lunedì 31 ottobre 2011

le parole che non ti ho detto

Vanno forte, -in letteratura e nella spuria letteratura che sono le vite nostre- 'le parole che non ti ho detto'. Come se fossero salvifiche: farmaci straordinari per bypassare il dolore di vivere.
Non è così. Provate a dirle, quelle parole. Ripetetele, se del caso. Il dolore persiste, la qualità della vita non migliora. Ciò che desideriamo rimane un confuso oggetto del desiderio e il piacere, quando ci accade di incrociarlo, ha un retrogusto di sale.

Perché la parole nostre sono solo un rumore di fondo e un'eco di quanto ci accade e causa quel dolore -e la complessità dolorosa che tutti ci avvolge continua a stupirci, non ci persuade e così ci domandiamo: 'Ma perché dare al sole,/ perché reggere in vita / chi poi di quella consolar convenga?' Ma l'intatta luna non ci risponde perché 'tu mortal non sei / e forse del mio dir poco ti cale'.

Appartengo alla categoria che 'le parole che non ti ho detto' le ha dette, invece -e ripetute.
A chi contava e ha contato davvero e a chi contava poco o si rifiutava di contare e lo stupore per queste riluttanze e per i ruoli di gran peso o scarso peso dell'amore che dovrebbe nutrire le nostre vite come l'aria e il pane è ancora vivo e non capisco -dopo tanti lustri e albe e tramonti veduti e interrogati- perché ci aggiriamo come bestie ferite per le strade del mondo e le vite degli altri ci appaiono tutte belle e desiderabili a confronto con le nostre che rottameremmo volentieri, se potessimo.

Il dolore di vivere ci affanna e ci incrosta gli occhi malati e arriva il momento in cui il silenzio ci appare la risposta più dignitosa e fiera e la morte -compagna dell'amore- una 'bellissima fanciulla / dolce a veder, non quale / la si dipinge la codarda gente...'

domenica 30 ottobre 2011

l'euro, le satrapie, i giochi di simulazione

Forse l'Unione Europea cederà il passo, sotto i colpi della crisi, forse l'impalcatura cederà e l'euro lascerà il posto alle nuove monete nazionali. Forse.
O, forse, questa crisi globale è l'annuncio che nessuno si salva più contando sulle sole sue forze – per quanto la Svizzera sia lì a dirci che è possibile reggersi in piedi senza stampelle e Unioni pietose e finanziariamente caritatevoli.
Però questa crisi ci ha dimostrato che l' Euro senza una vera e coesa Unione Europea – senza un governo europeo capace di unitarietà nelle politiche economiche e di bilancio e fiscali- è debole ed esposto ai colpi dell'avversa fortuna e della maledetta speculazione e, se ne usciremo, ne usciremo con la certezza che i governi nazionali sono e saranno sotto controllo europeo, d'ora in avanti, e le furbizie e gli escamotages e le promesse idiote dei leader populisti sotto elezione mostreranno subito la corda alla quale si impiccheranno di lì a breve.
E sarebbe interessante creare un gioco di simulazione attraverso il quale osservare – date alcune premesse e le eventuali variabili- cosa succederebbe al Belpaese una volta sciolti i legami con l'euro e l'Europa.
Sarebbe un gioco interessante e forse divertente – se non fosse che, a valle, in chiusura di gioco simulato, registreremmo i venti di tempesta delle piazze in rivolta o peggio -dato il 'marcio che c'è in Danimarca'. Pardon. In Italia. Satrapia europea a vocazione anarchica e Beneamato Leader avvezzo ai baciamano conturbanti e a dire oggi quel che smentirà domani con finto sdegno e ridacchiando coi suoi fidi in privato.

mercoledì 26 ottobre 2011

la città e lo sberleffo degli ultimi

E, ancora una volta, è dagli ultimi che voglio cominciare. Non che io creda alla predizione evangelica che 'gli ultimi saranno i primi' – non c'è giustizia e consolazione conseguente che tengano, né in questo mondo, né nei fumosi empirei della metafisica.
Il Cielo è vuoto e solo le Nuvole che trascorrono gonfie di pioggia danno forma alle fantasiose immaginazioni di dei e santi e antenati e favolosi animali.

