Forse c'è già qualcuno, ma, se non ci fosse, qualche scrittore locale dovrebbe farsi carico di informarci dei 'misteri di Madrid' come E. Sue fece con quelli di Parigi.

giovedì 9 giugno 2011

del vilipendere la giustizia

L'estradizione di Battisti dal Brasile è una brutta pagina delle relazioni internazionali dell'Italia che ci mostra in chiaroscuro di quale credito godiamo e quanto sappia di sale ogni nostro muoverci nel concerto delle nazioni sotto la guida (si fa per dire) dell'attuale governo.

E, comunque la si pensi in merito al Battisti e alla sua odissea giudiziaria, è bene notare che ha pagato il suo debito con le male e riprovevoli azioni compiute in un lontano passato perché tutta la sua vita di fuggiasco è stata vissuta nella pena del castigo inflitto e del pensiero fisso di come fare per scampare alla tagliola delle estradizioni chieste alla Francia prima e poi al Brasile.

Non una bella vita, ne converrete, e ai destri elettori -che su tanta questione si scoprono inopinatamente forcaioli e al loro amato Barabba-premier, invece, farebbero ponti d'oro e tuttora affermano legittimo il suo avere usato spudoratamente della mala politica per farsi le leggi ad personam e scampare ai processi- rispondo che nessuna legittimità morale (né internazionale) si può riconoscere a colui e coloro che le hanno provate tutte per affossare con ignominia l'istituzione-giustizia e dirla in mano ai 'comunisti' -e tutte le altre facezie e orribili cose che il Cialtrone-di-s-governo non si perita di affermare perfino ai G8, battendo sulla spalla di ogni malcapitato capo di governo gli venga a tiro.

Nessuna sorpresa, quindi, se il Brasile ci manda a dire che non abbiamo titoli per rivendicare rispetto per la nostra 'giustizia'.
Perché non si può fare carne di porco e macelleria istituzionale orribile all'interno per salvare le chiappe al premier-Barabba e pretendere onore e rispetto all'estero.

Nemesi è dea tremenda e non perdona chi ha male agito e pretende di usare del sostantivo 'giustizia' dopo averla lungamente vilipesa.

mercoledì 8 giugno 2011

precariato e arte moderna

precariato e arte moderna

Pare che l'invito di Achille Bonito Oliva sia stato accolto. Diceva Oliva (la Repubblica R2 del 28/05) che bisogna presentarsi davanti all'opera d'arte moderna e postmoderna senza pregiudizi o con pregiudizio favorevole, pena il non intendere il 'messaggio' dell'autore qualunque esso sia.

Perché ogni opera d'arte, oggi, contiene un messaggio e forse anche quelle di ieri e dell'altroieri, ma non lo sapevamo. Credevamo, davanti a un ritratto imperiale di Carlo V a cavallo di un Tiziano o a quelli di Sofonisba Anguissola e di Rosalba Carriera che solo di quello si trattasse: celebrazione o apologia di una maestà imperiale o di un aristocratico/a che li pagava profumatamente; ma provate ad accodarvi a un gruppo di visitatori e ascoltate la guida che li conduce di quadro in quadro dentro al museo e scoprirete un mondo di cose nuove e diverse sull'autore e sull'opera che vi faranno sentire ignoranti.

Così è, mutatis mutandi, per il moderno e il postmoderno delle Arti e degli Autori -e la folla che ha riempito i Giardini della Biennale d'Arte dal 2 al 5 di giugno testimonia di un'attenzione e di una disposizione all'ascolto sempre maggiore.

E non ci si chiede più 'ma che c.... vuol dire?' posti di fronte ad un oggetto (o serie di oggetti) bislacco e volutamente deforme, ma si leggono i volantini e le dispense e, i più volenterosi, perfino i cataloghi.

E, perdìo!, ne scopriamo di cose nuove e misteriose di cui mai avevamo supposto l'esistenza e di come si possa dare vita a un universo parallelo di forme nuove che aprono la mente e ci proiettano nel futuro.
E dobbiamo essere grati agli artisti dell'Arte moderna per questo loro disseminare tracce e avanzare ipotesi e schiodare vecchi pregiudizi ed educare le folle dei beoti che 'lo posso fare anch'io' ad un'attenzione foriera di comportamenti e pensieri degni della fisica quantistica -con la quale dovremo fare i conti prima o poi, ma già li facciamo perché le maledette leggi sull'entropia che sempre aumenta e ci involve ce le ritroviamo tra i piedi nelle cronache quotidiane e ascoltando i tiggi e i radiogiornali.

