venerdì 29 aprile 2011

malnati,ribalderie,infamie

Abbiamo consumato tutte le parole che servono a dar voce all'indignazione nei confronti di questo nostro tempo di infamia. Abbiamo consumato ogni invettiva, ogni fantasia di rabbiosa rivalsa nei confronti della meschinità e volgarità di questo tempo che ci ospita e di questi epigoni di una umanità ribalda che ci sono concittadini -istupiditi dall'enorme gesto idiota dell'aver dato vita in cabina elettorale a questa tragedia-farsa del berlusconismo ridanciano e cialtrone, dall'aver consegnato/condannato il paese alle mene e schifose facezie di un Barabba puttaniere protagonista impunito di ordinarie cronache di squallore.



Non abbiamo più parole che sappiano descrivere l'abiezione e lo scoramento per questo italico scavare nel fango, andare oltre il fondo, bere la feccia di questa malvagità imbecille che ha portato a galla e in turpe evidenza le deiezioni mentali di milioni di concittadini ilari e che si fregavano le mani dopo aver saputo che il loro misfatto elettorale era andato a buon fine e, da allora, è stata cronaca avvilente del peggio del peggio che un popolo sappia esprimere specchiandosi nei comportamenti e nelle menzogne a getto continuo del loro campione di denari.

Non sappiamo se ci sarà una fine a noi visibile a questo tempo di infamia, però sappiamo predire senza possibilità di errore tutto il male che ne conseguirà per questa pretesa nostra democrazia malata. Una democrazia esposta ad ogni vento di ribalderie anti costituzionali e di filiazione piduistica che non ha saputo partorire per tempo una legge sul conflitto di interessi di stampo europeo ed è collassata nel buco nero del berlusconismo abbietto e oggi è vilipesa e derisa in Europa e nel mondo e additata al giusto ludibrio dei luoghi comuni pizza-spaghetti-berlusconi-bunga-bunga.



E si mostrasse un segno, uno solo, del ravvedimento operoso di quei malnati e sciagurati elettori che, invece, si sono arroccati nella loro vigliacca arroganza e ridicola pretesa di aver salvato il paese da chissà quale loro comunismo immaginario -e davvero le invettive stupide del loro campione di infamia contro i giudici-comunisti, gli insegnanti-comunisti, i lavoratori del pubblico impiego-fannulloni sono lo specchio di una comunanza di pensiero, di una identità malata nell'anima che imputridisce ogni giorno vieppiù ed emana i miasmi infettivi che ci ammalano e invano proviamo a disperdere.

martedì 26 aprile 2011

scherzare coi santi

Di certo quelli della Curia romana preferiscono 'Angeli e demoni' ad 'Habemus papam'.

Perché, fatte salve le difese d'ufficio sulla probità e assoluta santità di intenti dei suoi membri – Marcinkus compreso, povera vittima- 'Angeli e demoni' ha il pregio di sollevare a dignità di fantasie eroiche e di drammi infernali ed eterni quel che 'Habemus papam', invece, descrive come la serena e divertente commedia di un gruppo di anziani porporati costretti, ad ogni morte di papa, a chiudersi in conclave e mettere la diligente crocetta sul nome di un 'papabile' dignitoso e decente che possa farsi carico dell'arduo compito di reggere le sorti della Chiesa apostolica e romana.



E se capita – come capita nel film - che il prescelto non sia o non si senta all'altezza del compito son drammi esistenziali, però risolti in santa e divertente rassegnazione. A parte il 'non possums' finale, pronunciato dal bravissimo Michel Piccoli, tra contrazioni e spasmi dei muscoli del viso dei porporati che lo circondano, perchè un tal dramma nella vita della Chiesa si è dato così raramente da costituire un confronto drammatico e spaventoso col Celestino V che 'fece il gran rifiuto' e gettò nel panico i porporati di allora e ri-scatenò le guerre di fazione tra chi complottava con l'Impero e chi difendeva a spada tratta il Papato.



Un lotta mortale che oggi non si da, per fortuna nostra e la fortuna del film -che può esilararci colla figura dello psicanalista condotto in conclave in gran segreto, ma incapace, per le note opposizioni ecclesiastiche e curiali ai sogni, al sesso, e alla colpevolizzazione dei genitori, a risolvere il dramma del papa Melville, che vagherà per Roma, come vagavano certi imperatori e re in incognito, scoprendo le semplici cose che noi umani ben conosciamo e amiamo, ma un papa doverosamente ignora (per quanto, troppo spesso, vi 'pontifichi' sopra ignorando la materia del contendere).



Un film magistrale, bello e divertente e recitato benissimo. E un Michel Piccoli e un Moretti (regista) da oscar. Andate a vederlo.

sabato 23 aprile 2011

resurrezioni e gratitudini

Organizzo la mia personale raccolta differenziata e mi capita fra le mani un volantino con la faccia del Cristo. Che ti salverà dai peccati, dice, e, se vuoi sapere come, presentati nel tal posto alla tal ora. Cosa saranno mai i peccati, mi vien fatto di pensare. Da piccolo, a dottrina, mi elencavano una sfilza di cose ingenue e ridicole, incluso il rubare le caramelle dalla dispensa, ma il grosso venne con la pubertà, ed era il sesso, in tutte le sue salse e diverse pulsioni e coazioni, (masturbazione, condivisione vera o sognata, pensieri impuri, ecc.) a riempire i manuali dei 'padri' confessori con annesse penitenze da comminare e giaculatorie 'pateravegloria' da recitare.

Come diavolo è entrato in casa mia questo 'santino'-volantino, mi chiedo. Ma domani è Pasqua , e, si sa, quelli delle parrocchie si danno un gran daffare intorno alla cassetta delle lettere per ricordarci l'Evento e chiedere l'obolo per le sante cose organizzate dai preti.

Chissà che cosa è successo davvero, in quel santo sepolcro della Palestina. Sottrazione di cadavere da parte degli stessi Romani che volevano evitare che di quel morto crocefisso ne facessero un martire e un simbolo di riscossa popolare, chissà. Di Resurrezione anima e corpo in aerea levitazione verso chissà dove neanche a parlarne. Nessuna persona sensata si azzarderebbe a dire un tale fenomeno possibile e, tuttavia, le nostre chiese sono piene di quadri di valenti pittori di ogni epoca che mostrano il Cristo o la Madonna in Ascensioni celesti con codazzo di putti e angiolini grassocci e sorridenti.

E 'buona pasqua' ci diciamo l'uno verso l'altro a ripetizione come una giaculatoria di cui abbiamo perso il senso e 'auguri, auguri' -che mi ricordano tanto gli àuguri dei pagani e altro non erano che esorcismi e 'divinazioni' verso tutto quanto di male e di incerto è contenuto negli accadimenti delle nostre vite e vorremmo evitare.

Vabbuò, cari/e, per quel che vale e significa, aggiungo il mio augurio di Buona Pasqua a tutti, che vogliate risorgere in Cristo oppure no, e se vi avanza tanto da darmi una spiegazione plausibile di come avverrà la cosa nella valle di Giosafatte quando verrà quell'ora e come ci riconosceremo con tutti quei corpi putrefatti o combusti che riprenderanno forma da sotterra e che dovremo tirarci dietro nell'eternità (chissà dove, chissà dove), beh, ve ne sarò davvero grato.

martedì 19 aprile 2011

Un argine costituzionale al malaffare di lotta e di s-governo

Un argine costituzionale al malaffare di lotta e di s-governo




Il Quirinale in campodi GIUSEPPE D'AVANZO
Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano

DINANZI alle parole violente e alle iniziative aggressive di un uomo che ha preso dimora stabile nell'inimicizia, si attendeva una parola saggia del presidente della Repubblica. Una parola che potesse indicare a tutti - e soprattutto a Silvio Berlusconi - un limite. Il confine insuperabile per una democrazia e per le istituzioni che la governano prima che quell'inimicizia privatissima e ostinata e ossessiva le distrugga. Prima che la stessa identità del sistema diventi rovina, macerie.