E' che 'gli ultimi' si lasciano raccontare senza difese – se ne stanno lì, a fare le povere cose del fragile momento che li tiene in vita e si lasciano osservare col loro guardaroba trascinato nei carretti laceri e sporchi che regaliamo loro -quelli coi quali andiamo a fare la spesa al supermercato- e gli basta un angolo al riparo dal vento, oggi freddo, e la città tutta è l'estensione magnifica di una casa vagheggiata e crudele, -quando scende la notte e le coperte non bastano a trattenere il poco calore del vecchio corpo malato.

Ce n'è una quantità di clochards, in giro, e neanche ti chiedono l'elemosina. Quelli che la chiedono sono i rom: bene organizzati e piazzati nei posti giusti e pronti alla fuga quando gli agenti in bicicletta si mostrano in fondo alla strada o alla piazza, e corrono insieme ai neri delle borse taroccate e delle piccole torri Eiffel prodotte in Cina.

E non c'è nulla di poetico in questi clochards che le antiche canzoni consegnavano alla tradizione dei ponti sulla Senna e delle 'quaies' della riva destra e sinistra, solo occhi persi nel vuoto e pieni di vento, come le loro anime piagate.

Però, a uno di loro, non manca la voglia di esserci, nel mondo, e ha un libro in mano, -libro che del mondo è specchio e sapienza- e legge, incurante del rumore delle macchine che gli sfrecciano davanti, e chissà che vita ha vissuto prima di ridursi a tale, che amori ha amato, se ancora qualcuno lo ama e sa che il suo avo vive a quel modo.

I clochards sono la frontiera ultima delle nostre solitudini in agguato e di quanto può accaderci, se ci capiterà di soccombere all'avversa fortuna e, talora, sembra di cogliere un lampo beffardo nei loro occhi, un lampo di sfida – di chi ci è passato per quella frontiera maledetta e l'ha valicata e ha perfetta coscienza che niente di peggio gli potrà capitare -e anche la morte lo coglierà con uno sberleffo stampato nel viso.

martedì 25 ottobre 2011

un modo facile per fare soldi in fretta - di questi tempi

usque tandem

Altro particolare della vicenda di squallore che va sotto il nome di 's-governo' berlusconiano e di tutto il bagaglio di ridicolo che si trascina dietro: la lettera di Gheddafi inviata all'autorevole (sic) premier italiano in cui lo pregava di pietire presso la Nato la cessazione dei bombardamenti e gli rimproverava i trascorsi di baciamano e di accordi bilaterali fruttuosi per i due popoli amici.



Beh, che, a far da latore della missiva e ambasciatore e fiero sostenitore delle ragioni del 'rais', sia stato un tale che organizzava le 'serate eleganti' con le 'gheddafine' - noleggiate a cifre adeguate per allietare le ore del Beduino pazzo in trasferta a Roma - é aggiunta di pregio e sicuro 'stile di s-governo' che completa il mosaico di risate omeriche che si levano in Europa e 'all over the world' relativamente a come si fa 'governo' da noi, furbi italioti.




Usque tandem, Berluschina (e ridicola corte dei miracoli annessa), abutere patientam nostra?

sabato 22 ottobre 2011

perchè non siamo stupidi

A una mia domanda provocatoria: 'Come l'hai capito?' (non ricordo più l'oggetto del nostro contendere), una mia amica rispose con fastidio: 'Perché non sono stupida.' Aveva doppiamente ragione. Nel merito della contesa e nel suo sottolineare che le persone non sono stupide -e certe menzogne e 'ricostruzioni' della realtà (come quella della propaganda berlusconiana ad usum gonzorum) non meritano altro dibattere bensì quella risposta netta e ficcante.

