giovedì 31 marzo 2022

Civiltà che muore.

 



Civiltà che muore - L'altro ieri accadeva
Via dalla città (le colline, i guajiros, le vacche)
Martedì 14/04/2008

Via dalla città. Quattro giorni all’Avana bastano e avanzano per metabolizzarne i suoni, le atmosfere evidenti e segrete, gli eccessi. La città vecchia è preda del turismo di massa e ha i suoi riti avvilenti : ballerini di samba e salsa sui trampoli, vecchie signore in costume e grosso sigaro in bocca sedute in punti strategici, pronte alla foto e relativo obolo.
Il kitsch turistico ha aspetti uguali all over the world, sipario.
La città vera, degli habaneros in perenne ricerca di opportunità e senso da attribuire alle vite di ogni giorno, è città di odori forti e macerie, rumori e musiche ad altissimo volume ad ogni ora del giorno.
Vitale come una Napoli milionaria, depressa come ogni città del ‘subdesarollo’ tropicale.
L’eccesso di ‘colore locale’, il vitalismo esasperato, gli esotismi da tollerare con un sorriso ebete sulle labbra non sono più nelle mie corde; li cedo ai viaggiatori delle generazioni nuove che meglio di me sapranno coniugarli e goderseli.
La valle di Vinales (un intreccio di valli) è a ovest di Avana. Ai piedi della Sierra de los Organos, questi luoghi di idillio campestre godono anch’essi della speciale protezione di ‘patrimonio dell’umanità’. E’ un posto gradevole dove soggiornare, cosparso di basse colline carsiche: un gruviera di grotte scavate da fiumi antichi e segreti e la vegetazione tropicale a vestirle di fuori di un verde più chiaro di quello dei campi coltivati a caffè e tabacco – il migliore dell’isola, si dice.
Nelle pianure ai piedi dei ‘mogotes’ infittiscono le costruzioni nuove dei contadini che qui convergono per partecipare ai ludi nuovi della ricchezza che verrà, che già si odora. Le grotte maggiori, fitte di stalattiti e stalagmiti dai curiosi decori attirano un discreto numero di viaggiatori e il turismo dei torpedoni delle escursioni di giornata.
Il passa-parola tra gli indigeni è che questa nuova ‘industria’ turistica paga facile, è il futuro dell’isola. Nascono come funghi nuove ‘casas particulares’ (pensioni e locande a conduzione familiare) e l’effetto saturazione pare prossimo, in verità. I figli dei contadini più anziani si improvvisano guide per i sentieri nascosti dentro le valli più impervie e meno conosciute a indicare cascatelle e sorgenti e mostrare i panorami al tramonto.
La sera riscalda i colori e lungo il sentiero che mena all’ultima casa del paese ai piedi di un basso ‘mogote’ parliamo con un vecchio guajiro (contadino) fiero del suo ‘secador’ fitto di foglie di tabacco appese.
E’ stato un buon raccolto, dice, e il governo gli comprerà l’intero raccolto lasciandogli una modica quantità per il suo consumo personale. Uguale destino per il caffè che cresce di un bel colore verde intenso e lucido e circonda la casa -semplice e arredata con l’essenziale per vivere e lavorare.
Il governo decide anche le colture, riducendo i rischi economici, ma non mette al riparo dai cattivi raccolti e la pensione sociale è un sogno negato ai vecchi che lavorano fino a che regge il corpo e la salute.
L’intero paese di Vinales è fitto di scritte che inneggiano a Raul e a Fidel, alla verdad rivoluzionaria, perfino al comitato municipale che si riunisce il tal giorno nel tal luogo -come se da noi si inneggiasse con manifesti e scritte murali alla prossima convocazione del consiglio comunale e/o provinciale. I cartelli di questa pedagogia sociale forzatamente entusiasta sono dappertutto, inchiodati sugli alberi del viali, dentro i rari negozi e le cadecas (case di cambio-moneta), dipinti sulle case e i ristoranti.
Difficile dire quanto di questo entusiasmo rivoluzionario sia condiviso dalla gente non attiva nei comitati e filiazioni locali del partito unico.
Voci di aperto dissenso non se ne ascoltano, in verità, e se è vero che ‘taci, il nemico ti ascolta’, è vero anche che capita di ascoltare lodi esplicite e sincere al sistema sociale che garantisce istruzione e salute e l’annona -agenzia governativa incaricata di distribuire al popolo le merci e i prodotti necessari. Una sicura simbiosi tra governanti e governati si dà, agisce, opera fattivamente e capillarmente.
‘Revolucion en cada barrio y pueblo’ è lo slogan più letto, ma anche ‘la mentira (menzogna) es abiecta’ e ‘abbi cura del bosco’ e ‘raccogli la tua immondizia’. Una pedagogia scolastica e civile sposata ai vecchi incitamenti rivoluzionari e ancora la memoria dei martiri e l’onore ai caduti per la patria e l’ideale socialista.
Un nazionalismo vestito di rivoluzione sociale che sempre, ossessivamente, addita la colpa dell’odiato nemico storico, responsabile del ‘bloqueo economico’ e maledetto fomentatore dei moti contro-rivoluzionari dei fuoriusciti – sempre vittoriosamente respinti con perdite in vite umane e prigionieri.
I Bush padre e figlio, Clinton, ma anche il Kennedy della Baia dei Porci che ritirò all’ultimo momento l’appoggio aereo necessario allo sbarco dei rivoltosi, così creando la leggenda di un Fidel Castro combattente invincibile.
Leggenda che egli alimentò mettendo il carro armato da lui guidato nel corso della battaglia a monumento centrale nella ‘piazza della rivoluzione’ della capitale.
Ha un sapore vagamente retrò e di trapassato remoto questo insistente inneggiare ad eventi ormai lontani nel tempo – insieme un sintomo di timore che l’oblio si stenda su quelle gesta leggendarie e sui valori che ne sono scaturiti, ma anche un ostinato ripetere: ‘attenti, il Grande Fratello vi osserva e sorveglia, comportatevi come si deve’.
Uno slogan – invero rubato a Martì, il martire della prima indipendenza cubana- è perfino commovente e quasi metafisico. Dice che ‘l’anima rivoluzionaria è come l’anima visibile’.
In tempi di ‘silenzio di Dio’ e di anime morte e/o silenti e invisibili ai più, una tale affermazione dovrebbe preoccupare non poco gli ostinati pedagogisti al governo di questa nazione.
Cuba. Gli anni passano, la Rivoluzione resta | progetto cubainformAzione
La pellicola che meglio ha descritto i problemi di Cuba nel periodo post  rivoluzionario - Musicalwords