Quella parola saggia ora è arrivata dal Quirinale. Con una lettera al vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Giorgio Napolitano ha deciso di dedicare "il Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi" (il 9 maggio) ai servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la loro lealtà alle istituzioni repubblicane. "Tra loro - scrive il capo dello Stato - si collocano in primo luogo i dieci magistrati che, per difendere la legalità democratica, sono caduti per mano delle Brigate Rosse e di altre formazioni terroristiche".
Ricordiamone i nomi: Emilio Alessandrini, Mario Amato, Fedele Calvosa, Francesco Coco, Guido Galli, Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Vittorio Occorsio, Riccardo Palma e Girolamo Tartaglione.

Non c'è alcun convenzionalismo nella mossa del Capo dello Stato. Napolitano non tace le ragioni più autentiche della sua scelta. Che è esplicita e suona come un atto di accusa contro chi, come il capo del governo, da settimane aggredisce, insinua, minaccia, ingiuria, calunnia cianciando di "brigatismo giudiziario", premessa politica - e mandato morale - per un figurante, candidato a Milano nella lista del Pdl, che ha fatto affiggere manifesti che diffondono, con gran dispendio di mezzi, la stessa convinzione del premier: "Via le Br dalle procure".

"La scelta che oggi annunciamo per il prossimo Giorno della Memoria - scrive Giorgio Napolitano - costituisce una risposta all'ignobile provocazione del manifesto affisso nei giorni scorsi a Milano con la sigla di una cosiddetta "Associazione dalla parte della democrazia". Quel manifesto rappresenta una intollerabile offesa alla memoria di tutte le vittime delle Br, magistrati e non. Essa indica come nelle contrapposizioni politiche ed elettorali, e in particolare nelle polemiche sull'amministrazione della giustizia, si stia toccando il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazioni. Di qui il mio costante richiamo al senso della misura e della responsabilità da parte di tutti".

Napolitano indica un confine, abbiamo detto. Si può dire, un primo limite, un primo confine alla "strategia del ricatto" che Berlusconi ha inaugurato per rendersi immune dai processi che possono svelare quanto corrotta sia stata la sua avventura imprenditoriale (Mills) e quanto disonorevole e ricattabile e irresponsabile sia la sua vita di capo del governo (Ruby).

Il dispotico egomane pretende di essere "tutelato", come dice. Strepita, gesticola, urla, aizza rumorose pattuglie di comparse a pagamento. Esige che il Parlamento diventato cosa sua, proprietà personale, approvi leggi che lo liberino dalle accuse, dai processi, dai giudici di Milano: le manifestazioni che organizza dinanzi al palazzo di giustizia palesemente vogliono costruire le condizioni di un trasferimento dei dibattimenti in un'altra sede "per gravi motivi d'ordine pubblico", un espediente per allontanarlo dal giudice naturale. La prescrizione ancora più breve (approvata alla Camera, ora al Senato) non gli può bastare. Reclama che anche il processo per concussione e prostituzione minorile sia sospeso in attesa che la Corte costituzionale decida se il Parlamento può stabilire contro i giudici la "ministerialità" dei reati contestati al Cavaliere. In caso contrario, una nuova legge è già pronta. Per condizionare le volontà della magistratura, influenzare le scelte della Consulta, ottenere (come dicono spudoratamente gli araldi del potere berlusconiano) un impegno di Giorgio Napolitano "in una sorta di moral suasion sulla Corte costituzionale, chiamata ad esprimersi", il premier spinge la riforma costituzionale della magistratura; la responsabilità civile delle toghe; la legge bavaglio sulle intercettazioni; l'introduzione del quorum dei 2/3 per le decisioni della Consulta che abrogano una legge per incostituzionalità. Berlusconi le chiama "riforme". Sono soltanto le poste del ricatto che egli lancia contro le istituzioni della Repubblica. Il programma, dimentico delle vere necessità di un Paese in crisi abbandonato al suo destino da un governo fantasma, ha un solo obiettivo: mostrare come il premier sia disposto - se non ottiene la "tutela" immunitaria - a "decostituzionalizzare" la nostra democrazia, come dice Stefano Rodotà, ribaltandone i principi, le regole, gli equilibri, i poteri.

Napolitano è il primo e più autorevole ostacolo a questo disegno ricattatorio. Dovrà decidere della ragionevolezza della prescrizione breve. Giudicare l'esistenza di una palese incostituzionalità di un riforma del pubblico ministero che affida a leggi ordinarie - e quindi a chi governa momentaneamente in Parlamento - materie oggi protette dalle garanzie della Carta fondamentale. Difendere l'indipendenza della Corte costituzionale dalla longa manus del potere politico. Vigilare sui diritti dell'informazione. Le sagge parole di oggi, ricordano a chi vuole screditare le istituzioni e ribaltare l'equilibrio democratico che c'è un limite oltre il quale si manifestano "degenerazioni" che egli non tollererà. A Napolitano è toccato in sorte il più ingrato dei ruoli politici. È il custode della Costituzione. È chiamato a difenderla e proteggerla da partiti e uomini che, in quella Costituzione, non credono; che quella Costituzione disprezzano e umiliano. È la condizione estrema in cui si trova il nostro presidente della Repubblica. Avrà bisogno del sostegno di tutto il Paese per affrontare i conflitti che lo attendono.


(19 aprile 2011)

domenica 17 aprile 2011

l'inferno non esiste più

Trionfa, sui settimanali americani, una storica querelle di gran peso -sopratutto tra le generazioni over60, che furono parecchio libertine e spudorate: 'L'inferno esiste?' Bella domanda.
Se, in un tempo assai lontano, su tanta, esiziale, questione veniva convocato un Concilio e, a tamburo battente, si lanciavano gli anatemi e le scomuniche sui miscredenti e li si bruciava sui roghi, oggi si lancia un sondaggio.
Bellezza dei tempi moderni! La maggioranza degli aventi diritto ha votato per la tesi ardita di un reverendo americano che l'inferno non esiste e, invece, tutti, ma proprio tutti, avremo il nostro bel posticino in Paradiso. Compresi ladri, assassini, puttane, premier puttanieri, Mussolini, Hitler, Stalin e Pol Pot. E perfino Serse e Nabucodonosor. Alleluia!
Come dite? Alleluia una beata mazza? Sarebbe a dire che vi sentite privati di un posto tristo dove son grida, pianti e gran stridor di denti? Si, cioè no?
Ha, ho capito! Non vi va giù che restino impuniti quei tali di cui alla lista soprastante! Beh, non so darvi torto.
In fin dei conti l'inferno era una soluzione, vero o non vero che fosse.
Serviva a statuire un castigo, brandire una pena (e che pene! Se stiamo alle descrizioni dantesche siamo fritti e impanati). Serviva a stabilire che non la puoi fare franca, caro mio, se rubi ammazzi, corrompi, ti compri i parlamentari che ti mancano e spacci un tale miserabile commercio per democrazia, gestisci una dittatura, apri dei gulag o dei lager e ci metti dentro chi ti pare, secondo il ghiribizzo tuo personale o ideologico di turno.
E non si può far senza l'idea di un castigo per i colpevoli di reati gravi e gravissimi, non lo possiamo cassare per sondaggio o per decreto. Sarebbe come dire al giudice che ti punisce dopo regolare processo: 'Marameo, io me la filo e della tua condanna non m'importa un fico, tanto è stata abolita la pena.'
Come dite? Che è esattamente quello che sta facendo l'esimio nostro premier, cavalier Silvio Berlusconi, coi suoi processi e i suoi giudici – rinchiusi nei lager mediatici di un oltraggio e di una delegittimazione continua? Avete ragione, non ci avevo pensato.

