Di storie vere, metafore e sogni - 28 aprile 2017
R.
Kapuscinsky, in un suo libro, racconta di un villaggio africano dove il
vento solleva vortici di polvere e il caldo intenso chiude le persone
nel chiuso delle capanne, ma, come un'apparizione, giunge una jeep dal
deserto accompagnata da un camioncino e un regista conosciuto dagli
abitanti allestisce in velocità coi suoi aiutanti un improvvisato set,
parte una musica e, miracolo! ecco gli abitanti del piccolo villaggio
uscire a gruppi dalle capanne - e prendono a danzare al suono di quella
musica come se un misterioso copione fosse stato distribuito in
anticipo.
L'evento dura
poco più di un'ora e coinvolge l'intero villaggio - donne e bambini
inclusi. Infine il regista e i suoi aiutanti salutano, ripongono le
attrezzature e se ne vanno e torna il vuoto nella piazza e i mulinelli
della polvere e il caldo africano e gli abitanti di nuovo chiusi nelle
capanne in attesa della sera e della notte.
Possiamo
partire da questo episodio e farne una metafora di tutto quanto accade
da noi, in quei villaggi strani e campi profughi improvvisati sotto
l'urto di una immigrazione massiccia e in crescita esponenziale che sono
le nostre caserme requisite allo scopo e gli hotels vuoti requisiti dal
ministero degli interni - e ne seguono le proteste degli abitanti e dei
sindaci contro i prefetti che fanno il lavoro comandato loro dalle
cattive politiche degli s-governi dai quali dipendono e ne sono la
maledetta longa manus.
E
dovremmo narrare - in parallelo alle polemiche sugli incessanti arrivi e
sbarchi dai gommoni e i traghetti delle o.n.g. dai finanziamenti opachi
che li prelevano a poche miglia nautiche dai porti di partenza - di
come vivono quei neri dentro quelle strutture di una assistenza
misericordiosa che ci hanno imposto col grimaldello della pietà e di una
'legge del mare' nata per gli occasionali naufragi e applicata invece,
impropriamente, alle migrazioni bibliche dei migranti economici, alias
clandestini dei naufragi organizzati, che pagano cifre altissime ai
trafficanti di uomini e donne e bambini.
E
dovremmo narrare di cosa fanno tutti quei giovani neri chiusi li dentro
e quali progetti di vita sognano e perché, invece, li vediamo a nugoli
aggirarsi per le strade mendichi o ciondolare a gruppi davanti alle
stazioni e la chiamiamo 'accoglienza', ma ha tutto l'aspetto di una
catastrofe umanitaria che non sappiamo gestire e che ha precipitato le
nostre città nelle narrazioni dickensiane della miseria globale
oscenamente esibita e della mendicità diffusa e della piccola
criminalità urbana che riempie le carceri.
E
avremmo bisogno di un regista che apparisse all'improvviso in queste
nostre città e villaggi globali della mendicità oscena e povertà e
microcriminalità diffusa che ci suonasse un'altra musica e improvvisasse
il flash mob del cambiamento e di una vera accoglienza dove quei neri
per caso degli sbarchi organizzati e profumatamente pagati e che
generano il miserabile business dell'accoglienza italica e delle pelose
o.n.g globali trovassero, invece, un lavoro onestamente pagato e una
casa in affitto come facciamo tutti noi indigeni - ma qui siamo in
un'altra storia e film di una altra epoca futura di cui non siamo sicuri
che i titoli di testa preciseranno che è tratta da una 'storia vera'.