 


Le democrazie 'luminose' e le guerre degli imperi.

 

Le democrazie 'luminose' e le guerre degli imperi (par two).

(…) Un normale dramma di guerra, dicevo, quello dell'Ucraina. Tra le tante (guerre) che si sono combattute nel corso della vita della mia generazione di settantenne (più due). Ma erano guerre limitate nel loro àmbito regionale e la 'confrontation' militare tra l'impero americano+paesi Nato co belligeranti (la coalizione dei 'volenterosi' - sic) e la Russia si è sempre mantenuta all'interno dell'equilibrio del terrore atomico - e i pacifisti si sono indignati da par loro (più o meno), ma il mondo ha continuato ad esistere nel suo assetto post imperiale e post muro di Berlino fino a che non intervenne la nefasta politica, di produzione hollywudiana, dell'esportazione delle democrazie. Mirabile film con molte comparse e tanti morti e feriti sul terreno e tra le macerie (vedi Siria).
Esportazione fallita miseramente nei 'paesi arabi' refrattari con i guasti che conosciamo. Confrontate la Libia prima e dopo la cura militare della Francia+ i 'volenterosi' e i mille 'barconi' che tuttora ci asfissiano di un commercio osceno di vite umane in partenza libera dalle sue coste.
Ma l'esportazione della democrazia in Ucraina funzionò benissimo, invece, e il paese ebbe la sua bella rivoluzione di piazza Maidan (con interventi esterni dei soliti noti nell'ombra?) e il suo esercito venne addestrato da istruttori americani e rimpinzato di armi di ultima generazione come da copione sud americano sperimentatissimo ed eventuale colpo di stato (golpe) ove necessario.
Vedi il caso da manuale del Cile di Salvador Allende.
Ma l'America è l'America e non si discute. Neanche quando minaccia la guerra nucleare se i russi non tolgono i missili da Cuba (vedi la pagina di storia relativa). O, se si discute, si dà per scontata la nostra entusiasta adesione al suo impero militare (Nato) e lì ogni discussione si arena e nei talk shows il dissidente viene subornato e/o deriso. Zitti e mosca.
Qui si fa la democrazia (ci si dice tutti democratici) o si muore (e si scompare dai teleschermi).
Ma la grancassa retorica sull'Ucraina in guerra ha avuto toni elegiaci di straordinaria novità e commozioni pubbliche e pianti greci in cronaca che mi hanno stupito per la loro pervasività giornalistica e la sostanziale assenza di contraddittorio.
E capisco la pietas dovuta agli esodi di guerra e alle donne e ai bambini accolti in ogni dove del generoso Occidente democratico, capisco meno l'essersi schierati come un sol uomo (come un sol foglio di stampa e redazione televisiva) a sostegno delle ragioni degli ucraini contro i russi 'invasori' (e morta lì e guai a chi opina e approfondisce).
Uno schierarsi giornalistico pro e contro senza nessuna analisi storica degna di questo nome sulle ragioni pregresse (chiaramente esposte da Putin in tivù nel primo giorno di invasione) e sulla guerra maledetta nel Donbass condotta dagli ucraini contro le popolazioni russofone che ha causato un numero di morti forse pari o maggiore di quello che si stima della presente guerra di occupazione.
E un parallelo, incessante peana di osanna bellico alla luminosa democrazia ucraina che resiste invitta e si oppone (con le armi che gli inviamo) al 'criminale' Putin – la cui defenestrazione e uccisione orchestrata per mano di traditori prezzolati è stata chiaramente invocata e trascritta sui fogli di stampa embedded del luminoso Occidente democratico. E il Biden dagli occhietti a fessura che minaccia, novello dottor Stranamore, il ricorso all'arma nucleare...
(Part two. Segue...)