Vi sono molte situazioni, nelle nostre vite e negli eventi della storia presente, che meriterebbero di essere risolti con un secco e liquidatorio 'Perché non siamo stupidi.'
E' il caso dell'esecuzione sommaria del 'colonnello' Gheddafi – personaggio che avrebbe meritato mille esecuzioni sommarie nel corso della sua stramaledetta esistenza di 'cane pazzo' e dittatore sanguinario e terrorista internazionale e capo di uno 'stato-canaglia'.
Come per altre esecuzioni di altri dittatori (Saddam Hussein, Benito Mussolini - giusto per fare due nomi) non si dovrebbe sprecare la pietà che riserveremo, invece, alle loro vittime -e ricordiamo che la male azioni di costoro e le prevaricazioni e le corruzioni e le sopraffazioni di un potere malvagio contengono già in partenza la brutta fine e rabbiosamente violenta e il vilipendio a cui vengono sottoposti nel momento del 'redde rationem' della storia di un paese.

Però non siamo stupidi e non ce la raccontano giusta quelli dalla Nato quando ci dicono che non sapevano che in quel convoglio su cui hanno sparato missili e razzi c'era il Gheddafi in fuga.
E sospettiamo che i loro consiglieri presenti tra gli insorti libici abbiano suggerito agli esecutori che meglio sarebbe stato farla finita subito con l'ingombrante e sbraitante 'cane pazzo' – piuttosto che ritrovarselo tra i piedi con un processo da celebrare all'Aia e troppe rivelazioni ricattatorie che il dittatore libico avrebbe potuto sciorinare davanti all'opinione pubblica in veste di imputato.

Non abbiamo bisogno di Wikileaks e delle sue rivelazioni -peraltro gradite e opportune- per immaginare le segrete cose e sporche che le 'diplomazie' di molti paesi occidentali hanno condiviso col cane pazzo libico per le vili ragioni degli interscambi economici.

Perciò, cari governanti dei paesi che hanno partecipato alla guerra e 'portavoce' della Nato, smettetela di trattarci come imbecilli a cui propinare la piccole menzogne della convenienza politica. Perché non siamo stupidi.

sabato 8 ottobre 2011

specchietti e perline colorate

Ho seguito anch'io, con moderata attenzione e una sottile commozione, la vicenda umana e l'avventura ultima, (il suo magnifico modo di affrontare la morte annunciata) di 'Steve', il geniale e fortunato inventore della Apple e di tutte le piccole diavolerie che quell'azienda ha prodotto.
Mi ha commosso il sapere che in gioventù ha fatto le cose che molti di noi suoi coetanei hanno fatto, seguendo le suggestioni dell'epoca nostra: il viaggio in India, l'esperienza tutta intellettuale di testare alcune droghe come curiosità di altri 'viaggi'; la curiosità di sapere quanto possa aprirsi la mente umana in direzione del futuro dei sogni.

Ma, poi, la sua vita ha preso quel corso concreto e positivo della curiosità per la tecnica e l'invenzione ed è divenuto il beniamino di tutti coloro che amano i postmoderni tamagochi sui quali esercitano compulsivamente le dita e riversano tutta l'attenzione che, prima, riservavano al loro prossimo per la strada, sui tram e dovunque si sia in contatto e in relazione con il nostro prossimo.

Già, perché, per le strade e sulle scale della metro e sui tram e vaporetti, si incontra uno sterminato numero di mutanti che sono proiettati negli altrove futuristici dei loro tamagochi -e i loro occhi sono vuoti e lontani, come se non ti vedessero e riconoscessero e tocca fare 'ciao ciao' con la mano o toccargli la spalla per risvegliarli e riportarli a terra, al 'qui e ora' dei loro corpi fisici e della loro presenza sulla scena concreta dei giorni che viviamo.

Ed è uscito un libro, di recente: 'Facebook in the rain' che viene pubblicizzato col sottotitolo 'l'amore ai tempi di facebook' e, anche se non l'ho letto, sono certo che dà conto e dice che gli amori scritti e astratti che nascono e si consumano sui 'social networks' e sulla 'Rete' sanno già di stantio virtuale e dovremmo tornare al qui e ora dei corpi fisici e del tenersi la mano e guardarsi negli occhi e tuffarsi in mare e correre sulla spiaggia e farci l'amore perché non se ne può già più di tutta questa tecnologia virtuale che ci cambia le vite e le rinsecchisce dentro ai video e nei troppi 'altrove' della tecnologie informatiche.