L'inferno non esiste da gran tempo ormai; da che Lui, il Barabba Impunito, Sua Prescrizione, è sceso in politica e si è comprato i consensi necessari a fare e disfare le leggi secondo i suoi bisogni processuali e ghiribizzi personali. E, secondo i suoi sondaggi e i suoi giornalisti di famiglia, l'inferno è comunista e va cassato per decreto con o senza la contro-firma di Napolitano -e i maledetti diavoli-p.m. vanno castigati, togliendo loro ogni strumento e potere di indagine. E saranno prepensionati quanto prima e, se gli ispettori di Alfano lo decideranno, gli verrà pure decurtata la pensione.
Vedi mai che si risparmino per questa via un sacco di soldi dei contribuenti.

Quell'uomo è un genio dell'antipolitica. E il suo prossimo slogan elettorale sarà: L'inferno non esiste più. Meno p.m. e meno processi per tutti.

venerdì 15 aprile 2011

di storture e di altre bazzecole

Mi capita di immedesimarmi nelle vite di chi incontro e, ieri, era, un ragazzo che, da dietro, si muoveva strano, come avesse un difetto di colonna, ma poi il viso rivelava per intero il suo 'andare storto' lungo l'intera sua esistenza. Storceva la bocca e gli occhi e quegli spasmi rivelavano una sofferenza di vivere rimasticata nei sogni e rinnovata all'alba di ogni giorno che Dio manda in terra -e avevano ragione gli antichi a chiedere 'Dio, perché tanto Male?', levando i minacciosi pugni e gli occhi rabbiosi al Cielo delle nostre sventure.

Ma è un fatto di gradazione di storture per ognuno di noi.
Di vite 'dritte', positive, tutte talenti e creatività, se ne contano e vedono poche e quelle poche ci illuminano di speranza che, prima o poi, 'tocchi anche a noi poveri / la nostra parte di ricchezza...(E. Montale). E ci sono artisti che non sfondano e non si affermano, malgrado l'arte loro sia pregevole e buoni scrittori che, del pari, restano al palo. Ed è anche vero che, se non possiedi talenti, c'è poco da coltivare e 'metterli a frutto' -come suggeriva il Cristo nei suoi apologhi, invece di seppellirli- e il marinaio Corto Maltese rilanciava il concetto da par suo affermando in una delle sue strip: 'Viagiar descanta. Ma se uno parte mona, torna mona.'
E così torniamo alle vite storte e al dolore di vivere.

Alcuni di noi si confortano col ripetersi la frase consolatoria, buona per tutte le terapie antidepressive: 'Non pensare troppo spesso a ciò che ti manca, bensì a ciò di cui disponi e puoi godere' - che, se non fosse troppo lunga, potremmo consigliarla alla Perugina per le cartine interne ai suoi famosi 'baci'.

Nasciamo 'storti', dicevo, o lo diventiamo in corso d'opera e il 'legno storto dell'umanità' è intuizione famosa, da che Kant la formulò e mai ci è riuscito di raddrizzarlo perché osta il concetto stesso di 'stortura' – che per ognuno è diverso e voi sapete bene che, per me, i berlusconiani sono storti e spinosi peggio dei rami del giuggiolo e, di certo, giunti a maturazione, non maturano il prezioso frutto, bensì offrono i loro rami spinosissimi ai Giuda (parlamentari) che si decidono, finalmente, a impiccarvisi.

E a nulla vale levare orazioni e preghiere indirizzandole di là del Cielo perché, (ci è noto fin da quando lo rivelò Yuri Gagarin nel corso dei suoi peripli oltre la stratosfera), nessun Empireo celeste si disegna 'di là dei bastioni di Orione' e pare proprio che 'siamo soli nel Cosmo' e, se anche ci fosse qualcuno, disdegna il farsi vivo e il rivelarsi a noi perché ci ha osservato molto a lungo e teme che esporteremmo le nostre ineliminabili storture ataviche in altri pianeti e galassie.

mercoledì 13 aprile 2011

nel caso ve lo foste perso

La finzione di Berlusconi in aula
"I pm lavorano contro il Paese"
Lo show del presidente del Consiglio in aula e poi fuori dal Tribunale. "I magistrati sono ormai un'arma di lotta politica". E sul caso Ruby: "L'ho sottratta alla prostituzione"
di GIUSEPPE D'AVANZO

Berlusconi davanti al Tribunale di Milano

L'homme d'Etat entra in aula dalla porticina laterale. Ha gli occhi bui, la faccia contratta. Seminascosto, si trattiene sulla soglia quasi in apnea, prima di affrontare l'emiciclo della grande aula. Silvio Berlusconi s'acconcia la cravatta; sistema la giacca sul ventre; distende il viso raggrinzato in un sorriso stereotipato.

Dicono che sia il massetere a fare quel repentino prodigio. Chiedo che cosa è il massetere. Mi rispondono che è un muscolo della faccia, corto e solido, a ridosso della mandibola. Chiedo: bene, ma che cosa c'entra il massetere con il sorrisone che il premier esibisce ora che attraversa trasversalmente l'aula da sinistra verso destra? Mi rispondono che il segreto del suo sorriso inalterabile, di pronto impiego è in quel muscolo, il massetere. Lo controlla come il dito di una mano. Lo irrigidisce a comando, dicono, sollevando appena e senza sforzo il lato destro della bocca e il gioco è fatto perché il volto e gli occhi "si dinamizzano", coinvolgendo tutto il viso. Sarà il massetere allora a mostrare del Cavaliere la finzione di una fisionomia spensierata, quasi di buonumore. Messa su quella, si può far vedere finalmente dal pubblico scarso; dai giornalisti numerosi; dalla corte degli avvocati in toga; dai pubblici ministeri con il capo chino sulle carte che hanno sul banco, per non dargli soddisfazione.

Berlusconi simula serenità, quasi una indifferente euforia. Stringe mani come se tutti gli avvocati fossero convenuti lì per salutarlo e proteggerlo; tutto il

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pubblico per incoraggiarlo; tutti i giornalisti per celebrarlo. Si fa incontro ai procuratori che lo accolgono freddamente. Come un primo attore che non vuole perdere il proscenio, ripiega verso i banchi, le seconde, terze, quarte file degli avvocati. Già guarda sottocchio il suo vero obiettivo, i giornalisti laggiù in fondo. Saranno loro il megafono che documenterà, come ha promesso, la volontà del presidente del Consiglio di farsi processare: "Non ho nulla da temere che le accuse contro di me sono inventate". Con un paio di passi rapidi è già davanti allo scranno che separa i cronisti dagli avvocati. Berlusconi ha pronto il consueto flusso verbale da incantatore da fiera. Sa di poter cavare il massimo del profitto da quelle operazioni vocali sulla psiche degli italiani. Domina l'arena mediatica e la stregoneria gli riesce sempre. Finora la platea l'ha bevuta. La ripete. Da sciocchi attendersi self-restraint. Ha in mano il controllo pieno di buona parte dell'informazione, è naturale che voglia adoperarla pro se e senza risparmio, soprattutto quando i tempi per lui si fanno difficili. "Invece di governare, sono qui..." dice e, con autocompianto posticcio, fa spallucce da uomo rassegnato, dimentico che imprese e sindacati, docenti e studenti, Comuni e Regioni, Nord e Sud, Europa e Africa, hanno in mano la misura dell'inettitudine della sua leadership e, chiara, la sincope del suo governo. Parla, parla, parla senza una pausa. "Sappiamo che questi sono processi mediatici. Non riesco a capire come un presidente del Consiglio si possa trovare davanti a una situazione come questa con accuse che sono infondate e demenziali. Solo invenzioni dei pubblici ministeri staccate completamente dalla realtà".