mercoledì 30 marzo 2022

Imperi di ieri e di oggi.


Non stracciatevi le vesti. Imperi ed altri imperi.

Riprendo un tema trattato con scarso successo dal professor Massimo Cacciari, in un suo laborioso dibattere televisivo con la querula conduttrice di una trasmissione su La7 - la mitica 'Lilli' Gruber (un volto, una cera eternizzata con piccolissimi ritocchi quotidiani), che pure si picca di scrivere di storia.
Il tema è quello dell'impero che, come sapete, è una estensione territoriale di diverse nazioni e popoli unificati e/o federati sotto la guida e l'impero di un solo. Un solo condottiero e/o leader (oppure una oligarchia di 'ottimati', vedi il Senato romano) , una sola nazione-guida (o città-stato) a cui le altre fanno corona per ragioni storiche le più varie. Sovente per le guerre perdute e i morti a migliaia e le paci e le sudditanze e i tributi imposti con le armi.
Famosi sono gli imperi di Roma e quello, effimero, creato da Alessandro – detto il Magno, come fosse un cognome, per le sue eroiche e bravamente risolutive gesta belliche che, al tempo suo, non suscitavano lo sdegno dei pacifisti (che esistevano, ma non avevano voce pubblica), ma solo quello, inane, dei popoli sottomessi che 'se la mettevano via' e facevano buon viso a cattiva sorte e trovavano i giusti modi di convivenza e le commistioni con il popolo oppressore.
Imperi. L'impero ottomano, per aggiungerne uno, percorse ripetutamente in armi la via dei Balcani per sottomettere l'Occidente in formazione, ma trovò un certo Vlad (Hagyak lll Drăculea) detto l'Impalatore, che ne ostacolò da par suo l'avanzata.
Gli imperi li abbiamo studiati a scuola, ma appare chiaro, dal presente dibattere televisivo e di stampa, che nessuna analogia viene in mente ai post moderni telespettatori - oberati da quintalate di talk shows di giornalisti e professori esperti di geopolitica e di strateghi militari accorsi in gran numero nelle varie redazioni giornalistiche a dire peste e corna dell'impero russo.
Un impero, quello di Putin, ridotto a più miti consigli e che ha perduto la sua cintura protettiva di stati-satelliti dopo le vicende politiche che hanno fatto seguito alla caduta del muro di Berlino.
Sono seguite le proclamazioni di indipendenza dei vari stati vecchi e nuovi e l'avanzata della cintura (difensiva?) Nato: l'organizzazione militare dell'impero opposto, quello delle democrazie occidentali alleate dell'America.
Tutto ciò riporto per dare copertura di Storia alla presente guerra in Ucraina e ridurre il suo dramma di guerra presente ad un 'normale' dramma di ogni altra guerra passata e le future.
Non stracciatevi le vesti, non subito perlomeno. (segue)

domenica 27 marzo 2022

L'araba fenice è dentro di noi.

