mercoledì 29 settembre 2010

un sentito grazie agli elettori/trici

Il premier all’incontrario
In un Paese non dico normale, ma meno che normale, la vera notizia di oggi sarebbe che Berlusconi  ha attaccato tutti i suoi più cari amici e sodali.
Il premier ha puntato il dito contro le macchine “di odio”, e di sicuro a Vittorio Feltri saranno fischiate le orecchie. Ha promesso “lotta dura” al crimine organizzato, e alcuni dei suoi avranno certamente tremato. Ha elogiato la “grande squadra che si chiama Stato”, facendo scricchiolare tutte le poltrone di quelli che in questi mesi hanno attaccato Quirinale,  magistrati inquirenti, membri della Consulta, giudici dei Tar.
Non solo. In un paese meno che normale si direbbe che il nuovo Berlusconi ha scelto la Camera per dire che il Parlamento deve essere “forte”, il che suona come un inequivocabile j’accuse al suo ministro per i Rapporti con lo stesso Parlamento, che negli ultimi due anni ha chiesto la fiducia una settimana sì e una no.
Di più. Se il Cavaliere ha detto, come ha detto, che il Parlamento deve essere “libero”, avrà di che preoccuparsi il repubblicano Nucara, gran tessitore di compravendite di dubbia moralità.
In un Paese meno che normale, la conseguenza naturale di questo discorso dovrebbero essere le dimissioni immediate di mezzo governo e mezzo Parlamento, oltre che il pensionamento anticipato di faccendieri e coordinatori vari.  
Non accadrà, e a tutto ciò purtroppo si è fatta l’abitudine.
Spiace solo constatare che questa Italia molto meno che normale ha perso anche la sua proverbiale ironia. Altrimenti, quando Silvio Berlusconi ha pronunciato in aula la parola “Stato” la seduta sarebbe stata sospesa causa gigantesca e liberatoria risata.

domenica 26 settembre 2010

di chi non sa che sia l'etica pubblica e si offende se lo si dice un 'cane'

I metodi dell'Innominato
e la libertà del dissidente
di GIUSEPPE D'AVANZO

Il discorso di Gianfranco Fini è un confronto diretto con Silvio Berlusconi, il mandante del suo tentato e finora mancato "assassinio politico". Un raffronto tra la sua etica pubblica e la moralità dell'altro. Tra le proprie consuetudini private e politiche e i costumi politici dell'altro. Tra i suoi disarmati metodi di discussione pubblica e la violenza della macchina del fango che il Cavaliere può scatenare e - da un anno - scatena giorno dopo giorno.

Di volta in volta, il rivale può essere: la moglie, un giornalista dissenziente, un alleato riluttante. Il presidente della Camera non pronuncia mai il nome del suo antagonista. Mai, ma l'intero intervento del presidente della Camera va interpretato alla luce del paragone tra due storie umane e politiche, tra due metodi. Fini ripercorre l'affaire di Montecarlo e lascia bene in vista quel che ormai palesemente non funziona più nella nostra democrazia. Non aggiunge nessun elemento nuovo sulla proprietà di quell'appartamento di 50/55 metri quadrati di Montecarlo, se non la sua rabbia quando scopre che il cognato Giancarlo Tulliani è in affitto in quella casa di boulevard Princesse Charlotte 14. Si rimprovera "una certa ingenuità".

Si chiede: "È Giancarlo Tulliani il vero proprietario della casa di Montecarlo?". Il presidente della Camera non azzarda una risposta perché non sa rispondere. Non può rispondere, perché non sa. Non ne sa niente, ma non se ne lava le mani. Comprende che quel passaggio dell'affaire non è un dettaglio trascurabile, ma decisivo e non nasconde i suoi dubbi. Dice: "Gliel'ho chiesto con insistenza: egli (Tulliani) ha sempre negato con forza, pubblicamente e in privato. Restano i dubbi? Certamente, anche a me". Potrebbe chiuderla lì seguendo l'esempio di Berlusconi che, negli anni, ha lasciato che il suo braccio destro fosse condannato per associazione mafiosa (Dell'Utri) e il braccio sinistro per corruzione (Previti) e sempre per comportamenti e relazioni e reati che hanno favorito le sue fortune e avventure. E dunque di che cosa dovrebbe preoccuparsi, Fini, con quella compagnia? E tuttavia egli segue un'altra strada. Assume un impegno pubblico, anche se si dichiara estraneo, inconsapevole, ingenuo. "Se dovesse emergere con certezza che Tulliani è il proprietario e che la mia buona fede è stata tradita, non esiterei a lasciare la presidenza della Camera. Non per personali responsabilità - che non ci sono - bensì perché la mia etica pubblica me lo imporrebbe".

È tirando il filo della sua etica pubblica che Fini può tracciare la mappa dell'etica pubblica dell'altro, dell'Innominato, e marcare le eccentriche anomalie della scena italiana. C'è un signore - Silvio Berlusconi, l'Innominato - "ha usato e usa società off-shore per meglio tutelare il patrimonio familiare, aziendale e per pagare meno tasse" - che accusa chi "non ha né denaro né ville intestate a società off-shore" di frequentare i paradisi fiscali. Sempre quel signore - Berlusconi - che, facendo leva su leggi che si è apparecchiato come capo del governo, ha salvato la testa da processi che ne hanno accertato le gravissime responsabilità getta in faccia all'altro - Fini, "in 27 anni di Parlamento e 20 alla guida del mio partito, mai stato sfiorato da sospetti di illeciti" - una storia dove "non è stato commesso alcun tipo di reato, non è stato arrecato alcun danno a nessuno. E, sia ancor più chiaro, in questa vicenda non è coinvolta l'amministrazione della cosa pubblica o il denaro del contribuente. Non ci sono appalti o tangenti, non c'è corruzione né concussione".