Però il panegirico sul precario nell'arte e nella vita di Thomas Hirschorn (corno di cervo) per il padiglione svizzero mi ha convinto poco e, credo, che convinca poco chiunque abbia avuto la (s)ventura di vivere la sua vita da precario.

Scrive Corno-di-cervo (Hirschorn), sfidando le ire dei molti precari in visita al suo padiglione:

Io voglio lavorare precipitosamente e avventatamente, voglio lavorare nel precario e con il precario Questo si deve intendere per 'politico'. Precario significa che il precario non è un concetto, bensì una condizione (…) una condizione che si deve, che bisogna accettare freneticamente e consapevolmente.
Il precario deve essere affermato e bisogna entrare nell'ambito del precario perchè in questa sua affermazione si trova il cambiamento,il nuovo e il rivoluzionario.
Il precario è una dinamica , una via, una possibilità che viene offerta all'essere umano (…) e in questo non stabilito può esserci il futuro.(...)
Il futuro, si, perchè il precario è sempre creativo e sempre fantasioso e conduce sempre a forme nuove(…) perchè il precario comincia sempre con un nuovo scambio tra esseri umani e crea sempre nuovi valori. E non potrebbe essere che invece di proteggersi dal precario, invece di respingerlo,e non ammetterlo, esso contenga 'l'universale'? Non potrebbe essere che nel precario, condiviso oggi da così tanti esseri umani, ci sia la giustizia, l'uguaglianza, e la verità?

Leggevo tutto ciò mentre stavo in fila davanti all'ingresso del padiglione in attesa del mio turno di entrata e mi guardavo intorno e cercavo di notare se, dietro di me, qualcuno di giovane e meno giovane non stringesse in mano un coltello -celandolo malamente dietro la schiena e zufolando col viso rivolto al cielo.
Poi, ho cercato chiarimenti in fondo pagina, semmai vi comparissero gli sponsors svizzeri del padiglione. Oltre al canonico riconoscimento del ministero dei beni culturali, che so, la Confederation Helvetique de l'Industrie et de l'Artisanat, ma niente.

Era tutto un prodigioso parto concettuale dell'autore in questione e che Dio la salvi dall'essere riconosciuto in una qualche via di Milano o di Berna da un qualche migliaio di scalmanati precari che hanno appena perso il lavoro o lo questuano invano da decenni.


martedì 7 giugno 2011

eroine

Il viaggio (2)

12/05/2011 Madrid



C'è una 'temporanea' al Tyssen-Bornemisza con una sezione distaccata presso la sede della Caja de Madrid titolata 'Heroinas' e hanno messo insieme le maghe e le streghe, le martiri, le pittrici e le lettrici.

E, naturalmente, le vere maghe non abbondano -nella vita più che in letteratura- perciò, una per tutte, ecco campeggiare la cara Circe, biondissima e riccioluta e circondata da un folla di amanti muti di umano verbo e di varie forme animali -con Ulisse, che, al solito, se la cava; e l'astuzia sua mitica qui c'entra poco, bensì le convenute arti amatorie di ogni eroe capostipite ancora vergini di viagra e derivati.



E le streghe, vere e presunte, vi sono effigiate con tratti e sguardi di inquietudine febbrile e colori di viola e di porpora e gli sguardi escono dal quadro rivolti come sono all'altro-da-se, al diabolico che tutti ospitiamo, ma qui non si mostra in forma di elementi sessuali perversi e sregolati se non per i lontanissimi miti delle baccanti dei boschi in odore di commistioni satiro-caprine.



E Medea, bellissima e sognante, viene appaiata alle streghe solo per via di quella sua rivolta atroce e dolorosissima contro uno sbruffone di marito e padre -la cui missione è la conquista del Vello, ma trova il tempo per tuffarsi in altri velli e per questo suo vezzo maschile di conquiste paga pegno di crudelissima vendetta e perde la discendenza nei modi che sappiamo.