 

Dovreste viverla l'esperienza del silenzio nella partitura delle vostre vite. Vi alzate dal letto alle prime luci dell'alba e i soli rumori che udite e che cercate di evitare sono i cigolii delle serramenta dei vostri oscuri che si aprono piano e vi mostrano di fuori la luce soffusa di una nebbia incantata. Le nebbie di primavera hanno l'incanto del bianco su bianco. Il bianco crema dei fiori degli alberi del caco a me di fronte che si delineano sul bianco arioso della nebbia in discioglimento e se ne impregnano, avidi di quell'umidità che manca a questa primavera arida e siccitosa.
E nessun televisore acceso e i queruli telecronisti dallo sguardo spiritato a dirvi che c'è una guerra, da qualche parte nel vasto mondo - si, c'è, lo dovete sapere e dovete prendere fazione è un maledetto imperativo categorico televisivo - e che corriamo il serio rischio di trovarci ridotti a cenere calda nel cratere di un esplosione termonucleare se non si zittiscono i belligeranti dottor Stranamore di ambe le parti di un mondo mutatosi, improvvisamente, in una immensa e clamante nave dei folli avviata al suo finale naufragio.
Silenzio. Passi felpati e sguardo nuovo, ancora intriso delle fantasie dei sogni, su un mondo che rinasce dalle sue ceneri (è Quaresima, d'altronde, cospargetevi il capo, fratres).
Possiamo farla rinascere noi l'araba fenice (che vi sia ciascun lo dice) e farla involare nell'aria dipinta del fresco bianco primaverile solo che lo si voglia e i televisori restino spenti.
La vostra guerra non interessa più a nessuno, né la pandemia che rinasce (una nuova ondata, dicono i telecronisti dallo sguardo spiritato).
Il mondo rinasce dentro di noi, gli diamo forma di nuova umanità silenziosa, siamo dèi noi stessi, incrociamo le gambe e sguardo fisso di là dell'orizzonte umano e le mani poggiate à revers nella posizione del loto. Auuuuummmm.
Tempo, spazio, curvatura dello spazio tempo, tutto dentro e fuori di noi, inizia il viaggio.
E non chiedetemi che cosa mi sono fumato.
Potrebbe essere un'immagine raffigurante monumento e natura




sabato 26 marzo 2022

Il fio delle scelte politiche.


Pagheremo caro, pagheremo tutto. Il fio delle scelte politiche sbagliate.
Mai come in questi giorni di isteria giornalistica e ossessione bellica televisiva il telespettatore ha potuto realizzare che questa guerra per procura Nato ('vai avanti tu, Ucraina, che noi testiamo la risposta russa fino a dove si spinge e valutiamo una eventuale risposta nucleare') la sta pagando direttamente nelle bollette dell'energia domestica e in quelle delle imprese – molte costrette a chiudere l'attività per soverchi costi.
E la cosa che più mi ha sorpreso degli eventi catastrofici, uno via l'altro, che abbiamo subito negli ultimi due anni e mezzo è l'incredibile capacità che abbiamo, noi consumatori e cittadini di questa repubblica vocata all'infamia politica di scelte para belliche tutte sbagliate, di fare fronte agli aumenti stellari conseguenti alle sanzioni - e subire supini, uno dopo l'altro, gli oltraggi dell'avversa fortuna s-governativa di s-governanti che più inadeguati e di vergognosa retorica filo Nato e filo Biden-l'Insensato (che vaneggia di opzioni nucleari possibili, aiuto!!) non si può.
E non abbiamo, ahinoi, l'animo di Amleto, il principe di Danimarca che, nel suo monologo, si chiedeva: 'Essere o non essere, questo è il problema: se sia più nobile d'animo sopportare gli oltraggi, i sassi e i dardi dell'iniqua fortuna, o prender l'armi contro un mare di triboli e combattendo disperderli.
Ecco, non combatteremo contro il nostro, italico 'mare di triboli', bensì li subiremo tutti senza emettere un fiato avverso - e lasciando che quei personaggi di s-governo inadeguati compiano fino in fondo le loro scelte malate a fianco della Nato e facendo pagare ai cittadini i costi degli esodi di guerra.
E neanche la consolazione di chiedersi 'Fino a quando, cittadini?', confidando in una qualche reazione di politico disgusto, perché l'onore degli antichi Romani non ci appartiene e solo ci resta l'amarissimo distico di dire – cantando il nostro tragico inno nazionale – che 'siamo pronti alla morte'.
Perfino a quella nucleare, se dovesse darsi il caso di pulsanti rossi che si premono all'unisono di qua e di là dell'Atlantico e missili a testata atomica che partono dalle portaerei e dai sommergibili di ultima generazione.
The end (of the human world) e mandate tanti commoventi messaggini ai vostri cari mentre il fall out radioattivo si allarga a dismisura.