Ecco dunque che cosa succede: "Un affare privato è diventato un affare di Stato per la ossessiva campagna politico-mediatica di delegittimazione della mia persona: la campagna si è avvalsa di illazioni, insinuazioni, calunnie propalate da giornali di centrodestra e alimentate da personaggi torbidi e squalificati".
È il preoccupato disegno che, della nostra democrazia, abbozza Fini. È l'ombra minacciosa che incupisce i giorni della nostra Repubblica. La si può scorgere nella lunga sequenza di "assassini mediatici" che sono diventati, in assenza di politiche pubbliche e di decisioni necessarie per il Paese, l'unica operosa attività cui si dedica il capo del governo. Dispone la raccolta del fango. A ogni avversario o nemico dichiarato o potenziale è riservato un dossier. Leggerezze ben manipolate possono diventare colpe e vergogna. Quando non ci sono né colpe né leggerezze, il fango lo si crea. Tornano utili i bugdet illimitati di cui dispongono i "raccoglitori di fango", faccendieri, funzionari prezzolati delle nostre burocrazie della sicurezza, ma anche spioni di altri Paesi. Creato il dossier, lo si può pubblicare cadenzando i tempi politici. L'Innominato se lo pubblica sui suoi media, il dossier infamante. Per questa strategia, nell'agosto dello scorso anno, l'Innominato rivolta i giornali del centro-destra (il Giornale, Libero) come calzini. Sceglie persone adatte al nuovo canone bellico. Fini, ricorda, fu tra i primi a essere "avvisato" di marciare diritto se non voleva guai. Fece lo stesso il passo storto che poi non è altro che l'esercizio del diritto a dissentire. Contro di lui è auspicato, dice, "il metodo Boffo. (C'era) chi mi consigliava dalle colonne del giornale della famiglia Berlusconi di rientrare nei ranghi se non volevo che spuntasse qualche dossier - testuale - anche su di me, "perché oggi tocca al premier, domani potrebbe toccare al presidente della Camera". Profezia o minaccia? Puntualmente, dopo un po', è scoppiato l'affare Montecarlo".

Gianfranco Fini avverte, dunque, come spaventosa questa "meccanica", ne avverte la pericolosità, ne avverte un'anomalia che può manomettere i necessari equilibri di una democrazia. Il suo intervento denuncia un sistema di dominio, una tecnica di intimidazione che deforma l'indipendenza delle persone, l'autonomia del loro pensiero e delle loro parole. Constata che siamo ben oltre una fisiologica dialettica politica. Più semplicemente, avverte Fini, discutiamo della libertà di chi dissente o di chi si oppone.

Il presidente della Camera vede al lavoro una macchina, vede in azione un dispositivo che vuole "colpire a qualunque costo l'avversario politico", eliminarlo. Così, dice, "si distrugge la democrazia, si mette a repentaglio il futuro della libertà". È un giornalismo adulterato che si fa calunnia, "manganello", pestaggio e olio di ricino, il perno del meccanismo. Fa venire il freddo alle ossa. Pretende che "ci si metta in riga" se non si vuole assaggiare il "metodo Boffo" (liquidato con una campagna montata su un documento clamorosamente falso). C'è ancora l'Innominato a governare questa fabbrica di veleni che sono "i giornali del centro destra che non pubblicano notizie, che non ci sono, ma insinuazioni, calunnie e dossier" che possono essere costruiti in giro per il mondo con le risorse inesauribili dell'Innominato. Basta guardare quel che è accaduto a Santa Lucia dove "un ministro scrive al suo premier perché preoccupato del buon nome del paese per la presenza di società off-shore coinvolte non in traffici d'armi, di droga, di valuta, ma nella pericolosissima compravendita di un piccolo appartamento a Montecarlo". Si può crederlo? Non si può crederlo ed è giusto indicare il mandante politico. Soltanto chi non vuole sentire, vedere, giudicare può far finta oggi di non comprendere che Fini ha indicato in Berlusconi il tessitore della manovra che ha provato a schiacciarlo. Il presidente della Camera crede che possa ritornare la politica sulla scena pubblica nazionale. Si può essere scettici che ciò accada fino a quando, impaurito dal suo stesso fallimento, terrà banco un Innominato che ha abbandonato il sorriso ingannatore per mostrarci come il vero volto del suo potere sia la violenza.

(26 settembre 2010)

sabato 25 settembre 2010

i cani e la caccia alla volpe

La caccia alla volpe è una tradizione crudele. E, come quasi tutte le tradizioni ferine che l'uomo ha coltivato nei secoli contro gli animali, è stata proibita ex lege nella terra dove quell'inseguimento insensato avveniva. Immaginatevi la scena di ordinaria idiozia: una torma di cani abbaianti e furiosi che si 'danno la carica' morsicandosi l'un l'altro per stabilire una 'dominanza' e tutti insieme fanno da avanguardia ai nobili a cavallo che finiranno a schioppettate l'animale già mezzo sbranato dai cani.

E' la metafora di ciò che avviene in questo paese di maledetti cani e sciacalli (molti, troppi) e nessun nobile a cavallo, bensì un Barabba imputato delle peggiori corruzioni e concussioni ed evasioni che conduce il gioco al massacro contro il presidente della Camera dei Deputati - coi servizi segreti presenti a Santa Lucia (Caraibi) a minacciare ritorsioni contro il governo di laggiù e il ministro della giustizia indigeno,spaventato, che rilascia dichiarazioni giurate al fine di sbarazzarsi di quei cani da fiuto e tornare alla tranquillità dei conti cifrati nelle banche e delle società off shore.

E anche da noi milioni di maledetti cani e iene e sciacalli (gli elettori del Barabba) abbaiano, latrano, azzannano la volpe in fuga – che avrà anche il torto di aver sbranato qualche gallina in un pollaio, ma lo si sapeva, - si conosce bene la natura selvatica e predatoria delle volpi in politica - da sempre - e chi ha eletto Fini alla sacra carica di terza maggiore autorità della Repubblica, sapeva di lui vita, morte e miracoli fin dall'inizio - perché nella redazione de 'Il Giornale' e in quella di 'Libero' hanno già pronti i necrologi di tutti coloro che si sono consegnati prigionieri delle liste elettorali del sedicente 'popolo delle libertà' (quattro sic e sei bleaahh!).

E, al momento opportuno, al momento di un distinguo o di un dissenso dell'incauto o dello sfidante, ecco apparire il necrologio in prima pagina e la caccia alla volpe entra nel vivo dei denti che affondano nelle carni e del povero animale che azzanna a sua volta, ma è destinato a soccombere al numero dei vigliacchi animali assassini - forti dei soldi che li stipendiano e dell'essere partecipi tutti insieme dello 'spirito animale' dell'arraffare e rubare delle 'cricche' e delle 'p3' al governo.