E per le martiri, chapeau! -vere eroine a tutto tondo per i nobilissimi motivi della Fede e dell'obbedienza alla dottrina. Con l'attenuante dell'avere la santità garantita e l'aureola già consegnata loro dal pittore -e si osserva una santa Caterina-martire, del Caravaggio, che ha lo sguardo fiero e ardito di chi subisce il martirio stoicamente perchè sa che finirà comunque in happy end e neanche un dubbio le vela lo sguardo (come avvenne perfino allo stesso Cristo nel Getsemani) perchè, dopo di Lui e il suo calvario, niente la spaventa, la morte men che meno.



Ma, un quadro più in là, su una tela di Caspar de Creyer, la stessa santa si mostra invece in colori chiari, scarmigliata e viso acceso e un po spaventato -e il finale è cruento comme-il-faut, però volete mettere la fama che ne consegue da vantare seduta a tavola con i santi che l'hanno preceduta e sono maggiormente gettonati sugli altari?



E non poteva certo mancare la Pucelle di Orleans in un gigantesco quadro di J.Scherrer (1855/1916) che entra in Orleans, il popolo festante, a cavallo e bardata di un'armatura assai larga e pesantissima e solo la santità delle visioni le consentiva di restare in sella collo sguardo fisso da medium – per quanto, da bambina, amasse tirare di scherma coi fratelli.

E avanza alla testa di un'armata brancaleone di soldati inopinatamente galvanizzati dopo le molte sconfitte e basta dire 'dio è con noi' nei dovuti modi esaltanti (oppure, il postmoderno 'sono l'Unto del Signore') ed ecco l'esercito avversario che si squaglia sotto i colpi e recede e si impantana ed è miracolosa strage degli infedeli.

E se, alla fine, finisce catturata e sale sul rogo pazienza; si sa che chi molto osa paga pegno e, anche qui, la santità è garantita e consolatoria -da levare il viso e gli occhi sognanti al cielo già anestetizzati contro le mortali scottature.



E per quanto è delle 'lettrici', è una sfilata di famosi pittori di varia epoca (perfino un Matisse) che effigiano in modi diversissimi queste altre e più laiche eroine- la cui virtù eroica e l'amore per la lettura e la cultura è palese in tempi di figli-cucina-calzini da rammendare.

E che siano quasi tutte di estrazione aristocratica ca va sans dire, o borghese, perchè il marito contadino gli avrebbe nascosto o bruciato i libri e sveglia alle 5 e di corsa a mungere la vacca prima di preparare la colazione.



E non è chiaro il perchè Antoine de Wiertz effigi la sua avida lettrice di romanzi ignuda sul letto a cosce allargate e uno specchio di lato che moltiplica l'oscena nudità, ma poi si nota ai piedi del letto un diavolo cornuto che gli allunga un altro romanzo e ci sovviene quel che si predicava nei conventi e negli orfanatrofi gestiti dalle suore a proposito delle cattive letture e degli ozi borghesi.



E quanto alle pittrici in veste di eroine niente da eccepire. Hanno caratteri di ferro e talento da vendere -come la nostra Rosalba Carriera i cui ritratti erano appetiti nelle corti europee o Sofonisba Anguissola dai forti colori e maestria da prestare ai suoi coevi.

E il superare la barriera storica dei generi sessuali era impresa da eroine -anche più difficile che mettere giù il colore a larghe e sapienti campiture e decidere la tavolozza giorno dopo giorno; e per alcune di loro furono salti mortali e conflitti in famiglia prima del riconoscimento del talento; e seppero giovarsi dell'amicizia dei colleghi maschi a cui l'arte aveva aperto gli occhi della mente e a loro, le pittrici sapienti e talentuose, ascriviamo l'avere aperto le porte dell'era nuova delle pari opportunità e siamo certi che 'indietro non si torna', alla facciaccia degli imam sciiti che infestano le cronache del postmoderno e dei maledettissimi talibani.

mercoledì 1 giugno 2011

una diversa generazione di futuro




10/05/2011 Madrid



Nelle metropolitane mi incasino sempre. Le direzioni di marcia sono il mio problema ed è capitato, in qualche capitale o metropoli europea, di cambiare treno più volte prima di arrivare a destinazione.