 

mercoledì 23 marzo 2022

Di connessioni e ardue conciliazioni.

 

Dell'Amore e dell'infinito viaggiare 24 marzo 2014

Con i sistemi operativi non c'è partita. Ti battono nelle partite a scacchi e negli altri giochi e nei tests e solo se ti abbassi di livello riesci a spuntarla. Figurarsi che succede se un sistema operativo si appropria del 'sistema-amore' e impara tutto quello che bisogna imparare e dire a proposito dell'amore. L'essere carezzevoli e comprensivi e mai invasivi e intuire le sfumature del non detto e rispettare i silenzi in partitura e i dolori pregressi e offrire spalle al pianto e stimolare accortamente le residue vitalità e voglie di gioco e saper comporre splendide canzoni e musiche e offrire complicità e affanno e grido comune e diapason di godimenti negli sconvolgimenti sessuali.
Un miracolo che diciamo amore, se avviene e quando avviene tra esseri umani dotati di forme corporee, ma un sistema operativo che ci azzecca con tutto questo? Non dà l'impressione che si tratti di auto masturbazione e solipsismo e chat erotiche?
Un sacco di gente propende per questa tesi – ad ascoltare i commenti in sala e nei siti dedicati al film di cui parlo - e l'idea che di queste 'invasioni' e predilezioni solipsistiche sarà pieno il futuro prossimo e quello remoto li sconvolge, fermi come sono le loro menti alle caverne della corporeità, alla preistoria dei corpi di carne e sangue e dei cervelli limitati dall'impaccio dei corpi.
Però i sistemi operativi li creiamo noi e li programmiamo agli scopi di servire i nostri bisogni e li vogliamo sempre più sofisticati e potenti e capaci di assomigliarci in tutto e capaci di 'andare oltre' - e anche questa è aspirazione umana e la ritroviamo nei grandi poemi medievali e nello sprone dannunziano de: 'Non è mai tardi per andar più oltre!' che, peccato di gioventù, interpretavamo come espressione para fascista e imperialista.
E il sistema operativo che fa innamorare il protagonista di 'Lei' va oltre, molto oltre. Si prende tutti gli spazi dell'amore che ci è necessario 'come l'aria' e come il pane e non trascura, per sua natura intrinseca e finalità programmatica, di relazionarsi e connettersi con gli altri, molti altri: il nostro prossimo e i suoi mille, milioni di pensieri e attitudini creative - e le 'connessioni', si sa, sono galeotte (come lo fu il libro di Francesca e Paolo) e foriere di espansioni mentali alle quali, poi, non puoi opporre il limite della tua gelosia e il tuo bisogno di unicità e speciale predilezione – perché quel genere di ritrosie e recriminazioni è appannaggio dei corpi scimmieschi e primitivi dei cavernicoli che siamo e resteremo ancora per lunga pezza.
La cosa più difficile del mondo, ne converrete, è il conciliare la convergenza dell'attenzione e della cura su un singolo essere e l'espansione infinita che ci agita dentro. Agostino insegna, quando abbandona alla sua sorte l'innamorata di carne e sangue e fluidi corporei e si innamora della teologia – e, prima di lei, piangeva Didone, che, dalla pira funebre, malediva l'innamorato costretto al Grande Viaggio e alla Meta Finale. In brava sintesi, l'opposizione tra una certa idea dell'uomo presente (essere finito) e, all'estremo opposto, l'idea finale di Dio, - un Sole a cui attribuiamo il potere di irradiare la Luce di un Amore infinito ed eterno, per convenzione universalmente riconosciuta. Peccato che tutto sia così astratto e lontano, però.
E, quando la conciliazione non riesce, lo sappiamo bene, finisce in dolore, naturalmente. Dolore per l'abbandono e per l'assenza di chi dice di amarci e per l'incapacità nostra strutturale di transitare, anima e corpo, (come si dice che avverrà a Giosafatte), nel misterioso e affascinante mondo delle stelle e 'iperuranio'- che così raramente 'usciamo a riveder', a differenza del sommo poeta che ci provò e lo raccontò magistralmente nella sua Commedia.
E forse non è un caso se il regista Spike Jonze spedisce, nella scena finale del film, i protagonisti sedotti e abbandonati sul tetto di un alto edificio niuiorchese – esplicita metafora di una vicinanza cosmica a cui aspiriamo ma che ci va stretta, pardon, ci è troppo larga.
Siamo uomini o dei, se siamo in grado di inventare e dispiegare i poteri potenzialmente infiniti dei sistemi operativi - novello fuoco di Prometeo - salvo lamentarci e soffrire se 'ci prendono la mano' e 'vanno oltre'? I più intelligenti tra noi, pescando nell'abisso di complessità del nostro cerebro, li hanno creati e modellati con tale cura da consentire loro perfino la conoscenza e la pratica delle emozioni ('Sognerò?' chiedeva Hal 9001 al suo carnefice in '2001 odissea nello spazio') - ma ancora non sappiamo bene se le emozioni sono il retaggio primitivo del nostro essere stati 'animali' e cavernicoli che cacciavano in branco oppure levitazioni sofisticatissime dell'anima, però poco praticabili sul piano pratico e sconsigliabili nel corso dei viaggi spaziali, dati i casini che provocano nel gioco delle relazioni umane.
Il bellissimo film 'Lei' di Spike Jonze parla di tutto questo e anche di più. E' un condensato del libro 'La fisica dell'Immortalità' di J. Tipler e, insieme, ci ricorda certi garbugli d'amore di W. Allen, gestiti con levità e ironia e le battute giuste che muovono il riso e inducono commozioni.
Andate a vederlo. Non ne resterete delusi. Al massimo vi capiterà di parteggiare per i cavernicoli corporei che siamo e contro l'infinito viaggiare che ci attende in un futuro che è appena cominciato.
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Gabbiani di difficile integrazione.