E se il 'governo del fare' naufraga sull'immondizia della Campania (che oggi finalmente trabocca di sotto al tappeto dove la si era nascosta 'manu militari'), questa della 'monnezza' che esubera e delle discariche stracolme è altrettanta efficace metafora dell'immondizia morale e politica che quei furbi elettori, quei cani feroci e sciacalli (che, fedeli al loro principe, azzannano chiunque si opponga al malaffare), ci offrono della loro essenza morale, del loro essere sodali e 'grandi elettori' del campione dell'immoralità e del 'farla franca' - che si è comprato la politica coi soldi sporchi e il consenso degli evasori cronici e recidivi coi condoni ripetuti ad ogni anno nuovo.

lunedì 20 settembre 2010

la duna di sabbia che ci schiaccerà

Heimat, di E. Reitz, è un film chilometrico, la somma di molti film, e ripercorre la storia della Germania dall'inizio del secolo breve fino al dopoguerra dei sopravvissuti e la rinascita.

E' istruttivo guardarlo, episodio dopo episodio, perché ci mostra come i piccoli segni che cambiano le nostre esistenze, un giorno dopo l'altro, conducono alle follie vandaliche delle camicie brune, al rogo dei libri, alle stelle di Davide sulle giacche e all'avvento al potere del Caporale Pazzo e alla seconda guerra mondiale, in finale di partita: ai bombardamenti su Dresda e Berlino che hanno seppellito sotto le macerie centinaia di migliaia di vittime civili.
Germania kaputt, fine della Storia, di una certa direzione della Storia che oggi definiamo come il 'male assoluto', i nazionalismi assassini e autodistruttivi.

Ebbene un piccolo segno, uno dei molti che assommiamo nelle nostre menti un giorno dopo l'altro è il dramma di un piccolo paese del bresciano dove si fanno le prove generali dell'ascesa di un altro nazionalismo di ritorno: il leghismo stupido, sangue e suolo, logiche identitarie e asfittiche, - col finale in comica irresistibile, ma che dà i brividi perché uguali elementi comici erano contenuti nei piccoli villaggi dove si affermavano le divise e i simboli che venivano da Monaco e da Berlino: 'Leverò i simboli celtici del sole delle Alpi solo se lo dice Bossi' ha affermato l'idiota di s-governo del comune di Adro.

Ecco è questo giorno dopo giorno e idiozia sommata ad idiozia che dovrebbe preoccuparci, perché è un veleno quotidiano che inaliamo col respiro, è un 'clima' sociale al quale ci abituiamo facendo spallucce, diminuendo i singoli episodi come 'poca cosa' e 'che volete che sia' e sono, invece, i granelli di una gigantesca duna di sabbia che ci seppellirà - e solo quando un grande evento tragico si manifesterà e includerà le nostre vite o quelle dei figli e dei nipoti capiremo come e perché ci è cresciuta addosso fino a toglierci il fiato e schiacciarci sotto l'immenso peso.

il salvacondotto

Ho scoperto che anche i ricchi piangono. Al di fuori della facile battuta, è ben vero che i ricchi hanno esitazioni, emozioni, fragilità, insicurezze percepibili al di là della scorza della ricchezza che li protegge e ne attutisce i colpi della avversa fortuna.

Ad esempio sono colpiti da malattie e vecchiaia come noi comuni mortali di reddito medio-basso e quel che fa tenerezza è il vedere che la scorza robusta della ricchezza che li avvolge e ripara (così abbiamo sempre creduto), a volte si incrina, cede, e ci capita di leggere nei loro occhi avviliti, spaventati, il dramma dell'essere stati colpiti a loro volta, del partecipare al comune destino del dolore e della morte possibile o prossima.

Già perché la ricchezza è (dovrebbe essere) uno scudo e un lasciapassare, un salvacondotto per medici migliori e più capaci, cliniche dove avvengono miracoli, climi migliori e alberghi di lusso e palme e spiagge bianche, ma ci sono punte di lancia del dolore di vivere che attraversano tutto quell'ovattato corollario del lusso e del denaro facile e centrano un ganglo vitale del loro corpo fragile o un grumo di neuroni lasciati senza difesa e ti abbattono il tycoon e il magnate e il capitano di industria come fosse uno qualsiasi tra noi.

Già perché noi poveri – se è ben vero che abbiamo la 'nostra parte di ricchezza' (ed è il colore dei limoni) come dice Montale – siamo abituati al freddo e alla pioggia e col dolore abbiamo dimestichezze che quelli (i ricchi) si sognano.
Siamo dei duri (noi poveri), rotti a tutte le avversità, allenati alla fame e 'abbiamo visto cose che voi (ricchi) neanche osate immaginare'.
I bastioni di Orione della crudeltà e dell'abbandono, ad esempio, e lo strazio dell'ira impotente a cambiare le condizioni al contorno del nostro vivere, e l'evidenza di nessun talento che ci aiuti a salire i gradini della scala sociale, ma, giunti al finale di partita, la consolazione di essere stati, in qualche modo misterioso, il 'sale della terra', gli 'ultimi' che la leggenda evangelica afferma 'saranno i primi'.

Chissà perché. Chissà per quale legge malvagia del vivere associati e delle profezie evangeliche i ricchi sono perseguitati da quella invettiva del Cristo: 'E' più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri in Paradiso'. Forse perché ogni 'accumulazione primitiva' puzza di bruciato e di 'metterlo a bottega' al prossimo o di corruzione ed evasione fiscale cronica e recidiva, chissà.

Forse perché il nostro mangiare come lupi ed esseri pantagruelici ogni risorsa del pianeta - mentre il resto del mondo, i poveri, ci guardano mangiare magri come chiodi (loro) – non sembra così giusto Lassù, fatto sta che la pena della cruna dell'ago li (ci) castiga e qualche volta, uno di loro (di noi) si spoglia di tutto, lascia ogni veste elegante e di stoffa pregiata e dà ogni cosa ai poveri e divide il mantello con chi ha freddo.

Non scherzo. Ho provato tenerezza nel guardare i pochi ricchi che ho conosciuto resi fragili da un qualche evento inatteso e incontrollabile. E' come cadere senza rete da altezze vertiginose e nessuna mano o materassi di sotto ad attutire la caduta.
La legge della gravità ( e del dolore di vivere) uguale per tutti, che spaventosa sciagura!

venerdì 17 settembre 2010

alla facciaccia del popolo sovrano

Il popolo non ha sempre ragione. Ad onta dei molti laudatores del verbo populistico di mr. B e del suo reggicoda Bossi, la sovranità del popolo ha precisi e inderogabili binari entro i quali quella sovranità si esercita - pena lo scadere nel populismo più becero, appunto e, dati tutti i precedenti storici, con esiti tragici.