Implacabilmente, ogni frase è un luogo comune. Mai un fatto, mai un evento, mai un argomento. Soltanto ideologia. Se ne avesse - di argomenti - discuterebbe nel processo perché il processo nasce per quello: macchina retrospettiva, stabilisce se qualcosa è avvenuto e chi l'abbia causato; accusa e difesa formulano delle ipotesi; il giudice accoglie la più probabile, secondo i canoni. Quale migliore opportunità di mostrare i suoi motivi, di illustrare finalmente le ragioni insuperabili che dice di avere in tasca. Niente, non ci pensa. Lui non ci casca: i fatti gli sono sempre scomodi.

Il massetere ora sembra allentato. Il volto mostra ira, quasi un tenace furore quando la logorrea farfallina cede all'umore, alle viscere. Sembra che si afferri il vero volto del Cavaliere, sempre accortamente nascosto nella perfomance mediatica. Condanna e ghigna perché il canovaccio che gli hanno preparato (o che si è preparato) ora affronta non più il suo processo, ma chi lo ha promosso. "La magistratura oggi è come un'arma di lotta politica e per questo bisogna riformare la giustizia". Gli chiedono: riforma della giustizia o riforma del pubblico ministero, presidente? Niente. Finge di non sentire e tira innanzi con il sermone. Non ammette interlocutori né domande né intoppi al monologo. Ribadisce la lezione imparata (a memoria): "La riforma che il governo intende approvare non sarà una riforma punitiva, ma servirà per riportare la magistratura a quelle che deve essere, non quello che è oggi: ripeto, è un'arma di lotta politica e questo non funziona".

Prende fiato per un attimo. Si riesce a mettergli lì tra i piedi il "caso Ruby". Il comizio ha ingrassato il suo Io e il sentimento narcisistico d'onnipotenza si divora ogni prudenza confermando una regola: quando gli capita di affrontare la realtà e di parlare di fatti si confonde, si contraddice, reinventa senza cautela, si autoaffonda. Offre un'altra versione (l'ennesima bugia, prima o poi bisognerà dare conto dell'intero repertorio) di come andarono le cose in questura nella notte tra il 27 e il 28 maggio 2010. "Io ho chiesto un'informazione con la mia solita cortesia, preoccupato che la situazione potesse dar luogo a un incidente diplomatico. Mi hanno detto che non era egiziana ed è caduto tutto". È spudorato. Sa (e ora lo sanno tutti) che quella notte non ci fu soltanto una telefonata, ma ripetute telefonate. Voleva che liberassero la sua concubina; la disse "nipote di Murabak"; pretese che la consegnassero a una sua incaricata (Nicole Minetti). Il capo del governo lo ha ribadito alla Camera reclamando il conflitto di attribuzione per sottrarre il processo a Milano: "Ho evitato una crisi internazionale, credevo che fosse la nipote di Mubarak". Parlamentari servili gli hanno creduto e ora il malaccorto lascia tutti di princisbecco: quella notte ho saputo che non poteva essere la nipote di Mubarak perché mi dissero che era marocchina!

L'Imbroglione cucina un'altra frittata quando racconta l'aiuto offerto a Ruby. "L'ho aiutata e le ho dato perfino la chance di entrare con una sua amica in un centro estetico. Doveva fornire un laser antidepilatorio. Costava, se ricordo bene, 45 mila euro anche se Ruby dice che gli euro erano 60 mila. Così ho dato l'incarico di darle questi soldi per sottrarla a qualunque necessità, per non costringerla alla prostituzione, ma per portarla nelle direzione contraria". Berlusconi non si rende conto che le sue parole confermano quale fosse l'esclusiva fonte di reddito di Ruby, prima e dopo gli incontri di Arcore.

Lo portano via prima che faccia altri danni a se stesso e alle troppe frottole che ha distribuito negli ultimi tre mesi. Conclusa l'udienza, si rimette al lavoro. No, al processo non pensa. Pensa di nuovo ai giornalisti. Affida loro un'altra omelia. "Questa mattina ho sentito dei testi e ne vengo via con l'impressione abbastanza drammatica del tempo che si perde su delle accuse che sono frutto soltanto della fantasia di certi pubblici ministeri. Incredibili questi processi, che sono soltanto processi mediatici fatti per buttare fango sull'avversario politico, che si considera un nemico da eliminare perché è l'unico ostacolo alla sinistra per tornare al potere". Liquida l'accusa con un farfuglio che non ha né capo né coda. "L'accusa è che io sarei stato socio occulto di un'azienda che vendeva diritti a Mediaset. Questa azienda si è appurato che ha pagato al capoufficio acquisti di Mediaset 21 milioni di cresta per farseli comperare. I diritti venduti in un anno sono stati 30 milioni di dollari. L'accusa è che io sarei stato al 50% di questa azienda. Allora, io sarei stato così stupido da pagare la metà di 21 milioni al capoufficio acquisti della mia azienda a cui avrei potuto fare una telefonata dicendogli: "Entro stasera alle 6 devi firmare questo contratto di acquisto". Ma questa è solo la prima delle cose paradossali. La seconda è che questo capoufficio acquisti era lì in una struttura che comperava diritti per mille milioni di dollari all'anno, quindi quei ventuno milioni li pigliava per trenta milioni di acquisti all'anno per diversi anni. Qual è quell'imprenditore che è così folle che può tenere per più anni a capo dell'ufficio acquisti della sua azienda un corrotto che acquista dei diritti per la sua azienda e si fa pagare una cresta a danno dell'azienda? Non c'è imprenditore al mondo che possa fare una cosa del genere. Un signore che conosco aveva saputo che un suo parente faceva la cresta dell'acquisto delle carote e lo ha licenziato".

Alzi la mano chi ci ha capito qualcosa. In ogni caso, le sue ragioni avrebbe potuto spiegarle ai giudici nel processo. Erano lì. Lui era lì. La cosa si poteva combinare con il comodo di tutti. No, il Cavaliere ostinatamente muto (e assopito) durante le udienze, diventa un incontenibile parolaio fuori del processo, a udienza chiusa. Quel che conta per lui è lo show. Il modello è la fiera. A Berlusconi bisogna dare soltanto il palco e un pubblico adorante. Se il pubblico non lo è, Berlusconi tracolla, ondeggia. Il potere dell'adulazione è incalcolabile e rende cieca anche la persona più intelligente. Abituato alla riverenza e alla corvée servile offerta dai coatti che attendono un premio, un onore, una poltrona, lo scuote anche soltanto un'interruzione. Il suo Io ipertrofico non ammette interlocutori né - naturalmente - una domanda. Porgliela rivela il suo stile (le style c'est l'homme). Le parole che butta come una fontana si fanno viscerali fino all'invettiva e al ringhio. Una domanda (lo portano via di nuovo e di peso) lo fa ancora scappare verso luoghi più protetti: in strada, davanti a un paio di centinaia figuranti. Ora tra gli applausi, può celebrare, in un delirio narcisistico, se stesso, le sue virtù, la sua vita e aizzare i campioni della libertà contro la magistratura "nemica dell'Italia".

L'ultimo atto della giornata sarebbe triste e grottesco se non facesse paura. Quest'uomo, prigioniero delle sue ossessioni, inabile a dire la verità, sempre più chiaramente vuole spingere il Paese in un conflitto fatale soltanto per salvare se stesso.