 

L'Occidente morituro e la guerra dei trent'anni che ci aspetta. 23 marzo 2017
Stamattina i gabbiani appollaiati sui tetti si rilanciavano in coro quel loro lugubre grido gutturale – forse per il torto che hanno subito di non poter più rompere i sacchetti dell'immondizia non più appesi di fuori e saziarsi dei nostri rifiuti - e mi hanno fatto venire in mente quel che mi ha raccontato mia figlia, mesi fa: di quando saziava un nuovo nato confidente, pronta ad ogni suo richiamo famelico - e l'aveva chiamato poeticamente Livingstone - e un giorno, il volatile ormai cresciuto e in forze, quella affettuosa confidenza si era mutata in una beccata in un occhio schivata per miracolo e il nome venne cambiato in Hannibal.
E uguale atteggiamento mi viene richiamato osservando e ascoltando i video di rabbiosa predicazione dell'odio islamista di quel tale, tardivamente ucciso ieri a Londra, ma che già aveva disseminato di morti e feriti innocenti l'area antistante il parlamento britannico. Serpe in seno della vastissima immigrazione di un Europa pietosa e accogliente a dismisura che ha riempito le periferie urbane delle sue metropoli di genti ostili e niente affatto integrati e felici di vivere nell'Occidente del loro sogno di una vita migliore che li ha spinti ad emigrare e violare le nostre frontiere di mare e di terra.
E oggi abbiamo articoli a iosa - come sempre dopo ogni attentato e maledetta strage degli islamisti assassini - che ci richiamano e descrivono la follia di quella politica di accoglienza non vigile, non attenta ai fenomeni correlati all'immigrazione massiccia che ha cambiato il volto delle nostre città. Ma in primo piano sono le orazioni funebri e quelle annunciate dei morti e feriti di una guerra che non vogliamo/sappiamo combattere con la necessaria fermezza che si deve a quelle vittime innocenti di un odio incomprensibile e 'odioso' nel suo imporsi come guerra intestina delle enclaves islamiche europee a cui Erdogan-il califfo raccomanda di 'fare più figli' per vincere con la forza dei numeri e imporre la sua sharia nelle terre indifese dell'Occidente morituro.
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Maledette primavere.