Citiamo, a un tal proposito, i caudillismi di ogni epoca e latitudine e i ripetuti 'peronismi' argentini e il 'putinismo' dell'ex agente del kgb che ama farsi fotografare a cavallo a torso nudo o mentre spegne personalmente l'incendio di Mosca alla guida di un canadair , ma anche i recenti fatti di sangue di Bangkok, - ispirati e pagati col denaro sporco del tycoon indigeno già al governo, ma esiliato all'estero perché accusato e condannato per corruzione.

Del nostro ridevole tycoon, invece, sapete bene che è tuttora freneticamente al lavoro e in grande affanno per salvarsi dai molti processi attuali e pregressi - e concentra le sue attenzioni di s-governo sull'obbiettivo primario di riformare la giustizia ai suoi fini, costi quel che ci costa in termini di amnistie a fini personali e di maledetta impunità dei furbi e potenti di ogni risma.

Non c'è anno, mese e giorno, da tre lustri a questa parte, in cui ogni notizia di reato che lo riguarda non venga detta dai suoi portavoce e scherani e laudatores 'ad orologeria'. Praticamente ha sintonizzato tutti gli orologi italici sul suo personale 'cursus disonorem'.

Ma la mia attenzione di oggi è puntata sul popolo che non ha ragione neanche quando plaude alla Francia di Sarkozy che oggi rimanda i rom a quel paese (ma ce l'hanno poi un paese di provenienza o saranno, come sempre nella loro storia di vaganti, 'stranieri in patria'?).

E' difendere una causa persa, quella dei rom. Come vicini di casa non li vuole nessuno e con buone ragioni e, anche se piazzati lontano dalle case, hanno un costo sociale e 'rubano' come sottolinea sbrigativamente Bossi. Ma le nazioni che partecipano dell'Unione europea e ne hanno votato le direttive e le leggi comunitarie hanno l'obbligo di filtrare le loro decisioni di governo attraverso quei trattati e quelle norme e, se hanno cambiato idea, devono seguire una prassi interna all'Unione (pena una procedura di infrazione) e denunciare i trattati e cercare il consenso di una maggioranza di altri paesi per riscriverli.

Regole, insomma. Regole da seguire, da stabilire, da disdettare, se necessario, ma mai decisioni unilaterali secondo l'onda politica del momento e il sentire 'di pancia' delle popolazioni il cui sentire è sempre ondivago, psicologicamente fragile ed esposto a tutte le suggestioni pompate abilmente dai media televisivi e dai fogli di stampa.

Il popolo è un'entità astratta facilmente manipolabile, ahinoi, e basta avere piena disposizione di una 'stampa di famiglia' e proprie televisioni e 'direttorissimi' piazzati al tg1 per far sentire il popolo ognora 'insicuro' e bisognoso di un padre amorevole e forte che 'risolva'.

Il come 'risolve' i problemi reali del paese è ben illustrato dalle inchieste della magistratura di Perugia che ci raccontano per filo e per segno le malefatte della 'cricca' e della 'p3' interna agli uomini di governo e nel Pdl e il 'Cesare' di cui alle intercettazioni in possesso dei giudici istruttori è il Cesare di sempre, l'uomo che ha ingolfato la macchina della democrazia e mostrato come la si possa vergognosamente comprare e gestire colla forza dei soldi.
Alla facciaccia del 'popolo sovrano'.

lunedì 13 settembre 2010

un paese di infamia e sciagura

Non se ne è visto uno per le calli della mia zona – ed è zona di passaggio obbligato per la via di Rialto provenendo dalla stazione – non un solo leghista con i loro celtici vessilli stupidi levati alti; e gli altri anni, invece, era uno sciamare festoso e battute aggressive e pacche sulle spalle e chiamarsi e darsi sulla voce: donne, uomini, bambini.

Il popolo becero delle valli e delle campagne che entra nell'augusta e vetusta città capitale di regione.
Un tempo ci entravano in punta di piedi, consapevoli delle differenze di status e dottrina e comportamenti urbani; oggi la pretendono 'cosa loro', ma questa città gli è nemica e mille e più bandiere erano state vendute dai partiti organizzatori de 'esponi la bandiera della Costituzione' e bastava alzare gli occhi per notarne l'incombenza severa, il monito, la memoria scolastica delle buone virtù civiche da non dimenticare mai: la patria, il popolo uno, il sangue dei martiri e dei soldati morti nelle trincee per questa parola maledetta e insieme forte, storicamente pesante e ineliminabile dalla coscienza della nazione: la patria e la sua Costituzione.

Devono essersi passati parola. I loro capi devono aver raccomandato di evitare provocazioni e non cercare la rissa e ne ho avuto conferma uscendo a comprare due cose alla Coop di piazzale Roma ed erano tutti in fila davanti agli imbarcaderi a fare il giro largo e concentrarsi da subito nella loro isola protetta di riva degli Schiavoni, assediati da una città di ignari e divertiti turisti e abitanti incavolati per il dover tollerare quest'ennesima invasione e vaporetti stipati come sardine – un troppo pieno asfissiante e avvilente per questa città piccola e fragile e le calli strette e le fondamenta intasate e, lungo le vie principali, se uno si ferma a fotografare o a guardare una vetrina, si batte il passo come al seguito di una carovana costretta in una gola.

In ogni caso erano molti di meno degli anni scorsi, i leghisti, e, se non fosse per la stampa locale sempre servile all'intendenza di governo, il dato sarebbe stato evidenziato com'è giusto - per dire di una stanchezza che tutti proviamo per i toni troppo alti del verbo politico, per le costanti aggressioni verbali e le minacce di secessioni e fucili, e per i criminali che si spacciano per uomini di governo e uomini della provvidenza - e fa un'immensa tristezza il ripensare a quella cosa idiota detta in un forum da uno che ha una grande stima di sé (è un kombinat spaventoso la mescolanza di arroganza e idiozia e sfocia inevitabilmente nella pretesa di onnipotenza e impunità) :

'L'ho votato perché pensavo che un imprenditore avrebbe spazzato via la vecchia politica e avrebbe introdotto la logica del fare'.