Non ho mai posseduto uno di quegli strumenti partoriti dalla fantasia creatrice di Steve Jobs e da quella dei suoi collaboratori, ma alcuni amici me ne decantano le straordinarie capacità di 'fare' e 'comunicare'.
A me basta il computer di casa e quel poco di telefonia mobile che uso solo in casi di vera necessità e urgenza, ma non ho dubbi che le invenzioni di Jobs appartengano al futuro della comunicazione globale e che i posteri ne faranno un uso meno malaccorto e più equilibrato di quello che che ne facciamo noi -preistorici fruitori di aggeggi formidabili che attirano la nostra attenzione ilare e stupita come fossimo i 'buoni selvaggi' di Rousseau o quelli incontrati da Colombo sulle spiagge americane e bastavano le perline colorate e gli specchi a indurli a scambi dispari.

sabato 1 ottobre 2011

un tuffo dove l'acqua è più blu

com'è profondo il mare




C'è il mare. Che è profondo, come ci narra una nota canzone.

Ma qui si sale dal profondo verso la superficie luminosa come divinità disturbate da un borbottare, da un rumore fastidioso che aumenta in prossimità della luce ed è finalmente il mare come lo conosciamo noi alieni abitanti delle superfici della Terra -che nel mare riversiamo tutte le nostre schifezze e le deiezioni e al mare abbandoniamo tutto quanto eccede e non sappiamo che farcene, come ci mostrerà, poi, il film.



Film che si chiama 'Terraferma' perché sia chiaro e ribadito che noi ne siamo gli abitanti e il mare è solo una liquida appendice e un paradiso di spiagge e un inferno di tempeste -come ci narra l'Odissea e molti altri libri che abbiamo scritto e letto- dove siamo spesso naufragati e tuttora naufraghiamo, ma più quei naufraghi per definizione e condizione di miseria che sono sottesi alla prima narrazione del film.



Che racconta la storia di alcuni pescatori e isolani di un isola di frontiera e dei loro problemi di sbarcare il lunario in tempi di pesca ormai scarsa, scarsissima (perché ci siamo mangiati tutto quello che il mare conteneva di buono) e solo più tardi, come per un incidente di percorso, (un cozzare del vetusto peschereccio contro il legno di un naufragio), si manifestano gli alieni, i reietti, i maledetti 'altri': quel nostro 'prossimo' di altre terre e popoli e culture attratti come le mosche sul miele dalla nostra ricchezza illusoria, -che cediamo, vistosamente, in tempi di crisi globale, a coloro che, solo ieri, definivamo, con finta pietas e stitiche elargizioni governative e beneficenze private, il 'terzo e quarto mondo'.



'Dobbiamo decidere che farne di questa umanità eccedente.', scriveva Kapucinsky, il grande reporter-scrittore, raccontando di un villaggio africano affogato di mosche e polvere -i cui abitanti prendevano vita e danzavano meravigliosamente solo all'arrivo del camioncino di un documentarista che faceva partire la musica, registrava il suo film, lasciava qualche banconota e se ne andava due ore più tardi facendo ripiombare il villaggio nel suo ossessivo, afoso silenzio fitto di sciami di mosche.



Già. Che ne facciamo di questa umanità colorata e aliena che ci assalta a migliaia, che respingiamo, che malediamo, ma, piano piano, riempie le nostre narrazioni letterarie e i films e che ci ritroviamo poi quali vicini di casa dei piani-terra che furono i nostri marci magazzini e oggi affittiamo a prezzi proibitivi con l'avvertenza 'esente acqua alta' per lucrare qualche decina di euro in più al mese?



Nel film, di moderno 'realismo', si dice a chiare lettere 'respingiamoli'.

Perché lo dice la Legge (la legge siamo noi, così come siamo 'la politica' -ha precisato di recente Napolitano, il nostro amato presidente) e perché esiste il reato di 'favoreggiamento all'immigrazione clandestina'. E sono cazzi per chi lo viola e si frappone, obtorto collo, fra una certa, obsoleta idea di umanità e i rappresentati armati dello Stato nell'isola di confine che è il primo approdo dei naufraghi.