(12 aprile 2011)



p.s. i sostenitori del caimano che osano mostrare la faccia (IMG:http://dirittidoveri.myblog.it/media/01/01/110815419.jpg)

domenica 10 aprile 2011

la pioggia e la grandine

C'è uno strano luogo comune che viaggia tra le genti 'di destra'. Dicono che la sinistra è una congrega di intellettuali 'salottiera'; detestano 'i salotti' e chissà che se ne fanno del loro, salotto e tinello che sia, chi ci invitano e che spaventose cose si dicono quando convocano gli amici per un tè coi pasticcini o una sana fumata di gruppo in barba alla legge-Sirchia e alle normative anti cancro.

Perché, se quel che si legge nei loro forum é moderato dal ricordo dell'imperativo dei bravi maestri d'antan nel corso delle gite scolastiche: 'Ragazzi/e, comportarsi bene! non facciamoci riconoscere!' figurarsi quel che esce da quelle bocche berlusconiane nel chiuso delle riunioni e dei salotti di destra – e forse la barzelletta oscena che ha raccontato il loro idolo ai suoi fidi amministratori regionali e comunali è la cosa più carina e presentabile, dati i tipi buzzurri e burini che in quei salotti e tinelli si radunano: veri 'machi' e 'bauscia' sbrigativi e decisionisti che sprezzano le 'mezze calzette' e gli intellettuali 'signorine' e, per un di più di offesa sanguinosa, 'comunisti'.

Ma, forse, quei tali usano la parola 'salotti' (e mai che qualcuno mi inviti, a me, in quei mitici salotti, e ne avrei di cose da dire e sottolineare, e invettive e reprimende fiorite!) solo per contrapporli alla 'fabbrichètta'o all'altrettanto mitico 'capannone', dove loro, i destri sbrigativi e che 'ma vai a laura!!' rivolto agli intellettuali-femminucce e perdigiorno, costruiscono il futuro del Belpaese a botte di evasioni fiscali pretese e garantite dai fidi commercialisti e assunzioni in nero e nessun rispetto delle normative anti infortunio.

Viviamo (e ci contrapponiamo) di luoghi comuni, che volete farci, e i mitici salotti forse ce ne un paio tra Milano e Brera degni di quel nome e di quelle invettive idiote, mentre di capannoni e fabbrichette in profumo di evasione fiscale e contributiva sono piene le periferie di ogni città italica e la battaglia è impari e hai voglia di fargli notare l'impresentabilità sociale e politica del loro Campione di Denari e lo schifo della sua idea di democrazia parlamentare comprata coi soldi elargiti ai miserabili giuda confluiti nel gruppo dei 'Responsabili'.

Non c'è competizione e/o 'convinzione' di buoni argomenti espressi in un corretto italiano che funzioni con quest'umanità berciante nei talk show col solo fine di zittire l'avversario e provocare il finale rigetto e cambio di canale al telespettatore.

Se gli immigrati che arrivano a barconi stracolmi sono 'come la pioggia', loro, i bauscia dei capannoni e delle fabbrichette sono la grandine che sempre ci affligge quando si addensano le nubi nere delle tempeste sociali.

Levare gli occhi al Cielo e pregare che passi presto e senza troppi danni per le colture e i giardini fioriti coltivati con tanto amore. Amen e così sia.

la pioggia che cade su di noi

Sono sempre più visibili i marginali, qui in città: musicanti balcanici che si stringono a coorte e dividono la carta dei salumi e i panini e sembrano non essere in competizione tra di loro per gli spazi dove improvvisare le musichette di pronto consumo turistico - e si osservano i grassi rom che pietiscono l'obolo agli angoli delle strade con giaculatorie miste a maledizioni nella loro lingua, ma si ripropongono, qualche ora e qualche campo più in là, col cellulare all'orecchio, che il mio è preistoria, seduti sulle panchine che fumano e discorrono sereni tra di loro.

E ascolto reportages di grandissimo interesse di una giovanissima free lance dalla Grecia che ci aggiorna sul flusso dei migranti: come vivono sui vagoni dei parcheggi ferroviari alla periferia di Patrasso e accendono fuochi e scappano e vengono inseguiti e 'sono come la pioggia' -come le raccontava con bella e poetica metafora una ragazza afghana- e, se anche si costruirà il muro tra Turchia e Grecia per ostacolare il loro afflusso, continueranno a bagnarci e infradiciarci perché quella di emigrare è la loro vendetta storica sul 'primo mondo' che ha costruito il suo modello di sviluppo sullo sfruttamento della forza lavoro a basso costo e le materie prime pagate una pipa di tabacco.

'La pioggia cade su di noi' era l'incipit di una vecchia canzone e davvero 'piove sul bagnato'; e, se la Comunità europea finanzia quel progetto del muro tra Turchia e Grecia, significa che riconosce la necessità di apprestare le difese anti pioggia, anti alluvione, anti tracimazione – già, perché riconoscere i diritti dei cittadini europei ai nuovi migranti, al numero altissimo di loro che 'ce la fanno', è un costo notevole per i bilanci degli stati (pensate alla sanità) e, in un momento di tagli al bilancio severi e generalizzati (cultura, scuola, sanità), vi è una quota parte di concittadini che rognano e mugugnano e danno ragione al citrullo della bassa padana che sibila davanti ai microfoni 'foera dai ball', ma non spiega come si fa – con che mezzi e strumenti e provvedimenti e costi (già, perché costa parecchio alle casse dello stato anche il rimpatriarli) a non farci bagnare da tutta questa poetica pioggia che 'cade su di noi'.

venerdì 8 aprile 2011

echi dai forum

Citazione:






Vado. Giuro che anche da la' mi terro' in contatto con voi. Ma vado.Mi anagrafo. Sentite qua :

Chiapas. Regione abitata da una tribu' Maya ( questa, questa, è la mia !) . Si chiamano TZELTAL. Possiedono una caratteristica, studiata da tutti gli antropologi ed accademici, piu' unica che rara : ignorano completamente il concetto del vero e del falso.Perchè a loro non serve. Benchè tra grandi e piccini intercorra lo stesso complesso chiacchericcio che si leva a ogni istante da ogni punto del globo, il comportamento individuale si basa su cio' che gli altri "fanno" , non su cio' che "asseriscono"e, secondo la studiosa Penelope Brown , che li ha osservati a lungo, vivono benissimo ugualmente, no, di piu', assai meglio di noi . Il concetto di verita' è irrilevante in quanto completamente ozioso. I fatti e basta. Non è meraviglioso ?

P.S del Conte di st. Germain : Grazie alla cara Claudia Arletti.


E' intrigante la tesi del nostro Jfk. E sembra formulata con sincero accoramento per 'ciò che poteva essere e non è stato'. Cioè lasciar lavorare Berlusconi allo s-governo del paese ad onta del suo essere un Barabba notorio e un impunito della più bell'acqua. Uno che ha ingaglioffato la politica italiana, già trista del suo, arrivando al punto da comprare spudoratamente, con cifre palesi e mutui assolti e posti di sottogoverno, uomini già all'opposizione -e i giornalisti-sciacalli di sempre al soldo sui fogli di famiglia e gli avvocati personali al lavoro in parlamento per le leggi ad hoc e i Minzolini e i Fede e i Ferrara a tirare la carretta dei monatti con su la catasta dei corpi degli appestati di questa maledetta epidemia postmoderna che va sotto nome di 'berlusconismo'; ovvero: la ricostruzione della realtà ad usum delfinii, il casting e il book e il look delle escorts-future parlamentari, le controfigure davanti al tribunale di Milano con la coccarda azzurra e il panino e la diaria: la fiction spacciata come verità dei fatti e degli eventi.



Però bastava lasciarlo lavorare e non gridare 'al lupo, al lupo' e tutto sarebbe andato a fagiolo nel paese di Bengodi e l'Aquila rinata e la monnezza campana sotto al tappeto di discariche stracolme e dissestate sarebbero state la fiction del 'governo del fare' – ecchecaxxo sempre lì a sottilizzare, voi sinistri! L'importante è risolvere; come per la caterva di immigrati illusi che affluiscono sulle coste; come per Gheddafi-bacio-le-mani-voscenza, ma poi ti bombardo con gli aerei sotto egida della Nato. Viva la coerenza e il mutar forma e bandiera, post moderno Proteo-cicciobello-sempre-in-piedi.