E le rovine di quella logica asfittica sono in piena evidenza nella costante incensazione intessuta di menzogne a tutti palesi che fa di sé il maledetto Principe degli Imbonitori, il Barabba di lotta e di s-governo - e il non aver tenuto in nessun conto che si trattava di un corruttore di Tangentopoli, un 'amico degli amici' rotto a tutte le intermediazioni malaffaristiche e para mafiose e che alla corruzione deve tutto, ma proprio tutto del suo impero, non li ammoniva che c'è una morale pubblica e un dettato democratico da rispettare e che le odierne cricche e le p3 sono il cancro del sentire democratico che oggi dispiega le sua nere, ampie ali di avvoltoio sopra la vita di questo paese di infami e sciagurati.

sabato 11 settembre 2010

flags of our fathers

Sono importanti le bandiere, levate alte in battaglia quali simboli di un'idea per la quale vale la pena combattere e morire.
Ed ogni riflessione fatta sulle bandiere e su ciò che hanno rappresentato e tuttora rappresentano è una buona riflessione se serve a segnare una distanza, rigettare un'appartenenza oppure confermare un'adesione, un riconoscimento.

Non tutte le bandiere dei nostri padri furono cattive bandiere. E se è giusto buttare a mare e disfarsi e perseguire per via giudiziaria coloro che ripropongono alla nostra attenzione le bandiere nere col teschio : i maledetti seguaci del 'me ne frego' e de 'viva la muerte' e 'eia, eia, alalà', le bandiere nazionali resistono, invece, a dire i valori della storia di una nazione, delle sofferenze e perdite di vite umane per affermare l'idea di 'un popolo' e 'una nazione' - e qualunque tentativo di denigrare e vilipendere deve sempre passare per una domanda a cui doverosamente rispondere: 'Perché e per chi è stato versato il sangue degli avi nostri, perché continuiamo a onorare i caduti, a cercare di dare un senso alle loro vite perdute e al loro sacrificio ed eroismo?'

Le bandiere sono simboli, così come i Libri, nei quali si riconoscono i popoli e le generazioni.
Possiamo contestarli e confutare le antiche tesi leggendarie e i singoli versetti e le cattive interpretazioni, ma mai bruciarli in pubblico, ne 'buttarle nel cesso' (le bandiere) pena l'avviarsi sulla china discendente - e armata – dei disconoscimenti e negazioni dalle quali scaturiscono l'odio e le guerre civili.

Esponete la bandiera al balcone, cittadini, e che non sia per i mondiali di calcio e il correre dietro a un pallone, bensì per una riflessione che avete fatto sul vostro essere italiani che si riconoscono nella Costituzione di una Repubblica nata dal sangue della 'meglio gioventù' dell'Ottocento e ri-nata in quell'altro bagno di sangue che fu la Resistenza al nazi-fascismo.

Viva l'Italia dei cittadini rispettosi dei loro doveri civici e che non votano i Barabba al governo della repubblica per affermare il privilegio dell'evasione e la falsa e miserabile e pezzente ricchezza che ne deriva.

giovedì 9 settembre 2010

noi speriamo che ce la caviamo

Le agonie possono essere maledettamente lunghe e il fatto che si sappia che è sentiero a senso unico e lo sbocco uno solo ti fa pregare che il transito sia il più veloce possibile e il dolore, pur se intenso, breve.

Così è per l'agonia di questo paese e gli spasmi e i rantoli di una prossima morte sono le dichiarazioni del Fuciliere da Pontida che invoca la spallata dei 'dieci milioni in piazza a Roma' – e se anche le sue fossero pure farneticazioni di bauscia sbruffone, che si prova a imitare la 'marcia su Roma' di benitiana memoria, il clima che creano queste ripetute idiozie audio-video accompagnate dalle pernacchie é quello delle prossime pallottole e dei coltelli, paventati anche da Pierluigi Battista su 'il Corriere della sera' di ieri.

'Facciamoci del male' sembra essere la coazione a ripetere di queste nostre genti italiche impazzite e dimentiche che la fuoriuscita da un sistema di regole e garanzie e rispetti istituzionali ci porta dritti filati a Bangkok - alle giornate di follia in cui si sono buttati trecento litri di sangue umano per le strade ed è poi iniziato l'assedio dell'esercito e si è sparato e si sono contati i morti a decine.

Ha coscienza il Folle di Pontida che sta giocando col fuoco e col probabile sangue? L'impressione è che tutto stia sfuggendo di mano un po' a tutti e le similitudini coi fatti di Bangkok si fanno sempre più maledettamente numerose e forse l'Europa ci aiuterà a mantenere la testa sul collo o forse no perché non si può intromettere nei fatti interni dei singoli paesi.

Così monta l'ansia e la spasmodica attesa per qualcosa di tragico che avvertiamo come molto prossimo e nessun medico aiuto ci viene dalla considerazione che sarà il popolo dei beoti elettori prossimi venturi a togliere le castagne dal fuoco a una classe politica incapace di governo e delle alleanze necessarie e pacificatorie.

Non l'hanno fatto per i tre lustri dello s-governo e del fracasso berlusconiano (gli incapaci elettori), non lo faranno domani che il loro Campione suonerà le trombe militari del rinnovato sconquasso e del 'muoia Sansone con tutti i filistei'.

Paradossalmente, il Caimano oggi usa i toni moderati che non gli sono consoni e caratteristici e la sola ragione è che lo sconquasso elettorale annunciato lo espone alle scadenze delle sentenze della magistratura a lui avverse e si prova a frenare il suo alleato o, forse, il loro è un gioco delle parti per drammatizzare oltremisura un clima già saturo di gas incendiari.

E il risultato sarà quello di una Roma prossimamente ridotta a teatro asiatico della Bangkok di qualche mese fa.

Sembra che solo lo scorrere del sangue abbia il potere di calmare gli animi incendiati delle opposte fazioni. Noi speriamo che ce la caviamo.

martedì 7 settembre 2010

gli alambicchi degli apprendisti stregoni

Stamattina il conduttore di Prima Pagina ha cominciato la sua lettura dei giornali con Sakineh - la storia della donna iraniana in attesa di lapidazione e ha proseguito con le questioni del contratto Fiom e del clima che tira nelle fabbriche.
Che sia anche lui un 'maledetto comunista' che spregia gli affanni e le angosce del povero premier dimidiato che già si sente sul collo le sentenze del processo Mills e Mediaset - e gli altri che si annunciano che vedono coinvolta la sua cricca di governo – il Verdini in testa, suo fido e adorato 'coordinatore del partito'?