Ma dall'aeroporto non c'è che un treno e una direzione ed è presto città e fervore di traffici e gente indaffarata e sempre motivata (diresti) – che sembra che ognuno abbia bell'e chiaro in mente il compito che si è attribuito nella società metropolitana (o gli hanno attribuito) e ti guardano come uno strano, uno che 'che cazzo ci sei venuto a fare?' con quello zaino sulle spalle che ti ritrovi e non vedi l'ora di 'uscire a rivedere le stelle' perché, in questi postmoderni cunicoli di gruviera sotterraneo, ti vengono in mente strani pensieri come quello che sono i luoghi più a rischio in caso di attentati programmati (140 i morti dell'11 settembre 2004) ed è impossibile fare come nelle stazioni che ti controllano i bagagli all'imbarco come sugli aerei.

Le metropolitane sono luoghi creativi. Ci trovi gente con la chitarra e gli fanno capannello attorno e gente vestita strano che non si vergogna della sua singolarità e la rivendica, invece, come un'identità presa a prestito e difesa a oltranza per non dare a vedere il vuoto che c'è dietro, ma tutti insieme – gente normale e gente strana- ti danno subito il tempo del vivere cittadino, ti danno la sveglia: tutto è veloce e complesso e occorre attivare i neuroni dell'attenzione assopiti e scendere svelti sennò si viene sospinti dalla fiumana che sa sempre come riaffiorare in superficie.

Insomma 'Viagiar decanta' diceva Corto Maltese, e ce la metto tutta per sfuggire al risucchio inevitabile della sua subordinata 'Però chi parte mona torna mona'.



11/05/2011 Madrid ore 07.00



C'è un sole chiaro stamattina e le temperature sono di primavera solida ma ancora fresca al mattino.

Dovrei cominciare dal centro-città, ma non ho fretta. Tutti cominciano dal centro, ma dispongo di tempo sufficiente e la prendo larga e viro verso il Parque del Oeste lungo le avenidas periferiche ancora ombrose ed è come se la abitassi da sempre, Madrid e, seppure non architettonicamente affascinante, la periferia ti offre sempre un senso di appartenenza e fai scoperte che ti ripagano della scelta di centellinare e percorrere e trascorrervi di buon passo a naso in su controllando calle su calle x tema di seguire la falsa direzione di marcia. E se scambio il sorriso con una bella signora mattutina del pari e con il cane a guinzaglio il senso di appartenenza si consolida e 'viva la vida' e il mondo vario e diverso che è tuo e a tua disposizione basta che lo voglia.



'Madrid que bien resiste'



E i segni della tragedia mai dimenticata te li ritrovi al primo apparire della fitta vegetazione arborea del Parco – con i cartelli esplicativi della varie specie botaniche e, insieme, i rimandi storici della tregenda metropolitana; perchè la città tutta divampò nel fragore e furore della 'guerra civil' e la nota canzone 'los cuatros generales' contiene il distico 'madrid que bien resiste' e furono divelte le querce centenarie e gli eucalipti e i pini marittimi alti venti e più metri dai 'republicanos' che scavarono le trincee giusto al centro del parco e piazzarono le poche artiglierie a invano contrastare i golpisti di Francisco Franco e 'No pasaran! era il motto urlato ad ogni manifestazione e comizio nelle retrovie di una città insonne e febbricitante di rabbia e orgoglio lealista ed erano illusi davvero di potercela fare con tutto il fervore rivoluzionario che li animava e la presenza di venticinquemila volontari internazionalisti ricchi di passione politica ma poveri di armi, ahinoi.

Non fu così, come sappiamo. E fu un bagno di sangue, un massacro, l'apoteosi del 'morire per una buona causa'. E fu una vera guerra con artiglierie e soldati e corpi di spedizione e armi e aerei dall'Italia fascista e dalla Germania nazista che decisero le sorti del conflitto e 'venite a vedere morti per le strade!' che lamentava Neruda in suo poema doloroso e, da ambe le parti, non si facevano prigionieri e si giustiziavano i preti e i frati e i vescovi schierati politicamente e si dava fuoco ai conventi e il fascismo/nazismo europei fecero le loro prove generali e 'scaldarono i muscoli' allenandosi ai massacri della seconda guerra mondiale che già si delineava e montavano i sogni imperiali di Hitler e del suo degno compare Mussolini e Madrid capitolò, infine, e ci fu lo spaventoso massacro di Guernica e questo parco dolce e fresco in cui mi aggiro forse serba tombe dimenticate di qualche 'milite ignoto' e le calpesto e solo il vento che agita i rami e le fogli da loro una voce serena, una voce di altra vita e diversa generazione di futuro.