E' la recitazione di una 'controversia liparitana' (ricordate il libro di Sciascia?) questo film, ma qui la controversia è fra la pietà e la Legge -e viene in mente Antigone perché, a un certo punto della narrazione, la Madre eritrea e naufraga dice alla sua pietosa ospite (una pietà sofferta e che la lacera dentro) 'sei mia sorella'.



La bellezza di una storia, di qualunque storia, è la sua scrittura, la qualità della scrittura.

E la scrittura di Crialese, il regista del film, è pulita, chiara come i mattini del nostro sud e le sue magnifiche spiagge e i suoi paesaggi di isole vulcaniche.

Ed è densa di suggestioni e di scene-madri – come il nuotare dei naufraghi a vigorose bracciate verso la barca dove amoreggiano due fra i protagonisti del film (è un film corale, con molti protagonisti) e solo le luci che illuminano gli spruzzi delle bracciate definiscono la scena e raccontano con immediatezza visiva il dramma che si sta per manifestare.



E quell'altra scena, il suo contraltare ribaldo che definisce la nostra italica 'civiltà' dell'effimero, del 'tutto facile', del ballo scemo e dell'allegria turistica beota: una macarena di gruppo a bordo del peschereccio che porta i turisti alle spiagge isolate e di mare più pulito e un allegro tuffo collettivo 'dove l'acqua è più blu' – e la narrazione torna al mare dell'incipit del film, alla sua profondità, alla fascinazione subacquea, in quel mare fitto di deiezioni e pochi pesci, e, in prossimità dei bassi fondali, disseminato di scarpe da ginnastica e altri oggetti abbandonati dai miserabili, dai reietti, nel corso del loro vano nuotare verso la spiaggia lontana in un giorno di mare tempestoso -e i corpi di quei naufraghi sono chissà dove, nel profondo mare, la loro liquida bara collettiva.



'Terraferma' regia di E. Crialese – in questi giorni sugli schermi di molte città italiane

Nemesi, cattiva dea

Se non fosse una tragedia per il paese tutto si dovrebbe dire 'ben gli sta' a quegli industriali piccoli e grandi e commercianti e artigiani che oggi lamentano il cattivo operare del governo in carica e lo s-governo ad uso personale e per fini di puro scudo giudiziario del presidente del consiglio dei ministri Silvio Berlusconi.

Ricordiamo, come fosse ieri, le risate che facevano alle sue battute peregrine duranti i convegni in cui veniva invitato per l'osanna e lo spellarsi di mani di una platea di 'cialtroni' -che i giornali della famiglia Berlusconi ieri bacchettavano e dicevano 'ingrati', dati i cospicui 'aiuti di stato' e le sovvenzioni e i favori di cui hanno goduto e godono tuttora.

Ma la crisi globale morde e la crescita non è all'orizzonte e i cialtroni di ieri oggi, miracolo! recuperano un 'onore' politico di cui non li credevamo capaci e finalmente presentano proposte per la crescita e minacciano di abbandonare i tavoli del confronto politico ed esprimono voti affinché il Barabba di s-governo si faccia finalmente da parte.

Ma Nemesi, la dea crudele che ci fa pagare lo scotto delle male azioni e dei cattivi pensieri e comportamenti, mostra loro l'orrenda effigie di Medusa, che impietriva chi la fissava, e così accade con Berlusconi-medusa, che si è comprato una maggioranza coi soldi sporchi della sua carriera di imprenditore assistito (l'ultima porcata in merito è stata la legge, da lui voluta, che ha consentito alla Mondadori di pagare un'oblazione al fisco di otto milioni di tasse evase/eluse invece dei trecento dovuti per l'accertamento) e non ha nessuna intenzione di farsi da parte perché 'ne va della vita' e della prigione.

Che, nel suo caso, si ridurrebbe ai dorati 'arresti domiciliari' per intervenuto limite di età e per lui anche Nemesi, cattiva dea, si fa pietosa.
Non ci stupirebbe il sapere che le ha versato (a Nemesi) qualche milioncino di euro per lo sconto di pena.
Non ci sono più i cattivi dei di una volta, mannaggia. Anch'essi spariti con le mezze stagioni.