Gli apprendisti stregoni Bossi e Berlusconi non sono a loro agio nel gioco di sponda istituzionale. L'uno è abituato ai comizi da osteria della bassa padana e ha sempre riscaldato il cuore e inumidito il viso dalle linguate dei suoi mille adoranti labrador di partito, l'altro è un imprenditore che va per le spicce e quel che non ottiene in trattativa regolamentare e di libero mercato se lo 'compra' con tangenti e/o minacce (compresa la politica, infine, dopo il terremoto di Tangentopoli) e si fa aiutare negli affari che contano da quei campioni di legalità che sono Dell'Utri e Previti – rotti alle migliori frequentazioni con stallieri eroici e alle 'vie traverse' e i garbugli degli avvocati di ogni risma e bassofondo e giudici oliati e compiacenti.

Sono apprendisti stregoni, i due pretesi 'leader' e 'statisti' a cui si rompono tra le dita rozze di bauscia meneghini le provette e gli alambicchi delle finezze istituzionali e la richiesta di far decadere il presidente della camera in modi diversi dalle minacce volgari e le denigrazioni e i denti infetti dei giornalisti-sciacalli al soldo di famiglia è l'esempio lampante di come si muovano in un negozio di specchi rompendone uno dopo l'altro perché gli manca il 'know how' istituzionbale e nessuno glielo ha insegnato e si sono rifiutati di impararlo, malgrado i suggerimenti disperati di Letta.

Loro 'rompono gli indugi', dicono 'basta ai teatrini', 'impongono' il loro verbo becero di campioni degli evasori che le tasse non le pagano perché non è nel loro verbo di 'fare impresa' in modo europeo e 'sono pronti alle elezioni', ma dovranno passare sotto le forche caudine istituzionali e riceverne le bastonate del caso e dovranno accettare le regole costituzionali e i protocolli istituzionali - e possono chiamare a raccolta tutte le piazze d'Italia e spendere i molti soldi rubati col loro 'imprendere' da banditi pagando i pullman e i treni che menano a Roma, ma non cambierà una virgola di quelle regole e di quei passaggi istituzionali e sarà, infine, solo l'evidenza di nessuna maggioranza alternativa -dopo i necessari passaggi parlamentari- a convincere Napolitano della necessità di indire nuove elezioni.

E che il ministro Maroni e quelli della Lega all'unisono si dicano pronti 'in due giorni' ad approntare i seggi non può che farci piacere perché è segno di lodevole efficienza del ministero in questione, ma le modalità e le date delle elezioni che verranno non sono liquido miracoloso che scaturisca dai loro alambicchi e delle provette malamente maneggiate dagli apprendisti stregoni.

lunedì 6 settembre 2010

parole come pallottole

Gli attizzatori dell'odio sociale e del disordine e dello scasso istituzionale, Bossi e Berlusconi, buttano nuova benzina nel fuoco che divampa e coinvolgono il capo dello stato nelle loro beghe e lotte intestine.
Pretendono le dimissioni di Fini perché, a loro dire, 'non è più superpartes' e dire questa cosa di una persona pacata e riflessiva e che ha fin qui svolto in maniera ineccepibile il suo ruolo di presidente della camera dei deputati è manifesta bega e arma spuntata inventata nei laboriosi conciliaboli notturni dai due cervelli più tragici e spaventosi che infettano il nostro vivere civile colle loro sparate.
Sparate, già perché la metafora dello 'sparare' e 'dare l'assalto' e 'aggredire' senza remissione e denigrare l'avversario politico col vigliacco uso dei giornalisti-sciacalli al soldo del satrapo Muammar Bausch el Denar è la sola evidenza 'politica' dei due cialtroni di lotta e di s-governo.

E il capo dello stato risponderà loro che non è questione di sua competenza – come dovrebbe essere a tutti evidente (a parte i tromboni del forum parallelo, laudatores di ogni vigliaccata del loro campione e più realisti del re) – ma l'importante è 'alzare i toni dello scontro', fare rumore perché questo e non altro hanno fatto fin qui e non c'è evidenza di buon governo del paese bensì l'imbonimento continuo di un 'fare' che è solo ordinaria amministrazione e al ribasso per quanto è della scuola e dei precari e delle questioni dell'economia e del lavoro che non c'è.

Benzina sul fuoco: quanta più è possibile per realizzare la spallata e dire ingovernabile la situazione e, quando sarà il momento, milioni di persone in piazza a rivendicare le elezioni subito e la 'sovranità del popolo' : slogans suggestivi e dimentichi delle regole e dei delicati equilibri costituzionali e istituzionali che presiedono a queste tematiche e decisioni.

E' la logica dello scontro totale, della guerra e, quanto a metafore guerresche, quella degli Hutu e dei Tutsi ritorna prepotente e delle 'camicie rosse' tailandesi schiacciate dall'esercito – a ricordarci che 'teniamo cuore africano', tribale, per l'esattezza.

I fucili continuamente evocati da Bossi ce lo rammentano e certe parole e figure retoriche son più che pietre: sono pallottole - che fischieranno, prima o poi.

Che Dio ci aiuti.

domenica 5 settembre 2010

Muammad Bausch el Denar

Egregio signor Fini,

ho seguito con molta attenzione il suo 'discorso di Mirabello' – che è giusto evidenziare tra parentesi perché ha avuto, per buona parte della sua durata, lo spessore di un salto di piano storico, una levata di scudi di quello che, spero, in molti ce lo auguriamo, sia un suo prossimo esercito elettorale ( e non un manipolo) che la seguirà nelle sue future battaglie.

E ci auguriamo anche che non sia un 'salto della quaglia', un saltello buffo, un zampettare e becchettare politico, quale è sembrato emergere dalla nota stonata (una vera e propria 'stecca') che si è ascoltata: quella che offriva al Barabba di lotta e di s-governo da lei fin qui supportato un 'salvacondotto' giudiziario in cambio di una nuova legge elettorale.

Nobiltà di giusti sfoghi i suoi, (più che legittimi dopo il 'trattamento Boffo' che le è stato riservato e l'affondare dei denti cariati dei giornalisti-sciacalli al soldo del padrone di denari sul suo corpo ancora vivo), ma di argomenti politici pochi e tutti dubbi e da verificare - su una scena politica che più vuota e asfittica non si può in quasi tutte le sue componenti.