E viene in mente quella tribù Maya, citata dal Conte di St Germain, in cui 'tutto va ben, madama la marchesa' perchè a loro, antropologicamente e per tradizione storica, della verità dei fatti e degli eventi importa un fico secco – e gli antropologi e gli studiosi a dirci che, perciò, vivono benissimo come se la verità fosse un veleno da evitare e non uno specchio in cui rimirarsi e dirsi dignitosi e decenti.



Perciò faremo così. Ci zittiamo per un paio d'anni o giù di lì, magari chiedendo asilo a quei Maya del Chiapas per meglio apprendere l'arte del fregarsene della verità; però non chiedeteci di restar seri quando, alla chetichella, prenderemo le biciclette e usciremo dalla riserva indiana e andremo nel più vicino paese a far la spesa, - ma più per leggere su un giornale italiano (che un fido commerciante ci procura) quel che succede quaggiù.

giovedì 7 aprile 2011

il Grande Vecchio che sprezza il Tempo

La par condicio, in Laguna, ha partorito un Grande Vecchio. Niente di cui spaventarsi, per quanto sia alto due volte e mezzo me e abbia volto severo e un cappello da azerbaigiano che ne enfatizza l'espressione ieratica e fiera e un po' schifata (unico punto di mia somiglianza) per come vanno le cose del mondo e sono andate le sue.
Il corpo, invece, è un vuoto avvolto e rinchiuso in una palandrana da ebreo balcanico e le spalle sembrano sostenute da una larga stampella da armadio invernale piuttosto che da due omeri – forse perché il Tempo di cui è espressione lo ha consunto e ischeletrito e solo il viso dagli zigomi puntuti resiste fiero e si oppone alla rovina dei corpi dilavati dal vento dei decenni e dei secoli.
E la sua materia è di pesante metallo nero-verdastro, che nasce già rigato dagli ossidi – altro segno della rovina del Tempo - e c'è da scommettere che non gli costruiranno intorno una gabbia protettiva dai vandali e dalle intemperie come hanno voluto per White Big Boy che sta in cima alla Punta della Dogana ad usurpare il romantico lampione d'antan che tutti noi veneziani rimpiangiamo e ci ricordava le atmosfere simboliste di un famosissimo quadro che potete vedere al Guggenheim nostrano.

Così, con un omaggio al Tempo e ai Grandi Vecchi (che nulla hanno a che spartire con i mitici 'grandi vecchi' che ordiscono le trame occulte del potere) partirà domenica prossima la nuova Mostra di monsieur Pinault alla Punta della Dogana e la sua consorella di Palazzo Grassi e ci sentiamo rassicurati da questo tardivo omaggio a una città di vecchi qual'è quella in cui viviamo: fantasmi ammuffiti in preda agli incubi notturni per il prossimo Nulla del Tempo che ci inghiotte uno a uno.
Però – al pari di quella statua gigantesca – abbiamo espressioni fiere e schifate e sprezziamo il corso degli eventi odierni per tutto quanto si oppone alla nostra volontà ordinatrice di semidei lagunari. Perché abbiamo ordinato le acque interne e le maree e dirottato il corso dei fiumi e fatto sopravvivere nei secoli questo magico arcipelago di isolette salmastre consegnandolo alla gloria dell'impero della Serenissima Repubblica e, seppure avviliti dalle miserie dei tempi grami, guardiamo lontano, oltre la linea degli orizzonti a scrutare le ombre del futuro.

E' stato piazzato lì solo ieri sera, il Grande Vecchio consunto nel corpo, e già lo abbiamo assunto a nostro emblema di resistenza: tutto fluisce e rovina, ma uno sguardo fiero sopra il Tempo ci/vi ammonisce a non ridurre ogni cosa ed evento del Postmoderno a una pura gestione di ciò che esiste e fluisce qui ed ora.
Abbiamo spalle al futuro e solo le rovine del passato ci appaiono chiare e desiderabili -per le vite e le storie che abbiamo amato e gli struggenti paesaggi nel Tempo che abbiamo disegnato.

mercoledì 6 aprile 2011

l'etica perversa delle televisioni commerciali

IL COMMENTO Operazione banalitàdi BARBARA SPINELLI

OGGI si apre a Milano il processo Ruby, e qualcosa di strano sta accadendo, nonostante l'ora sia grave e parecchio miserabile. Un presidente del Consiglio è incriminato per aver abusato del proprio potere, costringendo la questura a rilasciare una ladruncola che gli stava a cuore e non esitando a spacciarla per la nipote di Mubarak. Pende anche l'accusa di favoreggiamento di prostituzione minorile, perché Karima El Mahroug (Ruby) frequentava festini a Arcore, prima della maggiore età. E li frequentava assieme a ragazze che si prostituivano in cambio di soldi, gioielli, appartamenti, carriere. Le prove sono tali che è stato scelto il rito abbreviato. Un dramma insomma, per un uomo che addirittura anela al Quirinale: e tale resta anche se la Consulta approvasse il parere espresso dalla maggioranza dei deputati, secondo cui il premier non è giudicabile da tribunali ordinari. Un'esperienza non invidiabile, quantomeno, e chiunque si sarebbe aspettato dall'imputato, in ore così cupe, un atteggiamento adatto alla circostanza: i latini lo chiamavano gravitas, virtù di chi governa (lo è ancora, nell'articolo 54 della Costituzione). Da sempre, la calamità personale è la verifica dell'attitudine al comando.

Ma nel mondo di Silvio Berlusconi non è così. Se solo proviamo a penetrarlo, vedremo che è un mondo parallelo, in tutto somigliante all'allestimento, al casting, al linguaggio delle televisioni commerciali. La realtà sfuma in irrealtà e viceversa, i protagonisti non parlano ma recitano copioni preconfezionati, il pubblico plaudente è esibito come popolo, qualche comparsa emette fandonie. Questo è il premier, specie in questi giorni: una comparsa buffonesca, che sghignazza su quel che fra poco, anzi oggi, sta per accadergli. L'Italia intera è un suo villaggio Potemkin, fatto di cartapesta colorata per occultare detriti e rovine.

Nel villaggio lui è re, e ride ininterrottamente, di tutti e anche di sé. Il sipario del processo sta per alzarsi ed eccolo che il 2 aprile racconta una delle sue lunghe barzellette. Il pubblico batte le mani, e quest'euforia non è il capitolo meno sinistro del copione. Se Karima ha un nomignolo possiamo darlo anche all'autore della sceneggiatura: chiamiamolo Ubu Re, perché come nel dramma di Alfred Jarry prende il potere per "mangiare più salsicce, comprarsi ombrelli, far soldi"; perché promuove i corrotti, elargisce denaro perché glielo consiglia Mamma Ubu, annienta i nobili e soprattutto i magistrati, condannati a vivere delle multe comminate e dei beni dei condannati a morte.

Le barzellette sul caso Ruby mancano furiosamente di sottigliezza, non di furbizia. Sono pornografia allo stato puro, e la pornografia, si sa, cancella l'oggetto del desiderio facendolo vedere così da vicino che pare troppo vero per esser vero. Succede sempre, con l'osceno: quel che ammalia è il reale in eccesso, è l'iper-realtà (la parte del corpo è ingrandita come da una lente). "L'unico vero fantasma della pornografia non è il sesso ma è la realtà stessa, assorbita in qualcosa che non è reale, ma iper-reale", scrive Baudrillard sulla seduzione. Berlusconi non nasconde nulla di quel che fa ma anzi ne dilata i dettagli, li rende derisori, li evoca anche nei momenti in cui uno magari penserebbe ad altro. Di continuo siamo trascinati nel suo set-universo parallelo dove il reale si dissolve e l'assedio svanisce: perché se è derisorio lui quanto più lo saranno magistrati e giornalisti!