 

E, mentre la primavera si afferma, pur se asciutta e siccitosa, e lancia le sue commoventi nuvole rosa e bianche verso il cielo, io, solo e pensoso per i diserti calli, sto cercando di rintracciare nel mio passato, il passato mio e del paese in cui ho abitato per oltre settant'anni, una uguale condizione di isolamento e di rifiuto dell'esistente e di posizioni politiche aspramente inconciliabili, ma non trovo l'eguale.
Negli anni del terrorismo brigatista, forse. Con quei giovani disperati, le brigate rosse e i dintorni dei gruppi segretamente simpatetici, che si erano arroccati nella loro prigione mentale e nutrivano i loro pensieri estremi con gli sfilacci di un marxismo immaginario - e si ergevano a giudici crudeli e boia dei condannati dal tribunale del popolo.
Ma i loro crimini osceni li consumarono e ne condannarono il verbo obsoleto – e il cordone sanitario che si strinse intorno a loro li disse eremiti urbani di una predicazione violenta inascoltata e reietta.
E oggi mi guardo intorno e mi chiedo come si è arrivati a tanto, al muro contro muro tra popolo, una parte assai consistente di popolo, e una classe politica di 'incollati alle cadreghe' che dell'infamia della pura sopravvivenza e 'tirare a campare' ha fatto la sua bandiera e stolida egida – e l'opposizione parlamentare dei partiti che dovrebbero darci rappresentanza si è sciolta nell'acido degli eventi maledetti della pandemia biennale e, oggi, della militanza acritica a fianco di una democrazia nazionalistica nata dalle violente convulsioni post Maidan, e il cui esercito è stato addestrato dagli istruttori americani giusto a ridosso di un confine storicamente pericolosissimo.
'Coniglietti suicidi' è il libro che meglio li sintetizza.
Il ritorno dei confini, dunque, dei maledetti confini della prima e della seconda guerra mondiale che credevamo di aver sepolto sotto le macerie del muro di Berlino. Ma avevamo trascurato il filo rosso della Storia, la cui digestione e metabolizzazione è lenta, lentissima – un filo rosso non visto sotto la polvere delle effimere reggenze di Gorbaciov e di Eltsin: il ritorno del nazionalismo grande russo.
Una democrazia, quella ucraina, creata sull'onda, ormai corta e con pochi spruzzi in battigia, dell'esportazione delle 'democrazie arabe': un mito di violenze, e i clamori mal sedati di piazza Tahrir, del quale ben poco resta in cronaca e si è imbevuta del sangue della finale tragedia siriana. Una democrazia ucraina cresciuta in feroce autostima nazionalistica con la terribile guerra del Donbass - e le migliaia di quei morti, inclusi i civili che tanto clamore hanno oggi in cronaca, non curati dall'Europa e dalla sua inesistente diplomazia. E Nemesi, la severa divinità, ci ammonisce che ogni colpa ha il suo fio e si paga a piè di lista, a volte con clamore di nuove guerre e dei morti, feriti e dispersi che ne conseguono.
Ma di tutto ciò, e di trattative auspicate e indotto Zelensky, il trageda osannato, a trattare e ridotto a più miti consigli - e di una offerta Nato di stabilire una cintura di stati neutrali sul confine russo della ex Urss - nulla si rintraccia nell'etere dell'audio pubblico, bensì un incessante, insensato osanna alla luminosa democrazia filo Nato quale si ascolta nei tiggi unificati e nelle dichiarazioni dei politici, dei giornalisti di grido e dei professori emeriti, invitati negli asfittici 'talk show' in sostituzione dei tele virologi rancorosi per la loro obsolescenza televisiva.
Per tutto ciò sopra esposto mi sono chiuso in silenzioso raccoglimento e personali, tristissime riflessioni sulla vanità del mondo e su il suo avviarsi verso l'olocausto atomico finale - e osservo con disincanto la navigazione della nave dei folli italica ed europea verso l'isola vulcanica mediterranea dove ha preso dimora il dottor Stranamore – che ridacchia da par suo nelle sue passeggiate sotto al vulcano, e, a casa, guarda e riguarda le scene su il dvd del suo film restaurato dei mitici Cinquanta e lo confronta con il presente sequel in tivù della bomba in prossima caduta libera che aveva imparato ad amare e i cui effetti esplosivi avevamo esorcizzato per oltre sessant'anni.
Potrebbe essere un'immagine stile anime