Torna la politica, è vero, dopo le sue proclamazioni audio-video a reti unificate, torna il dibattito delle idee e i patteggiamenti interni al suo schieramento sulle posizioni diverse, evviva! però ci consenta (oops!) di dirle che ancora ci stupiamo dei lunghi anni di un suo servaggio politico prono a 'attappetato' al cospetto di Sua Prescrizione (il multiprescritto cav. Silvius Berlusconis) in sempiterna attesa di giudizio e sempre bisognoso di leggi ad personam stilate dai due fidi serventi Ghedini e Alfano e di improbabile 'salvacondotti'.

Forse la sua era una tattica, l'attesa del sospirato Delfinato che avrebbe fatto seguito alla Satrapia di Muammad Bausch El Denar e questo già riduce la sua statura morale, la degrada al rango di una vendetta dinastica, ma accettiamo anche questo se saprà condurre la sua battaglia parlamentare e politica fino al punto di mostrarci in catene e bastonato a sangue e in testa la corona di spine prima della Crocefissione del suddetto Bausch El Denar riportato al più consono (storicamente) ruolo di Barabba, miserabile grassatore di democrazia.

La osserveremo con attenzione, dear mr. Fini, nei prossimi giorni e mesi di questa tormentata legislatura, e ci auguriamo di vedere finalmente all'opera una destra capace di tenere alta la bandiera della legalità, del rispetto istituzionale e dell'interesse dei cittadini tutti ad avere giustizia e non amnistie mascherate per il salvacondotto di un solo.

Le auguriamo di salire sempre più in alto (sopratutto elettoralmente) e di soppiantare finalmente quell'umana miseria morale e politica di popolo servo e osannante che si è mostrata sotto lo s-governo di Muammad el Bausch, ma temiamo di coltivare pie illusioni, dato quel che ci capita di leggere in un forum parallelo a questo e in altri siti web.

Pare che gli incensatori di Bausch el Denar, gli ipnotizzati seguaci del suo piffero magico, lo seguiranno all'inferno e faranno fuoco e fiamme prima di essere infilzati di pancia dai diavoli che li lanceranno coi forconi nel girone dei merdosi che spetta loro.

Non la vedo facile davvero e forse dovrà prepararsi a una tornata elettorale drammatica con Hutu e Tutsi che si rincorrerano per le strade e nelle piazze coi machete e i fucili. Che Dio La(ci) aiuti.

la sovranità che apparterrebbe al popolo

'La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme indicate nella Costituzione.' recita il primo versetto (si può dire senza apparire 'coranici'?) della nostra Magna Carta.

E la precisazione è d'obbligo perché è a tutti noto che a destra, la destra populistico-berlusconian-leghista, si pretende che valga solo la prima parte del versetto - e in quel nome altisonante di 'popolo sovrano' si possano pretendere e realizzare tutte le bizzarrie del loro malgoverno satrapico o caudillistico, scegliete voi.

Alt, fermi, tirare il freno. La sovranità appartiene al popolo, ma il presidente della repubblica, sentiti i capi dei partiti che siedono in parlamento, deciderà se si deve andare a nuove elezioni o se affidare un incarico esplorativo a persona dagli stessi designata quale capace di raccogliere i consensi di una nuova maggioranza.
E non c'è barba di destra invettiva che tenga contro un preteso 'teatrino da vecchia politica'.
Così prevede la Carta e così si farà, in caso di dimissioni del premier oggi in carica.

Questa del 'popolo' sovrano e 'santo' e che avrebbe sempre ragione è questione sollevata ieri da uno scrittore, Edoardo Nesi, che ha realizzato con Elisabetta Sgarbi un film-inchiesta sulla cultura, ahinoi spaventosamente bassa, del 'popolo sovrano'.

Scrive Nesi: (…) Alla fine di quelle durissime giornate di riprese mi chiedevo mi chiedevo quale sarà il giudizio che su questi anni (di merda, n.d.r.) daranno i nostri figli/e e che penseranno di noi – noi che scriviamo i libri e i giornali e i saggi e giriamo i films e i documentari degli anni di Berlusconi e abbiamo visto succedere ciò che il film ritrae e non abbiamo mai detto nulla perché è sempre difficile e antipatico e sempre politicamente sbagliato paralre contro il popolo, questo nostro popolo che non ci ascolta.

Il popolo senza cultura e in tutt'altre faccende affaccendato che Nesi e Sgarbi intervistano è il popolo che lo stesso Brecht ai tempi suoi e su sponda 'comunista' omaggiava di uguale 'sovranità' - e l'evidenza è, invece, che il popolo spesso sbaglia, sovente raglia e oggi (con il Barabba piduista al governo) deraglia e fa deragliare, in nome di una pretesa e convenuta 'maggioranza', la stessa democrazia tutelata dalla Costituzione - e non è un caso che sotto attacco dei populisti e dei servi sciocchi del satrapo ci sia proprio la Carta che il Berlusca ha definito 'un inferno' (vedere al proposito la bella vignetta di Vauro in testa al mio blog myblog.ocnarf.it ).

Dovremmo smettere di mitizzare il popolo, perché quel popolo (i nostri padri e i nonni) riempiva piazza Venezia e al balcone, ad abbaiare con le mani sui fianchi e il mento all'insù: 'Volete burro o cannoni?' c'era il più spaventoso essere partorito da ventre di donna dopo Hitler e Nabucodonosor e Pol Pot e, alla fin fine, conviene concordare che 'il popolo' è un'astrazione statistica e, insieme, una drammatica e avvilente rappresentazione di quanto di più infame sia stato scritto all'epoca dei nazionalismi assassini – con un consenso ai regimi più spietati della storia che si voleva 'plebiscitario' o 'bulgaro'.

E conviene leggere, invece, con profonda tristezza, ancora ciò che scrive Nesi: (…) E poi , però, quando chiedevamo loro se leggevano, rispondevano quasi sempre di no (…) che a leggere si annoiano. Che leggevano da giovani e non più. (..) Che hanno un lavoro duro o sono senza lavoro. (…) Che preferiscono 'andare su internet' o guardare la televisione. Insomma nessun libro, zero.
Di quelli che leggevano molti dicevano di leggere un giornale. Cioè 'un' giornale. E le pagine più seguite erano le sportive o le cronache locali. Qualcuno azzardava che leggeva saggi di attualità, storici e politici, ma erano i libri di Vespa. E chi parlava di romanzi citava i libri di Fabio Volo.