Ha un suo sogno ridicolo e non sottile, l'uomo Berlusconi, ma c'è del metodo e anche una cinica conoscenza delle cose, nel suo architettare villaggi finti: c'è la rappresentazione di una gioventù scombussolata da lavori senza futuro, e di un'Italia ridanciana, indifferente alle leggi perché dalle leggi non protetta. Un'Italia con la quale Ubu s'identifica, e che s'identifica con Ubu. Basta divenire padrone delle parole e delle leggi, per storcere gli eventi e capovolgerli. Risultato: quello di oggi non è un processo per concussione e minorenni prostituite. È un monumentale processo al desiderio, alla simpatia, alla leggerezza, alle risate. L'ironia, la più eccelsa delle arti, è usata come arma micidiale che sminuzza i fatti e li rende irriconoscibili. Niente mi minaccia, se ci rido sopra. Niente m'insidia, se come Napoleone m'impossesso dei sogni di soldati ed elettori. È il sotterfugio offerto sin dall'inizio dalle sue tv, tramite le quali conquistò le menti e l'etere. Lui ri-crea un mondo ma frantumato, e nel frammento vivi bene perché non vedi il tutto, non connetti i fatti tra loro sicché li scordi presto. Robin Lakoff, denunciando i nuovi demagoghi delle destre americane, parla di agenda dell'ignoranza.

Chi non dimentica il tutto, il contesto, è lui, il capo che sui falsi paesaggi ha idee ben chiare. Deve essere un paesaggio di emergenza e caos perenni, dove chi comanda si traveste da vittima, dove il potere continuamente deve essere espugnato, mai esercitato. Il Parlamento merita castighi, perché il leader sia solo davanti al popolo (davvero il premier ha sgradito gli insulti di La Russa al presidente della Camera?). Magistratura e Consulta hanno fame di potere politico, e vanno evirate. La Costituzione è un laccio. La politica non è manovrare, ma rimestare e smistare possibili ricatti. Gheddafi era così: ostile alle istituzioni rappresentative, incarnando il popolo si pretendeva inamovibile. Formalmente non governava lui ma i Congressi popolari. Lui, dietro le quinte, era Papà Ubu.

Resta la stranezza, il mistero. Perché tanto ridacchiare, alla vigilia del processo Ruby e di altri procedimenti? Quale spettacolo sta mandando in onda, di cui noi non siamo che ignoranti comparse? Quali leggi e stratagemmi inventerà Ubu perché ogni processo si spenga? L'obiettivo è la negazione del reale, ma c'è un più di violenza, c'è una tattica bellica preventiva presa in prestito dallo Spirito dei Tempi. Tutto è annuncio preventivo, prima che il reale si avveri, ne abbiamo conferma proprio in questi giorni nella guerra di Libia: anche qui viviamo eventi senza conoscerli, che paiono escrescenze delle tv commerciali. Ci sono stati certamente massacri, da parte di Gheddafi. Ma quanti e dove? I cronisti dicono che ci sono stati, ma non visti perché mancavano le telecamere. La tv commerciale fa legge, prima ancora che le cose avvengano: "Lo dice la televisione", e performativamente il fatto esiste. In un blog intitolato Una Storia Noiosa 1 leggo: "Il fact finding/checking viene sostituito da immagini che non esistono, ma che se esistessero testimonierebbero indubitabilmente la realtà di questi fatti, di cui peraltro il giornalista non è testimone diretto. Vertiginoso. Nasce il genere del "reportage preventivo". Non so dire se siamo al funerale dell'immagine o al suo trionfo: l'immagine può permettersi di non esistere fisicamente, tanto tutti diamo per buono che rappresenterebbe fedelmente quella che già sappiamo essere la realtà".

Nel mondo di Berlusconi, la guerra al reale si fa preventiva. Più precisamente, e in conformità al personaggio: si fa apotropaica (apotropaico è il gesto che allontana e annulla un'influenza maligna: per esempio, toccar ferro). Apotropaico è il modo in cui ha difeso, il 10 marzo, la riforma della giustizia: se si fosse fatta nel '92-93, Tangentopoli sarebbe proseguita indisturbata, non ci sarebbero state Mani Pulite né "l'invasione da parte della magistratura della politica e l'annullamento di un'intera classe dirigente".

Una risata vi seppellirà. Lo promette Berlusconi, forse dimenticando che furono gli anarchici dell'800 e la sinistra estrema nel '900 a coniare lo slogan. Fortuna che abbiamo Lao Tzu, che da 2.500 anni dice, della via saggia e giusta: "Quando un dotto di prim'ordine sente parlare della via, la segue rispettosamente. Quando un dotto di mezza levatura sente parlare della via, ora la mantiene ora la perde. Quando un dotto d'infimo ordine sente parlare della via, si fa una grande risata".

(06 aprile 2011)

martedì 5 aprile 2011

la fine della storia e il futuro alle spalle

Il 'mondo rotto' è espressione icastica, di grande forza rappresentativa, paragonabile a quell'altra: 'la fine della storia' – che tenne banco nelle cronache per lungo tempo qualche anno fa.
Ed entrambe le espressioni disegnano lo spezzarsi di un equilibrio fragile, il venir meno di una forma del mondo riconoscibile e descrivibile -ogni parte di esso presa per sé, funzionante come una macchina semovente dentro alla Storia nel suo farsi e descrivibile come 'un mondo', appunto, per la somma dei suoi peculiari meccanismi di funzionamento.
Alcuni di quei mondi erano 'apart', fermi nel tempo e nel disegno della società che li aveva creati (vedi il Sudafrica), ma gli altri interagivano all'interno di un sistema globale dinamico. Fino al punto della 'fine della storia'.

E' il caso del nostro paese fino al 1989. Un paese che, dopo la seconda guerra mondiale, aveva intrapreso una marcia di sviluppo economico e civile e che si lasciava alle spalle le frane dei grandi sistemi ideologici che avevano segnato tragicamente l'Europa e il mondo: il comunismo e i nazionalsocialismi che si erano invano provati ad arginarlo e combatterlo al prezzo di milioni di morti sui campi di battaglia.
Permanevano, è vero, i conflitti sociali periferici che da quelle immense frane promanavano, ma si andava verso un futuro luminoso per sviluppo tecnologico ininterrotto e i conflitti sociali erano contenuti e sedati all'interno di un quadro normativo governato dalla triade governo-sindacati-forze imprenditoriali associate.

Gli avvenimenti del 1989 e, in particolare, il crollo del muro di Berlino furono la crepa sui muri che dava avviso dell'intensità del sisma e già in Iran si mostrava la strana 'cosa' del potere teocratico con Khomeini e i 'preti neri' al governo -che avrebbe inserito gli elementi nuovissimi di rottura e di 'fine della Storia' europea quale l'avevamo vissuta e descritta fino a quell'anno.

L'Islam prendeva forma minacciosa di monolito guerresco in contrapposizione radicale con 'l'occidente' decadente e si formulavano le 'fatwe' maledette e le minacce di morte contro Salman Rushdie e il suo libro de 'I Versetti satanici'. Una delimitazione perentoria e aggressiva, quella dei 'preti neri' dell'islam radicale, della libertà di espressione del mondo democratico occidentale che arriva fino ai fatti tragici dell'altro ieri -coi morti ammazzati in Afghanistan per la protesta rabbiosa contro i roghi del 'libro sacro' da parte di alcuni, oscuri, pastori protestanti americani.