Fermate il mondo, voglio scendere.

venerdì 3 settembre 2010

non è l'amore che va via

Ah, l'amore, l'amore! In quanti modi si può dire l'amore! Con l'apostrofo rosa, certo, ma anche con uno sms striminzito, secco secco, tipo 'tvtb', come oggi usa, al posto del troppo aulico e impegnativo 'ti amo'.

E non provatevi a dichiarare i vostri sentimenti e tutto lo scombussolamento che provate con una lunga mail (che rimpianto per le Poste e le buste bianche col francobollo e il postino che suonava il campanello!) perché, dall'altra parte, un imbarazzato silenzio vi farà intendere che non c'è trippa per gatti in amore ed è perfettamente inutile che ve ne andiate sui tetti di notte ad emettere il vostro miagolio disperato che vi viene direttamente dalle gonadi trascorrendo per le vie del cuore.

E sono ben pochi, oggi, coloro che ricordano la fastidiosa afasia del tenentino innamorato a cui Cyrano, nascosto nell'ombra, prestava al sua bella loquela amorosa perché, all'epoca, alle signore/ine piaceva farlo e dirlo fiorito (e non strano) e che raggiungesse gli apogei e le finezze del verso poetico prima di 'darla via' :
'Mignonne allons voir si la rose / que ce matin avait declose / sa robe de purpre au soleil / n'a point perdu cette veprèe...' Bei tempi quelli!

'Il cuore', questo nostro muscoletto così elastico.' chiosava però Woody Allen, - per dirci, a parte i rari casi in cui ci si dà morte volontaria, che riusciamo quasi sempre a farcene una ragione di ogni trascorrere di storia e contro-storia, ad ogni morire e soccombere del sentimento amoroso che ha, per nostra fortuna (o sfortuna), anima di araba fenice.

Ma l'amore si dice anche col silenzio delle emozioni. Che non sono inaridite, ma in sonno, confinate nei ricordi dei fasti e dei nefasti amorosi, e di ciò 'che poteva e non è stato'.

Non è l'amore che va via, canta il bravoVinicio, bensì se ne vanno questi nostri giorni vuoti e pregni di nostalgia per quel sentimento che ci è parso il solo capace di 'dare vita' e sostenerne il senso.

L'amore, si, l'amore. Il cui ricordo ci riscalda il cuore, ma, a microfoni spenti, ti guardi intorno e in tutto quel vuoto che ne consegue annaspi e ti lasci andare in un sonno profondo - lasciandoti cullare da lontane nenie ipnotiche di carovane beduine che attraversano il deserto vuoto di orizzonti.

giovedì 2 settembre 2010

cosa farei se fossi al posto di Fini

Bisogna riconoscere che hanno una grande responsabilità e fanno le cose in grande. I politici di chiara fama come Fini, intendo.

Io non ci riuscirei, al posto loro, e gli riconosco capacità di convincimento e di fede (dottrina no, quella è poca davvero o non appartiene del tutto a quel campo trincerato e agli strani combattenti di mille politiche cause perdute, - fategli un test semplice-semplice e ve ne convincerete) - convincimento e fede, dicevo, che a me sfuggono tra le dita come i rivoli dell'acqua.

Come si faccia a fondare e tenere insieme un gruppo politico, su che basi e promesse di prebende e quali interessi di 'bottega' (ci sono anche questi, certo, e molti cittadini li dicono prevalenti e gli schifano e gli schifa la politica tout court per questa ragione) è cosa che fatico perfino a pensare.

Come faccia Fini a tenere insieme il suo gruppo di combattenti per la libertà e in lotta costante contro gli 'squadristi' della libertà del campo avverso è cosa che mi induce una segreta ammirazione.

Fede politica, la si dice comunemente e, come la fede religiosa, non si discute, ma a uno scettico come me sembra che ad ognuno di quei dessi (i seguaci di Fini) basterebbero e avanzerebbero le briciole di un posto da sottosegretario o la promessa di una prossima rielezione per buttare scudo e lancia e insegne del coraggioso sfidante e passare al più agguerrito e danaroso campo opposto, quello del crudele Serse, il Re di Denari, il Beneamato Leader.
Per dire di che qualità morale e personale dignità li stimo (i cosiddetti politici), ben pochi esclusi.

Se fossi Fini, dopo tutto quel che mi hanno fatto passare - e vedere i sorci verdi che girano per la 'casa di Montecarlo' e dentro i cassetti delle cucine (Scavolini?) ingenuamente acquistate per chissà quale ribalda ragione personale – mi arroccherei in una posizione dura, di ferro: niente 'processo breve' che azzeri i contenziosi giudiziari del maledetto Berlusconi e ogni passaggio legislativo federalista va discusso preventivamente con il mio gruppo – e, se poni la fiducia per sfidarmi, fanculo e dito medio bene in alto come quel giorno glorioso che glielo menava sotto al palco sfidando il generalisssimo con parole ribalde: 'Che fai, mi cacci?'

E di sorci verdi al Berlusconi, ne converrete, gliene ha fatti vedere una quantità fino ad oggi e speriamo che si avveri quella predizione di Sallusti (vice direttore de 'il Giornale') che di Fini dice che aspetta seduto sulla riva del fiume politico per vedere passare la salma del Cavaliere interdetto finalmente, una volta per tutte, dai 'pubblici uffici'.

Ecco, se fossi Fini consumerei le mie vendette tremende fino in fondo, ma quelli del giornale pornografico 'Libero' scrivono, invece, che agita tremebondo bandiera bianca e chiede tregua e pace ed è pronto a firmare la capitolazione. Che abbiano ragione loro e non ci resti altro che fidare su Napolitano e la Corte Costituzionale che affosserà 'lodi' e 'processi brevi' - facendo rodere il fegato ai molti supporters del maledetto Cavaliere che grideranno ai 'maledetti comunisti' annidati ovunque e pronti a 'ribaltare la volontà del popolo?

Volontà che sarebbe, a sentire loro e a bene intendere i loro intelligentissimi e civilissimi distinguo: 'Vogliamo al governo della repubblica un Barabba con mille processi pendenti (o prescritti e da prescrivere a qualunque prezzo) e non ce ne frega una beata mazza della giustizia giusta e del corretto funzionamento dell'istituzione che la presiede e dovrebbe garantirne il funzionamento'.

Papale, papale. Per dire quanto sia 'civico' e 'politico' il loro giudizio di malnati di lotta e di s-governo.