E l'Islam, come un fiume in piena, è, oggi, immigrazione incontenibile e che tracima fuori dagli alvei nel 'mondo rotto' della storia europea giunta alla sua fine. O messa di fronte a un 'nuovo inizio' -che ci spaventa per tutto quanto di nuovo e diverso e caotico e disordinato inserisce nel quieto e (relativamente) ordinato crescere della comunità civile europea quale l'abbiamo conosciuta fino a un paio di decenni fa.

Non ho dubbi che la sintesi storica di questa nuova ondata di immigrazioni e 'invasioni barbariche' avrà aspetti di futuro Rinascimento europeo e occidentale e si farà narrazione di una Storia nuova e diversa e finalmente positiva (in che lasso di tempo?) perché i cicli storici del passato ce lo testimoniano – e tuttavia passeremo attraverso una 'età di mezzo' conflittuale e confusa che ci inquieta e spaventa perché, come sempre è stato e sarà, il futuro è 'nelle mani degli dei' e ci è alle spalle, -come ci narravano gli antichi greci che usavano i Miti quali sapienti metafore del disordinato e misterioso svolgersi delle nostre vite e delle storie.

sabato 2 aprile 2011

imbonitori da fiera

Il Cavalier Laqualunque di FRANCESCO MERLO
NELL'ISOLA dei disperati il più disperato è lui. Con la camicia scura aperta sul collo e il doppiopetto nero che è diventato enorme, Berlusconi a Lampedusa è più Cetto Laqualunque dello stesso Albanese.
È venuto a svuotare l'isola così come andò a svuotare Napoli. Lì i rifiuti e le lordure furono caricati sui Tir, dispersi via terra con destinazione ignota, e qui sulle navi, onda su onda il mare li porterà al largo dell'Italia degli egoismi regionali e del ricatto secessionista.
"Sono lampedusano" dice, e sembra la caricatura di Kennedy a Berlino, "stamattina ho comprato una villa su Internet, si chiama "Le due palme"". Più tardi, a un cronista che lo aspetta sulla sabbia nascosto dietro una delle due palme confesserà compiaciuto: "Ma è tutta da rifare". Le tv mandano ossessivamente l'immagine della facciata, il muro di cinta, e poi sabbia, stoppie, l'intervista ai vicini di casa. Ha già speso due milioni di euro. Il solito vento che, in qualsiasi stagione, qui fa perdere la voce, agita le piante basse e dunque anche Berlusconi, che è gonfio come una mongolfiera, per un momento perde l'equilibro e sembra migrare, lui che vorrebbe migrare lontano da tutte le regole, anche quella di gravità.
Noi italiani sappiamo che Berlusconi si butta sulle disgrazie quando sente di essere in disgrazia. Ma Lampedusa gli serve anche a dissimulare, a tenere occupata l'Italia nel giorno in cui la maggioranza parlamentare, ridotta in servitù, lo sta spudoratamente liberando dei suoi processi. Le promesse ai terremotati furono le sue campagne del grano. Ma questa volta la scenografia lo tradisce. Lampedusa infatti è due volte palcoscenico, due volte finzione: è il solenne e forse fatale teatro espiatorio per attirare e distrarre la più vasta delle platee ma è anche il remake dell'autarchia del "ci penso io" come estrema risorsa per illudersi ancora. Berlusconi fa il palo a Lampedusa, mentre a Roma i suoi scassinano il Parlamento e rubano i pesi della Bilancia.
E però tra il governatore Lombardo e il sindaco De Rubeis, circondato da assessori, imprenditori locali e guardie del corpo che qui non si distinguono dai corpi che hanno in guardia, nel mezzo di una nomenklatura scaltra, truce e goffa, Berlusconi esibisce una fisicità terminale che va ben oltre Cetto Laqualunque. È quella dei dittatori africani e degli oligarchi russi. Ha portato a Lampedusa più Africa lui che gli immigrati.

È atterrato all'ora dei Tg quando i soldati avevano finito di pulire il Porto vecchio, la stazione marittima e la famosa "collina della vergogna". Il Tg3 documenta la pulizia anche degli slogan di protesta, si vede il sindaco che grida alla folla: "Basta cu 'sti minchia di cartelli". Ruspe e camion dei netturbini hanno spazzato via la tendopoli proprio come a Napoli spazzarono le strade, e ora le tv mostrano il "com'era" e il "com'è".
Resistono, a testimoniare l'inciviltà della miseria, stracci, bottiglie, escrementi accanto ai ciuffi d'erba di una primavera che a fine marzo a Lempedusa è già estate: domina il giallo che solo al tramonto si tinge di arancione. Berlusconi garantisce che porterà "il colore, come a Portofino". Promette pure il premio Nobel per la Pace, il campo da golf e il casinò che è un vecchio sogno non solo dei lampedusani più eccentrici, vale a dire la risorsa di chi non ha risorse, ma è soprattutto l'aspirazione della malavita intossicata di danaro che ha impiantato in tutti gli angoli della Sicilia le sue bische clandestine, i luoghi sordidi dove si sfogano il bisogno sociale e la pulsione individuale.

Quando Berlusconi scende dall'aereo, i disperati già avanzano sul molo in fila indiana, ciascuno con la mano sulla spalla dell'altro, "una mano sola per evitare l'effetto trenino" mi ha spiegato un funzionario degli Interni. Sono immagini che testimoniano l'umiliazione di uomini ardimentosi. Quasi tutti i primi piani li mostrano con le palpebre semichiuse forse perché non riescono più a vedere lontano. Ai lati, per tenerli in riga, ci sono i poliziotti con i guanti di gomma e le mascherina sulla bocca per proteggersi dal male fisico, per non entrare in contatto con la sofferenza dei corpi che, proprio come aveva ordinato Bossi, si stanno togliendo dalle balle.
E mentre Berlusconi si mette in gioco nella più triste di tutte le sue demagogie, giura di cacciare per sempre gli immigrati che ci sono e quelli che verranno, promette aiuti europei e corrimano, vasi di fiori, niente tasse per tutti, una scuola, investimenti turistici, trasmissioni promozionali della Rai e di Mediaset ..., mentre, insomma, Berlusconi delira, la nave da crociera sembra una carboniera del diciassettesimo secolo, con la broda sciaguattante di acqua di mare, le zaffate, un equipaggio militare efficiente a bordo e riservato a terra, e quel carico di neri che non sono più profughi, non sono più clandestini, non sono più rifugiati, non sono più immigrati, ma sono solo deportati.

Se si mettono a confronto queste immagini che, comunque la si pensi, sono angoscianti e dolorose, con quelle della piccola folla festante attorno allo Sciamano, si capisce che non c'è solo lo stridore tra la violenza della realtà e la pappa fradicia della demagogia. Qui c'è anche il sottosviluppo di piazza, il sud di Baaria, - "santo Silvio pensaci tu" - la bocca aperta e lo schiamazzo delle feste patronali, il bisogno del voto, del miracolo, del divo: "Silvio!, Silvio!, Silvio!". C'è la tristezza infinita di un Meridione che è ancora e sempre lo scenario naturale degli imbonitori, dello zio d'America come quel Thomas DiBenedetto che ha appena comprato la Roma, del messia e del conquistador, il mito antico dell'uomo che viene da fuori, dell'uomo del cargo che può essere un capopartito, un cantante, un calciatore e non importa chi, purché venga appunto da fuori, perché è all'interno che questo Sud non trova pace. Ed è probabile che questa visita diventi un mito rituale, la chimera di una Lampedusa protagonista, porto franco, una specie di Las Vegas del Mediterraneo, il sogno come variante del sonno. Dev'essere per questo che i miei sciagurati paesani lo hanno applaudito invece di mandarlo. .. alla deriva nel suo cargo. 31 marzo 2011